Anno 535 dopo Cristo. Uno dei tanti, terribili vulcani indonesiani, probabilmente lo stesso Krakatoa, dà vita ad una spaventosa eruzione. Secondo le parole dello storico giavanese Ranggawarsita ( XIX sec.) “ il mondo intero fu scosso fin dalle fondamenta, e si scatenarono violenti boati di tuono accompagnati da forti piogge e tremende tempeste (…) e infine il Kapi esplose con un ruggito terribile, andò in pezzi e sprofondò nelle viscere della terra ”.  L’eruzione è talmente violenta da sconvolgere la vita del popolo giavanese: si interrompe perfino la tradizione storiografica locale, altrimenti ricchissima. Meno di un quinto dei 18 anni successivi al 535 presenta qualche notizia.
Gli effetti più macroscopici dell’eruzione vengono registrati nei due stati più evoluti del tempo: l’Impero Romano e quello cinese. I cinesi registrano in quest’anno una fortissima, spaventosa detonazione, udita in tutto il paese e proveniente da Sud: dall’Indonesia, ovviamente. Procopio di Cesarea racconta, per l’anno 536, di una riduzione della luminosità e del calore del sole che lui stesso paragona a quella verificatasi durante una eclisse. Giovanni Lido racconta che il sole divenne scuro per quasi l’intero anno, cosicché i raccolti furono distrutti in modo disastroso. Michele il Siriano dice che il sole divenne scuro, e la sua oscurità durò undici mesi. Ogni giorno esso splendeva per circa quattro ore, anche allora la sua luce era solo una debole ombra… i frutti non maturarono e il vino era aspro. Ed infine, la testimonianza più impressionante, quella di Cassiodoro: “ Il sole sembra aver perduto la sua luminosità, ed appare di un colore bluastro. Ci meravigliamo nel non vedere l’ombra dei nostri corpi, di sentire la forza del calore del sole trasformata in debolezza, e i fenomeni che accompagnano normalmente un’eclisse prolungati per quasi un intero anno. Abbiamo avuto un’estate senza caldo… i raccolti gelati dai venti del nord … la pioggia sembra si rifiuti di cadere.”
Cosa è veramente accaduto, nello Stretto della Sonda? L’analisi dei tronchi d’albero e delle carote di ghiaccio di tutto il mondo conferma che intorno a tale data si è verificata nel nostro pianeta una eruzione vulcanica di immane portata, tale da oscurare il sole e far subire un rallentamento nella crescita degli alberi. L’eruzione ha lanciato nell’atmosfera fra 10 e 80 chilometri cubi di materiale, producendo in tal modo una nuvola di spessore variabile fra 20 e 150 metri, su tutto il globo. L’enorme volume di vapore acqueo immesso nell’atmosfera ha prodotto enormi nuvole stratosferiche di ghiaccio, causando la parziale distruzione dello strato di ozono. Secondo gli scienziati, l’insieme di questi fattori dovrebbe causare un iniziale raffreddamento globale dell’ordine di 5-10 gradi per circa 10-20 anni. Successivamente, invece, si ha un riscaldamento globale, a causa del vapore acqueo residuo ancora in circolo (un gas serra, non dimentichiamolo) e del calo dell’ozono. Anche se occorre cautela nel valutare le affermazioni degli autori antichi in merito alle carestie, spesso esagerate, l’eruzione del 535 d.C. ha presto conseguenze climatiche globali, documentate in modo inoppugnabile dalle ultime ricerche paleoclimatologiche. La temperatura media dell’Europa passa da circa mezzo grado in meno di quella attuale (535 e anni precedenti) , a ben 3,37 gradi in meno nel 536, che diventa così l’anno più freddo di tutta la storia del nostro continente, e si attesta su livelli inferiori di circa 2 gradi per tutto il ventennio seguente. L’anomalia negativa non cessa prima del 565 d.C.. Seguita, come previsto, da un forte riscaldamento: fra il 575 ed il 596 la temperatura europea si porta a livelli analoghi  a quelli attuali, in alcuni anni addirittura  ben al di sopra, come nel 595, probabilmente l’anno più caldo dell’era volgare. Le conseguenze dell’eruzione non sembrano cessare prima dell’inizio del VII secolo. Si tratta della più grave ed improvvisa fra tutte le variazioni climatiche degli ultimi 2000 anni. Per dare un’idea delle proporzioni, basti pensare che il 1929 (anno celebre per il terribile inverno) e il 2003 (altrettanto noto per il calore estivo) hanno presentato una anomalia  rispettivamente negativa e positiva dell’ordine di mezzo grado. Purtroppo, non disponiamo di dati di dettaglio sufficienti per capire in termini scientifici gli effetti su scala locale. Di questi squilibri resta traccia soltanto nelle parole di chi li ha vissuti. Citiamo solo tre esempi, particolarmente notevoli e significativi. Procopio ( Storia delle guerre, III, 29): Nel 540 a.C. nel delta del Nilo, per la prima volta a memoria d’uomo, le semine vengono impedite a causa del lento ritrarsi delle acque del fiume, giunto ad un livello di piena di ben 18 cubiti. Ricordiamo che l’Egitto era la principale fonte di approvvigionamento di grano per Costantinopoli. Sempre Procopio ( Storia delle guerre, IV,15): L’autore non indica con precisione l’anno, ma sostiene che il prolungato spirare di venti da Sud causa un autunno così caldo che tutti gli alberi rifioriscono e si coprono di fiori prima e di frutti dopo. Le uve ricompaiono sulle viti. Dal contesto e dalla biografia di Procopio si deduce che l’episodio si è verificato in Asia Minore.
Paolo Diacono (Historia Langobardorum, III, 23  e IV, 2): Nell’anno 590, il 23 ottobre, sui territori della Venezia, della Liguria e di altre regioni d’Italia si scatena un diluvio di cui non si ritiene esserci stato l’eguale dai tempi di Noè. Il Tevere arriva a scorrere sopra le mura di Roma, allagandone moltissimi rioni. Nell’anno successivo, invece, si registra una terribile siccità: non piove da gennaio a settembre, il Trentino è invaso dalle locuste. Secondo recenti teorie (D. Keys, 2000) il raffreddamento climatico potrebbe essere stato la causa scatenante della peste cd. “giustinianea”, che infuriò per tutta Europa nel 540-542 decimandone la popolazione. In effetti, il bacillo della peste muore se esposto a temperature superiori a 30°C. Una riduzione delle temperature nella zona in cui il bacillo era endemico (Grandi Laghi africani), con un complesso meccanismo di moltiplicazione legato anche alle abitudini dei ratti, ne avrebbe scatenato una incontrollata proliferazione. Non a caso, secondo Procopio ( Storia delle guerre  II 22-23 ) , il morbo iniziò a diffondersi a partire dall’Egitto. Pur senza abbandonarsi ad un acritico determinismo climatologico, occorre riconoscere che l’eruzione del 535 d.C. è un evento in grado di spiegare almeno una buona parte del collasso delle strutture economiche e sociali ereditate dall’antichità greco-romana nel bacino del Mediterraneo. E’ probabile che i capricci del clima siano almeno in parte responsabili del penoso stato della Via Flaminia, così come descritto da Cassiodoro con accenti che sembrano quelli di un epitaffio, dedicato ad un intero mondo piegato dalle forze ostili della natura: “ iter Flaminiae rivis sulcantibus exaratum, hiantas ripas latissima pontium interiectione coniungite, oppressas margines platearum asperrimis silvis enudate” (Var . XII 18,3).

Per i dati climatologici: http://wdc.cricyt.edu.ar/paleo/recons.html Per i dettagli sull’eruzione del Krakatoa: http://www.ees1.lanl.gov/Wohletz/Krakatau.htm Le citazioni da Procopio, Giovanni Lido, Michele il Siriano e Cassiodoro sugli effetti immediati dell’esplosione sono tratte dal seguente articolo: http://www.hbci.com/~wenonah/history/535ad.htm Per una documentazione di base sul Krakatoa, da cui è tratta anche la citazione di Ranggawarsita: S. Winchester, Krakatoa , Longanesi, 2004. Una ardita teoria sugli effetti globali dell’eruzione è stata esposta da David Keys in Catastrofe Ed. Piemme, 2000.

Si ringrazia la dott.ssa Monica Lupparelli per la consulenza metodologica sulle fonti antiche.

autore: LUISITO SDEI

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Di Nicola

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