Le battaglie conciliari in Oriente tra IV e V sec.

I secoli IV e V d.C. hanno segnato alcune tappe fondamentali nella storia della dissertazione dogmatica sul Cristianesimo. Per fronteggiare alcune tendenze separatistiche in seno alla Chiesa o per affermare e chiarire le posizioni ufficiali della stessa sulle questioni di fede vennero convocati, in 126 anni, da 4 Imperatori diversi ben 5 Concili Ecumenici piuttosto travagliati (di cui gli ultimi 3 in un arco di tempo di soli 20 anni), che testimoniano come l’argomento religioso ormai vivesse in profonda simbiosi con l’assetto politico dell’Impero, e traesse da esso corroborazione; anzi si può dire che fosse parte integrante, e spesso pregnante, dello stesso. Non si può nascondere che, a quel tempo, le controversie religiose assumessero connotati di natura palesemente istituzionale, un dato di fatto che sarebbe stato confermato anche nei secoli a venire. E specie nell’Impero Romano d’Oriente, ormai divenuto fulcro indiscutibile della cultura e della politica del tempo.

Partiamo dal primo: il Concilio Ecumenico di Nicea, il Primo della storia. Convocato da Costantino I nel 325 a Nicea (Frigia) e presieduto dallo stesso Imperatore, si rese necessario per dirimere in via definitiva le feroci dispute all’interno della Chiesa cristiana sorte in merito ad alcune questioni dogmatiche, prima tra tutte la polemica sulla natura del Cristo che aveva dato impulso alla dottrina eretica del presbitero alessandrino Ario, il quale per le sue predicazioni si era già guadagnato diverse condanne e scomuniche. L’assemblea ebbe luogo tra il 19 e il 25 luglio presso il Palazzo Imperiale, vide la partecipazione di 318 ecclesiastici, tra i quali due rappresentanti di papa Silvestro I, e a tratti raggiunse livelli di accesa animosità: il vescovo umanista veneziano Pietro de’ Natali, nel suo Catalogus sanctorum et gestorum eorum (1369-1372), racconta l’aneddoto di un infervorato San Nicola di Bari che, durante la discussione sulle tesi di Ario, arrivò persino a schiaffeggiare l’eretico. Le conclusioni a cui giunse il primo grande Concilio Ecumenico nella storia della Cristianità sono note a tutti: la condanna definitiva della dottrina ariana, secondo la quale Cristo era stato creato dal Padre, non condividendo con Esso la natura divina; l’affermazione della Verginità di Maria, peraltro già ribadita nel Vangelo di Matteo; l’elaborazione di una Professione di Fede, il cosiddetto Credo Niceno, in cui veniva confermato il dogma della consustanzialità (“della stessa sostanza”) del Padre e del Figlio e quello della non-creazione, ma della generazione del Figlio contestualmente al Padre (non creato ma “generato dal Padre prima di tutti i secoli”). C’è da dire, però, che l’arianesimo non fu totalmente sradicato dalle menti, in quanto alcuni successori di Costantino (Costanzo II e Valente), dichiaratamente ariani, tentarono di reimporre la dottrina eretica, rendendosi perciò necessario un Secondo Concilio Ecumenico, stavolta convocato nel 381 a Costantinopoli e presieduto da Teodosio I, col quale si ribadì l’ortodossia condannando nuovamente le posizioni ariane, e si ampliò la portata del Credo Niceno estendendo il dogma della consustanzialità anche allo Spirito Santo.

Il Terzo Concilio fu convocato 50 anni dopo ad Efeso, Lidia, nel 431. A presiederlo fu Teodosio II, a renderlo necessario un’aspra diatriba tra due patriarchi orientali, Nestorio di Costantinopoli e Cirillo d’Alessandria, relativa nuovamente alla natura di Gesù Cristo e, conseguentemente, a quella di Maria: il Nestorianesimo sosteneva che in Cristo coesistessero due persone distinte, caratterizzate da una natura divina e una natura umana, e che Maria fosse solo ed esclusivamente madre del “Cristo terreno”, non “Madre di Dio”. Cirillo si fece invece difensore agguerrito dell’unicità della natura del Cristo, uomo e Dio allo stesso grado e in forma compiuta, e della genitorialità di Maria che ha dato alla luce Dio in forma di Uomo. Le posizioni di Cirillo prevalsero nettamente, e il Concilio condannò le posizioni di Nestorio, riconfermando e lasciando invariato il contenuto del Credo Niceno fino ad allora elaborato.

E siamo giunti al Quarto Concilio, quello su cui vale la pena spendere qualche parola in più, pur non essendo stato riconosciuto come ufficiale dalla Chiesa, e pur essendo stato “cassato” appena due anni dopo da un nuovo Concilio “sostitutivo e sanatorio”: stiamo parlando del Secondo Concilio di Efeso, che nella sua non ufficialità passò alla storia come il “Concilio dei Briganti”.

Dopo Ario e contemporaneamente a Nestorio infatti, era emerso un nuovo personaggio che aveva messo in discussione le posizioni dogmatiche tradizionali, ossia Eutiche, archimandrita di Costantinopoli il quale, proprio in polemica con lo stesso Nestorio, a partire dal 448 scese in disputa con esso sostenendo la concezione monofisita del Cristo, secondo la quale Gesù ha natura esclusivamente divina (dal greco moné-physis=una sola natura). La dottrina eutichea aveva avuto molto più seguito di quella nestoriana, arrivando a coinvolgere direttamente il seguito imperiale. Eutiche godeva dell’appoggio dello spietato e ambizioso patriarca Dioscoro I (Papa per la Chiesa Copta), succeduto a Cirillo sulla cattedra di Alessandria a seguito della morte di quest’ultimo, nel 444. Ma non solo: ad esso si aggiungevano il potente eunuco Crisafio e il magister militum Nomo, i due soggetti in assoluto più influenti sul debole animo di Teodosio II. E fu proprio sotto la loro influenza, e la spinta dottrinale di Dioscoro, che l’Imperatore convocò nell’agosto del 449 un quarto Concilio Ecumenico, anche questo ad Efeso come 18 anni prima quello precedente. La presidenza fu affidata allo stesso Dioscoro, in collaborazione con i vescovi Giovenale di Gerusalemme e Talassio di Cesarea. L’8 agosto fu aperta la prima sessione dei lavori, a cui presero parte complessivamente 198 vescovi, tra cui anche alcuni rappresentati del Papa di Roma Leone I. Tra i giudici mancava Flaviano, patriarca di Costantinopoli, in quanto si era già espresso sulle tesi monofisite scomunicando Eutiche in un sinodo appositamente convocato nel novembre del 448. I lavori procedettero in un’atmosfera assai agguerrita: tra molteplici episodi di intimidazione da parte di Dioscoro e del suo seguito nei confronti dei nestoriani e in generale dei prelati anti-eutichei, fin da subito si evidenziarono influenti simpatie per l’archimandrita eretico, mentre l’epistola dogmatica di Leone I Tomus ad Flavianum indirizzata a Flaviano, in cui si ribadiva la contrarietà di Roma alle dottrine monofisite, rimase lettera morta. Addirittura, con un colpo di mano, lo stesso Dioscoro arrivò ad accusare Flaviano e i legati pontifici di sostenere l’eresia nestoriana, già condannata 18 anni prima. Innegabile fu l’appoggio al monofisismo anche da parte dello stesso Imperatore. Nonostante l’aggressione a Flaviano con la quale fu costretto a lasciare i lavori e a rinunciare alla carica di patriarca di Costantinopoli (fu costretto all’esilio e morì poco tempo dopo a causa delle percosse subite), e nonostante la dichiarazione di nullità del Concilio da parte di papa Leone I, che arrivò a definirlo un “latrocinium”, ossia un vero e proprio atto di “brigantaggio” dottrinale, Teodosio II, in piena controtendenza rispetto ai predecessori che avevano convocato le precedenti assemblee, dichiarò la validità delle posizioni ivi approvate (pur se attraverso coercizioni e minacce), ossia le concezioni monofisite sull’unica natura divina del Cristo. Tant’è che, in polemica con Roma e con i vescovi soccombenti nella disputa, l’Imperatore fece comprendere gli atti ufficiali del Concilio all’interno del suo Codex theodosianus, la raccolta da lui voluta di leggi, costituzioni e atti normativi a partire da Costantino I. Il monofisismo era divenuta dottrina ortodossa, nell’Impero. Tutte le altre posizioni, condannate. Eutiche, assolto dall’accusa di eresiarca. Era la prima volta che accadeva: un’eresia avallata dal sovrano, riconosciuta come dottrina ufficiale e difesa in tutto l’impero.

Ma la fortuna delle posizioni monofisite ebbe durata breve: con la morte di Teodosio II nel 450 il suo successore Marciano, su pressione della moglie Pulcheria, donna fedele a Roma e sorella dell’imperatore defunto, si affrettò a convocare nell’ottobre del 451 un nuovo Concilio Ecumenico a Calcedonia (città della Bitinia di fronte a Costantinopoli), al quale presero parte quasi 600 vescovi, con il quale vennero totalmente ribaltate le conclusioni del “concilio dei briganti” di due anni prima, condannando in via definitiva gli orientamenti monofisiti di Eutiche e Dioscoro. Ciò non significò decretare il successo dei Nestoriani. E’ vero, si ammetteva la duplice natura del Cristo, ma contrariamente ad essi non si riconosceva il corpo di Gesù come un solo “contenitore” della sua natura divina: Egli è completamente umano e completamente divino, partecipa dell’una e dell’altra natura allo stesso modo, rappresenta due “persone” e non solo due “nature”, e Maria Vergine è Madre sia dell’Uno (uomo) che dell’Altro (Dio). Conclusioni che porteranno di lì a poco allo scisma delle Chiese copte egiziana ed etiopica, le cosiddette Chiese Miafisite, secondo le quali in Cristo vive un’unica natura (mia-physis=una natura), divina e umana insieme: tali Chiese non riconosceranno la validità delle conclusioni del Concilio di Calcedonia, che passerà alla storia, cancellando completamente la vergogna del “latrocinium” di Efeso, come il solo e autentico Quarto Concilio Ecumenico della Cristianità.

 

autore: ANDREA ZITO

 

Bibliografia

–       Giorgio Ravegnani, Introduzione alla storia bizantina, Il Mulino 2008

–       Price, Richard, and Gaddis, Michael, The Acts of the Council of Chalcedon, Liverpool University Press, 2005-2007, vol 1 pp.30-37.

 

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