È ben nota la tesi del Rohlfs della continuità tra il greco classico e il greco di Bova, e sul greco di Calabria in genere, che non è priva di argomenti, se badiamo a certa fonetica (àsamo e non àsemo/àsimo); ma non pare altrettanto sorretta da una più ampia disamina del vocabolario e della sintassi. Questa è, in tutto il dialetto calabrese di sostrato greco (oggi a mezzogiorno di Catanzaro), piuttosto neoellenica e romea, anche se espressa con parole ormai prevalentemente neolatine e italiane, e solo un quinto sono elleniche; ma i nessi sono del tipo: “vaiu mu vijiu”; “mangiau nommu moria”; “si non era mortu, dicia”. I parlanti non hanno memoria storica e consapevolezza di star pensando in greco, e non ne avvedono neppure molto gli studiosi. Ma è come se il parlante pensasse ancora in greco bizantino: si fa uso in dialetto di un aoristo per indicare l’azione o stato senza riferimento al tempo (“eu dissa”), mentre il perfetto è scomparso, ridotto ad aggettivo e conservato in cognomi (Fragomèni) e toponimi (Catalimèni); così come il futuro, che si esprime con il presente “domani vajiu” o “vojjiu u vajiu”; mancano congiuntivo e infinito.

Se dunque qualche termine può essersi conservato dai remoti secoli della classicità magnogreca, o si dica italiota, il greco sostrato del dialetto calabrese è quello romeo, effetto del lungo periodo di appartenenza della Calabria a sud del Crati all’Impero e Chiesa (nessuna distinzione) di Costantinopoli. Tuttavia si lasciano notare delle singolarità meritevoli di attenzione, in particolare nell’accentuazione, che è più varia della tendenza monotonica infine dominante, e nella conservazione di toponimi proparossitoni come: Amàroni, Aràmoni, Candìdoni, Cèntrache, Cròpani, Dàvoli, Filòcastro, Gàlatro, Gallìpari, Iòppolo, Lìtroma, Maròpati, Màrtone, Mèlito, Nicòtera, Papasìdero, Paradìsone, Pìzzoni, Polìstena, Rizzìconi, Sciarapòtamo, Scilòtraco, Spìlinga, Stefanàconi, Tripomèlingi … e cognomi come Blèfari, Càllipo, Cantàfora, Càristo, Ceràvolo, Colòsimo, Còrapi, Còssari, Dàscolo, Dàttilo, Dèstito (Sèstito), Filòcamo, Flòccari, Fòlino, Mezòtero, Mùccari, Mùngari, Mùstica, Pìscopo, Pròchilo, Prosdòcimo, Rìzzica, Santòpolo, Sìclari, Sìlipo, Sinàtora, Sinclìtico, Staròpoli, Tòdaro (Sòdaro), Trìchilo, Trìmboli; e anche nomi e aggettivi comuni: càntaru, làpparu, nòsimu, pìritu, spìdussa, vèdussa…

Altrove, tuttavia, si dice Melìssa, Pilìnga, e calòmma, camàtru da kàloma e kàmatos. Quando alla fonetica, i mutamenti rispetto alla pronunzia erasmiana sono evidenti. Del resto già nel greco classico di Reggio romana, attestato da numerose iscrizioni anche funerarie e quindi più private che ufficiali (chere per chaire, kratèei per kratàiei), provano mutamenti di pronunzia in atto almeno per il dittongo ai. In un atto notarile del 1243, ancora in greco, il rogante, o almeno il copista, anche ripetendo la stessa parola scrivono indifferentemente eta, iota, ipsilon e il dittongo oi, evidentemente tutti sentiti ugualmente come suono di i. Il mio cognome, Nisticò, coesiste con Nesticò. I pochi testi sono pur sempre lingua scritta, e poco ci consentono di argomentare.

Non c’è dunque netta uniformità, né territoriale né diacronica. Intanto il greco era affiancato dal latino e neolatino (forse, più esattamente, italiano medioevale), se cognomi come Calì / Bello, Palaia / Vecchio coesistono in più luoghi. Del resto possiamo solo immaginare quale sia stata la formazione del greco nella Calabria romea, e attraverso quali apporti e da quale area del vasto impero, multiforme, credo, anche sotto l’aspetto linguistico: secondo da dove venissero i contadini soldati della dinastia macedone, i funzionari, gli ecclesiastici, i monaci; portando, come usanze e culti di santi particolari, anche varianti linguistiche del greco imperiale dall’Anatolia o dai Balcani o dalle isole. Né possiamo dimenticare che in alcune aree, soprattutto in Puglia, la lingua armena aveva dignità pari al greco. Sembra si possa intuire una fase che segue l’evoluzione del greco antico fino all’odierno neogreco, ma interrotta, almeno in alcune aree, dopo la rescissione dei rapporti politici tra i Romei di Calabria e l’Oriente, databile dallo scisma del 1054 e dalla presa normanna di Reggio del 1060; e cristallizzata senza poter ricevere ulteriori modificazioni. Il greco di Calabria può essere pensato come il greco del X secolo senza ulteriore percorso. Già “area isolata”, e in cui la lingua greca era mista a larghe zone sia geografiche sia sociali di lingua neolatina, la Calabria greca perde i contatti quotidiani con la grecità, e quando mantiene quelli culturali, è in lingua dotta; e quelli che ancora per due secoli parleranno greco, e per altri secoli continueranno e continuano a dire argagno e chalona e strumbu, infine dimenticheranno che stanno pronunziando parole greche; e quelli che diranno e dicono “iu fìcia” per dire una cosa presente, usano l’aoristo, ma credono, loro e i loro stessi dotti, che sia il tempo perfetto del latino.

autore: Ulderico Nisticò

 

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Di Nicola

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