crispano

In questo articolo desidero evidenziare come non solo Taranto, ma anche un paese della sua provincia, conservi testimonianze della “presenza” bizantina sul suo territorio, testimonianze ancora visibili nell’ “agro” crispianese.
Situato a 15 Km dal capoluogo Taranto, Crispiano attualmente conta una popolazione di circa 13.000 abitanti, su di un territorio di vaste proporzioni.
Il territorio venne abitato sin da epoca preistorica, come è testimoniato dalla tomba della “Tumorali”, scoperta dagli archeologi nel 1917 e conservata nel Museo Archeologico di Taranto. In epoca greca venne abitato principalmente nelle contrade di “Triglio” e “Cacciagualani”, che hanno fornito numerosi ed interessanti reperti custoditi nel sopra menzionato museo.
In epoca romana nacquero sul territorio due grandi aziende agricole, una in contrada “Lupoli”, di proprietà di Calvia Crispinilla, cortigiana di Nerone, l’altra appartenente a Justus, che era un grosso proprietario terriero in contrada “Cigliano”. Secondo il Ferrari, l’Aar, il Racioppi e il De Giorgi il nome con cui si denomina il paese sopra citato nasce durante la dominazione romana; infatti questi eminenti studiosi sostengono che le località aventi il suffisso in “ano” sono di sicura origine romana.
Con la caduta dell’impero romano d’occidente e l’arrivo in Italia di numerose popolazioni barbariche, Crispiano come villaggio venne molto probabilmente distrutto. Ma è probabile che lungo il “Vallone” ( con questo termine vengono indicate numerose grotte presenti alla periferia di Crispiano moderna) la vita continuasse. Mentre l’Italia intera era sopraffatta da violenze, conquiste e sopraffazioni, non poche persone si consacravano alla preghiera, alla penitenza, al lavoro. Si dava così inizio a una serie di comunità eremitiche, separate tra loro, alle dipendenze del Vescovo di Taranto. Schiere di uomini trovarono il silenzio e il raccoglimento necessari alla meditazione e alla preghiera nelle grotte naturali o scavate da loro stessi nel tufo. Fu Sant’Atanasio, che nel recarsi a Roma (339 d.C.), divulgò in Italia la santa vita degli sperduti tra i deserti della Tebaide. San Girolamo assicura che gli anacoreti d’Oriente ebbero nelle contrade pugliesi degli imitatori. A questo proposito ricorda la vergine Santa Sofronia, vissuta tutta sola nei boschi dell’isoletta di San Pietro, nei pressi di Taranto, dove finì i suoi giorni sereni prima dell’anno 420 d.C.
Il conflitto greco – gotico (535 d.C. -553 d.C.) permise ai Bizantini di conquistare l’Italia e strapparla ai Goti, ma ben si conosce come esso portò distruzione, miseria e devastazione. Anche la Puglia venne coinvolta nel conflitto, in particolare nell’ultima fase. Si ritiene che le grotte del “Vallone” fossero rifugi sicuri per chi intendesse sfuggire agli orrori della guerra greco – gotica e per chi volesse darsi a vita penitente.

Dal 717 d.C. al 741 d.C. regnò a Bisanzio Leone III Isaurico. Egli è passato alla storia col nome di imperatore iconoclasta, in quanto si opponeva alla venerazione delle immagini sacre. Incominciò a distruggerle e a perseguitare i cristiani che le veneravano. Pertanto chi non voleva sottostare alla politica iconoclasta dell’imperatore era costretto ad abbandonare Bisanzio o la parte orientale dell’impero bizantino. Molti cristiani e specialmente religiosi (monaci basiliani) emigrarono per sfuggire all’ira dell’imperatore. Sicuramente non pochi cristiani, giunti dall’Oriente, si rifugiarono nelle grotte dell’ “agro” crispianese ed in particolare lungo il “Vallone”, portando nella provincia tarantina la lingua, i costumi e il rito greco. Il numero degli abitanti aumentò notevolmente. Accanto alle grotte adibite ad abitazioni ne furono scavate altre utilizzate come luoghi di culto. Alcune di queste divennero ben presto luoghi di vita sociale organizzata. Le chiese, sotterranee o scavate nel tufo, vennero dipinte secondo le usanze e lo stile greco. Nelle immagini domina il colore rosso, l’azzurro e l’oro. Le pareti delle cappelle restano, in parte ancora oggi, decorate con figure della Madonna, generalmente col Bambino in braccio o sulle ginocchia, con altre figure di Santi e di vescovi. Le immagini sono completate da didascalie scritte, molte in lingua greca, alcune in latino. Il “Vallone”, così come altre zone del territorio di Crispiano, accolse numerose grotte-cappelle, i cui resti si possono ancora oggi ammirare. Non possiamo a questo punto non ricordare due cripte presenti nello scosceso fianco nord del “Vallone”: la cripta più grande è ricordata con i nomi dei Santi Crispo e Crispiniano, mentre la più piccola viene menzionata con il nome di San Paolo. Entrambe sono piene di sigle, di iscrizioni, di immagini di santi stecchiti e stilizzati, di volti sparuti di Madonne. Purtroppo gli affreschi sono in pessimo stato e necessitano di lavori urgenti di restauro e conservazione.
Nello stesso periodo temporale preso in esame ebbe inizio una coltivazione più razionale delle terre, poiché i monaci basiliani introdussero nuove tecniche agricole nell’ “agro” crispianese. Tutto ciò permise agli abitanti della zona di abbandonare l’agricoltura rudimentale che avevano fino ad allora praticato. Il Gallo ritiene che i cristiani greci giunti nel territorio di Crispiano non ignoravano l’esistenza e la sicurezza delle grotte sopra menzionate. Così può spiegarsi la intensa e rapida immigrazione delle famiglie dei “Calogeri”, provenienti probabilmente dal Peloponneso, nei secoli VIII e IX, che misero a coltivazione numerose terre di Crispiano, iniziando con le piantagioni dell’ulivo, pianta tipica e molto diffusa in Grecia. E’ da presumersi che i “Calogeri” fossero alle dipendenze dell’abbazia di San Pietro, sita sull’isola maggiore delle Cheradi (isole molto vicine alla città di Taranto) e che fu la più antica e celebre comunità monastica greca in Taranto. Pertanto la popolazione ellenica che pian piano andò addensandosi nel “Vallone” di Crispiano si fuse con i pochi e primitivi autoctoni, da tempo dimoranti in queste grotte, per comunanza di vita e di sentimenti cristiani. La tranquillità e la pace che regnavano nelle silenti gravine dell’altopiano tarantino furono solo un dolce ricordo da quando i Saraceni fecero numerose incursioni su Taranto e le città vicine. A partire dall’ 839 d.C i Saraceni seminarono squallore, desolazione e terrore su tutta la provincia di Taranto, riducendo in schiavitù coloro che riuscivano a catturare. I Bizantini cercarono di contrastare e di sconfiggere i Saraceni, ma con scarsi risultati. Solo il comandante bizantino Leone Apostype seppe sconfiggere le armate musulmane nell’ 881 d.C., scacciando i Saraceni da Taranto. Anche il X secolo si aprì con i continui attacchi dei Musulmani su tutto il territorio pugliese costiero. Oria, snodo importante sulla strada che collegava Otranto a Taranto, venne rasa al suolo dai Saraceni nel 924 d.C. Taranto seguì la sua sorte nel 927 d.C. Il Merodio racconta che i cittadini di Taranto che scamparono alla morte o non furono ridotti in schiavitù dai Saraceni, si rifugiarono nelle grotte dell’ “agro” crispianese, ove protetti dalle boscaglie fitte, ritrovarono pace e tranquillità. Furono accolti dai monaci basiliani, già da tempo stanziatisi in questi luoghi, che offrirono loro vitto, alloggio e il conforto della fede cristiana in quel momento di smarrimento universale. I profughi tarantini occuparono anche i casali di San Simone e di Cigliano. Ancora oggi i vecchi contadini crispianesi conservano i ricordi dell’esodo. Quei tarantini scampati alla distruzione della città, ben presto compresero che non era possibile per il momento ricostruire la città (infatti per quaranta anni contemplarono le sue mute e grandiose rovine) e per sopravvivere iniziarono il dissodamento e la coltivazione di alcuni appezzamenti di terreno.
L’imperatore Niceforo II Foca (963 d.C. -969 d.C.) ordinò la ricostruzione di Taranto (967 d.C.) sul progetto di un architetto che aveva il suo stesso nome, sia per riaffermare la potenza bizantina sul Mar Jonio, sia per combattere più efficacemente i Saraceni. Così Taranto divenne un “Kastron” bizantino. Riguardo alle genti tarantine rifugiatesi quaranta anni prima nei luoghi sopra menzionati, ben pochi vollero ritornare a Taranto, sia per i dolorosi e paurosi ricordi dei Saraceni, sia perché si erano adattati a lungo andare alla vita dei campi. Pertanto preferirono ad una vita di pericoli e di incognite un’ occulta esistenza sui monti. Quindi l’imperatore Niceforo II Foca per ripopolare la città bimare prelevò numerosi coloni dalla Grecia ed in special modo dal Peloponneso.
Infine nel secolo XI i Bizantini sconfissero ed allontanarono definitivamente i Saraceni dalle coste ioniche e resero stabile il loro potere su tutto il Salento. I Calogeri di Crispiano, cresciuti di numero per migrazioni successive venute dall’Oriente, sicuri oramai nella vita e negli averi, iniziarono moralmente e materialmente la rigenerazione di Crispiano.

 BIBLIOGRAFIA

G. OSTROGORSKY, Storia dell’impero bizantino, Torino, 1968;
W. TREADGOLD, Storia di Bisanzio, Bologna, 2005;
A. MERODIO, Istoria Tarentina (manoscritto), Napoli, 1680;
D.L. DE VINCENTIIS, Storia di Taranto, Taranto, 1983;
G. MUSCA, Saraceni e Bizantini, Bari, 1972;
F. GABRIELI, Taranto araba, Bari, 1979.

 

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