Reliquiari, icone portatili, manufatti e utensili, ma anche la più vasta collezione di vasellame bizantino e una grande pala in oro e smalto sono tra i pezzi di maggior pregio del tesoro di S.Marco.
Chiuso nella parte più protetta della basilica patriarcale di Venezia, quello di S. Marco è uno dei pochi tesori medievali tuttora conservati – sia pure con qualche moderna precauzione nel luogo di custodia originale, ricavato in questo caso all’interno di una cappella incassata tra il lato destro della basilica e il cortile del vicino Palazzo Ducale. Si tratta di una sistemazione questa, che riflette in qualche modo il senso stesso della conservazione di questa raccolta, che ha mantenuto intatta se non la sua funzione – dissoltasi nel 1801 con la fine della Repubblica di Venezia – almeno la sua continuità storica. Sebbene assolva da quasi due secoli la funzione di sede episcopale, la basilica di S. Marco nasce come cappella di palazzo, annessa alla residenza ufficiale del principale magistrato di Venezia, il doge. A questa finzione politica della chiesa è connessa anche l’origine del Tesoro che questa conserva, formato in massima parte dai proventi della sistematica spoliazione delle chiese e dei palazzi di Costantinopoli, operati dai Veneziani durante il breve interludio latino di Costantinopoli (1204-1261). L’origine non precisamente devota spiega la composizione fortemente eterogenea di questo patrimonio, che associa a reliquiari e icone portatili una grande quantità di manufatti e utensili di carattere profano. Vi si conserva la più vasta collezione di vasellame prezioso di fabbricazione bizantina tuttora esistente, unica testimonianza del sontuoso apparato cerimoniale in uso presso la corte di Costantinopoli. Alla cura di questa stupefacente raccolta di oggetti sovrintendeva una coppia di procuratori stipendiati dalla Repubblica di Venezia, cui era affidato il compito di custodire e all’occorrenza restaurare i pezzi di oreficeria che nobilitavano la cappella nella quale erano conservate le insegne ufficiali del doge: il corno ducale, il trono, la spada e le trombe in argento che ne annunciavano l’arrivo durante le cerimonie. Il pezzo di maggior valore dell’insieme – la grande pala in oro e smalto, con le storie di Cristo e San Marco – si trova tuttavia sull’altare maggiore della basilica. L’opera, una straordinaria composizione di smalti bizantini e artigianato veneziano, ha una curiosa vicenda storica, nella quale sembra riflettersi l’intera parabola dell’arte pittorica veneziana. Il primo nucleo dell’insieme sarebbe stato commissionato a Costantinopoli dal doge Pietro Orseolo, nel 976. Una nuova sistemazione fu promossa da Ordelaffo Falier (1105), che vi aggiunse alla base le immagini di due personaggi contemporanei, quella dell’imperatrice bizantina Irene e la propria, per la quale fu rimaneggiato il ritratto di uno dei due mariti della stessa Irene. La conquista di Costantinopoli e il bottino che questa comportò per i mercanti veneziani, grandi finanziatori dell’impresa, fornirono il materiale prezioso per una nuova aggiunta alla struttura della pala, che nel 1209 si arricchì dell’intera fascia superiore – la sezione più bella – composta da placchette con scene della vita di Cristo, di sicura origine bizantina. Nel 1345, infine, un intervento promosso dal doge Andrea Dandolo le conferì l’intelaiatura architettonica in filigrana con nicchie e pinnacoli che la fanno assomigliare ad un grande polittico tardogotico.  Vicende parallele a quelle della pala hanno conosciuto diversi altri pezzi della collezione, che hanno spesso subito adattamenti e rimontaggi. Spicca tra questi il caso del reliquiario con il braccio di San Giorgio, che a una teca di cristallo e argento di origine bizantina vide aggiungersi, nel 1325, un prezioso rivestimento in filigrana dorata e smalti traslucidi di raffinatissimo gusto veneziano. Nel vasellame profano, trafugato dai palazzi di Costantinopoli, sono molte le composizioni in pietre semipreziose e smalti; tra queste un vaso esagonale in cristallo di rocca arricchito da un’armatura a lamina con motivi in paste vitree, montata su un piede di cristallo di frattura islamica. Origini non diverse ha una brocca in cristallo e oro sulla quale figura un’iscrizione del X secolo con il nome del califfo. Non mancano oggetti d’arte di natura strettamente religiosa; tra questi la cosiddetta “ cattedra di S. Marco”, un piccolo trono in alabastro scolpito con motivi ricavati dal testo dell’ Apocalisse di probabile origine tardoantica, che si ritiene fosse utilizzato per l’esposizione liturgica del Vangelo. Come ogni tesoro medievale che si rispetti, la collezione era fornita di una reliquia della Croce, contenuta in una bella stauroteca (piccolo scrigno contenente una croce d’oro con la reliquia della vera Croce) bizantina del X secolo. Tra i pezzi più venerati le due icone con l’immagine di Michele e la piccola Vergine Nicopeia –, un’immagine del genere detto acherpita (dipinta da mano non umana), che in epoca medievale si riteneva dovuto al talento pittorico di San Luca – che si trova in una cappella in fondo alla navata destra della basilica marciana.


(Articolo di Lucinia Speciale, da “Medioevo” n. 4 Maggio 1997 .

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