“E c’era non poca gioia il giorno in cui essi entrarono a Gerusalemme, tra singhiozzi e gemiti, tra sfoghi di lacrime dei loro cuori eccitati e commossi, e si percepiva comunione di sentimenti tra l’Imperatore, i principi, le truppe e gli abitanti della città. Nessuno era in grado di intonare i sacri inni a causa delle tremende e profonde emozioni che provavano l’Imperatore e l’intera moltitudine. Eraclio prese la Croce e la rimise al suo posto; riconsegnò anche il vasellame della chiesa e profuse ricchezze ed incenso verso tutte le chiese e verso gli abitanti della città.” 

Era il 12 marzo del 630, e così il vescovo armeno Sebeo racconta la consegna da parte di Eraclio della Vera Croce alla chiesa del Santo Sepolcro, in una cerimonia splendida, trionfale, pervasa di commozione spirituale. E’ forse uno dei momenti più toccanti dell’intera storia romana: l’Impero ricostituito, l’antico nemico abbattuto ed umiliato; la Cristianità trionfante sulla barbarie.
Chi mai vent’anni prima avrebbe potuto prevedere giorni come questo?…

Un inizio drammatico 

Se è vero che alcuni uomini possono essere il soggetto della Storia, non c’è dubbio che tra questi va annoverato Flavio Eraclio, nato tra il 574 ed il 575 da Epifania, di famiglia cappadoce, e da Eraclio, di origine armena. Costui era stato fedele servitore di Maurizio ed aveva fronteggiato con successo i Persiani come magister militum in Cappadocia ed Armenia. Il favore dell’Imperatore lo ricompensò con la nomina, tra il 600 ed il 602, ad Esarca di Cartagine, ove si trasferì con la famiglia dall’Armenia.
Gli anni successivi videro la caduta di Maurizio, l’usurpazione di Foca ed il crollo dell’Impero: nonostante gli sforzi di contenimento, ad occidente gli Slavi si riversavano nell’Illirico e nei Balcani ed a est i Persiani cominciarono ad attaccare con successo Siria ed Anatolia. In breve i rovesci militari, la crisi economica e la feroce tirannide di Foca fecero montare la volontà di ribellione al regime esistente.

Prisco, genero di Foca, comes degli Excubitores e Prefetto della Città, antico generale di Maurizio, prese contatti con l’Esarca di Cartagine che, nel 608, palesò la sua ribellione. Il nipote Niceta attaccò l’Egitto, forte dell’appoggio della potente famiglia degli Apioni, e, dopo aver battuto le truppe fedeli a Foca, s’impadronì del paese, avanzando verso la Siria meridionale. Eraclio il giovane, dal canto suo, a capo di una flotta fece vela verso Costantinopoli. Occupate alcune isole lungo il percorso pose l’assedio alla Città, accampandosi sull’isola di Colonimo, confidando nell’appoggio popolare, nella fazione dei Verdi e nella Chiesa. Foca tentò d’ammansire il rivale inviandogli la promessa sposa e la madre, che aveva attirato a sé con l’inganno, ma invano: il 3 ottobre del 610 Eraclio entrava trionfalmente nella Regina delle Città, faceva catturare e mettere a morte l’usurpatore e, il 5, il nuovo Patriarca Sergio I gli poneva solennemente la corona sul capo. Il nuovo sovrano, lo stesso giorno, impalmava e faceva proclamare Augusta Fabia, ribattezzata Eudocia, giovane figlia di Rogas, proprietario terriero libico.
Raramente si vide una coppia tanto popolare. Fabia venne idolatrata, per la sua grazia e la sua virtù, tanto che quando l’epilessia di cui soffriva la portò via dopo solo due anni, nell’agosto del 612, le sue esequie furono una imponente manifestazione popolare di affetto, ed una servetta che sbadatamente aveva sputato da una finestra, colpendo inavvertitamente il feretro, venne selvaggiamente linciata. Eraclio dal canto suo aveva l’aspetto dell’eroe che l’Impero attendeva: era “bello, alto, più coraggioso degli altri ed un combattente”, testimonia Fredegario, e Leone Grammatico lo descrive come “robusto, bello, di ampio torace, occhi blu, biondo, dalla carnagione chiara e spalle larghe”. Ambizioso, sicuro di sé, amante dell’astrologia, era comunque paziente e riflessivo.

Tuttavia tanto non bastava ed il compito che Eraclio si era prefisso pareva troppo persino per lui, tanto che solo le insistenze del Patriarca Sergio lo dissuasero dall’abbandonare Costantinopoli in favore di Cartagine. Illirico e Balcani erano dominio degli Avari, che ormai avevano assunto il comando delle altre popolazioni slave, e ad oriente i Persiani di Cosroe II Parvez continuavano l’offensiva. Nel 610 cadevano Emessa ed Apamea in Siria e, dopo accanita resistenza, l’anno dopo era la volta di Cesarea in Cappadocia. Eraclio si affidò al suo generale più esperto, Prisco, che del resto aveva dato buona prova di sé presso Cesarea, ma costui si fece battere tanto sonoramente da essere rimosso dall’incarico. L’Imperatore stesso si pose a capo delle truppe ed attaccò valorosamente il nemico. La battaglia si svolse nel 613 presso Antiochia, e la sconfitta costrinse Eraclio a ripiegare verso la capitale. Il risultato immediato fu che Cosroe diresse l’offensiva su due direttrici, una verso il cuore dell’impero avversario, l’altra verso Siria, Palestina ed Egitto. Caddero Tarso e la Cilicia, ed in Siria Antiochia e Damasco. Eraclio tentò di agire diplomaticamente, ma i suoi ambasciatori vennero respinti: Cosroe cercava la vittoria finale ed oramai era convinto di poterla ottenere. Dopo tre settimane d’assedio nel 614 cadde Gerusalemme. L’evento fu di una gravità tale da superare lo stesso aspetto particolare: la città venne rasa al suolo, gli abitanti massacrati, eccetto, a dire di Sebeo, gli Ebrei, che da tempo fiancheggiavano l’ostilità persiana verso i Cristiani, il santo Sepolcro distrutto, la Vera Croce, il Patriarca, le gerarchie ecclesiastiche portati quale preda in Persia. Il nemico dilagò in Siria ed in Palestina: ovunque città, villaggi e monasteri erano devastati, ed i Cristiani massacrati.

La lotta ed il trionfo 

Eraclio si rese conto della necessità di intervenire radicalmente su quanto restava a sua disposizione. Ripiegò in difesa le forze che gli restavano e si preparò con calma e fermezza alla riscossa. Per far fronte alle spese chiese ed ottenne il pieno appoggio del patriarca e si impossessò dei beni della Chiesa; dimezzò il soldo delle truppe e dei funzionari dell’Impero; varò una forma di reclutamento indigeno, per lo più dalle terre anatoliche ed orientali, preferendole a truppe barbare, concedendo terre militari in cambio del servizio, così da assicurarne la regolarità: è l’inizio d’un nuovo sistema che accenneremo ancora in seguito.
L’appoggio della Chiesa fu certo fondamentale, nonostante fosse causa di forti screzi il nuovo legame tra l’Imperatore e la sua seconda moglie, Martina. Tanto Fabia era stata amata quanto Martina fu odiata: essa, molto più giovane di Eraclio, ne era anche la nipote, essendo figlia di Maria, sua sorella, e questo creò enorme scandalo. Sergio incoronò Augusta Martina, ma cercò ugualmente in ogni modo di convincere l’Imperatore a ripudiarla. Il Patriarca Niceforo racconta che una volta Eraclio rispose: “Tu hai già fatto il tuo dovere di sacerdote ed amico. Per il resto, la responsabilità ricadrà su di me”. E ciò che accadde in seguito parve ai detrattori di Martina una prova del peso di tali responsabilità: la coppia ebbe dieci figli, dei quali quattro morti in tenera età e due disabili. Non c’era dubbio che Iddio in tal modo puniva una unione tanto scandalosa. Tuttavia il legame tra i due sposi fu sempre molto forte, ed ella mai abbandonò il marito, restandogli sempre a fianco, anche nelle spedizioni militari, come secoli dopo, forse con motivazioni differenti, farà Irene con Alessio Comneno.
Tutto ciò non rappresentò, in ogni modo, un freno per Eraclio, che ebbe il merito di compattare le forze e lo spirito dell’Impero. In primo luogo l’Imperatore tentò di coprirsi le spalle ad ovest. L’Illirico, la penisola balcanica e financo il Peloponneso erano invasi da orde slave dominate dagli Avari che, tramite i loro monossili , dilagavano anche nelle isole. Tessalonica stessa venne assediata nel 617 e nel 619. Eraclio cercò pervicacemente la pace con il khagan degli avari, rischiò anche di cader vittima d’un suo tranello ma, nel 619, finalmente ne comperò la pace. In oriente, ormai, i Persiani erano nel cuore dell’Anatolia e, conquistate l’intera Siria e Palestina, nel 619 l’Egitto venne investito: l’anno successivo, nell’impossibilità di gestire l’offensiva, il governatore Niceta consegnò ai Persiani, legatisi ai monofisiti, la città di Alessandria.

Una volta che ebbe radunato le sue forze, il 5 aprile del 622, lunedì di Pasqua, Eraclio lasciò Costantinopoli, accompagnato dalla Panagìa. L’estate servì a compattare ed istruire l’esercito dei Romani, che nel settembre dello stesso anno sconfiggeva in Armenia il generale persiano Shahrvaraz. Tuttavia un’invasione in Tracia degli Avari, che avevano stracciato i patti, richiamò indietro Eraclio. Costui dovette aumentare i tributi dovuti agli Avari, e nel frattempo ricevette una missiva colma d’insulti di Cosroe II: in essa il sovrano persiano si riferiva all’Imperatore come ad “Eraclio, nostro stupido ed inutile servo”. La tensione religiosa è comunque testimoniata da Sebeo che riferisce che in questa lettera Cosroe consigliava all’avversario di consegnargli il trono in questi termini: “io ti darà campi, vigne ed uliveti di cui vivere… Quel Cristo che non potè salvare se stesso dagli Ebrei, ma che essi uccisero…, come potrà salvare te dalle mie mani?”
Dopo una breve campagna nel 623, l’anno dopo Eraclio, accompagnato da Martina e dai figli, lasciò la Città al patriarca Sergio e guidò l’esercito contro i Persiani. Si è paragonata questa campagna militare ad una crociata: nella realtà, se è vero che la tensione religiosa fu altissima, e altrettanto vero che l’Impero lottava per la sua stessa sopravvivenza, nella convinzione che Iddio avrebbe battuto i barbari per il tramite del suo terreno rappresentante. I Romani, attraverso l’Armenia e l’Azerbaigian, penetrarono in territorio persiano, distrussero tre armate nemiche ed incendiarono il tempio del Fuoco di Gandža, nel 625.
Per allontanare da sé il pericolo, Cosroe II strinse alleanza con gli Avari, spingendoli nel luglio del 626 contro Costantinopoli, appoggiati da Slavi, Bulgari, Gepidi, mentre Shahrvaraz aggirava a nord i Romani calando verso il Bosforo, attestandosi a Calcedonia. Eraclio non si lasciò prendere dal panico, distaccò parte delle sue truppe che, affidate al fratello Teodoro, sconfissero un esercito persiano di appoggio guidato da Shahin, che si suicidò, ed altri uomini li inviò in soccorso alla Città assediata, dove le imbarcazioni slave che dovevano trasportare i Persiani vennero incendiate, determinando la sconfitta degli assedianti e la liberazione di Costantinopoli, la cui resistenza era stata ammirevolmente guidata dal Patriarca Sergio. Si narra che in quest’occasione per la prima volta venne innalzato l’inno Akathistos quale ringraziamento alla Theotokos, il cui tempio alle Blacherne era rimasto miracolosamente intatto.

La grande vittoria del 10 agosto 626 determinò la fuga dei Persiani dalla capitale, ma soprattutto la fine degli Avari, il cui predominio sugli altri popoli slavi crollò, permettendone la libera migrazione nei Balcani e, in seguito, la nascita delle “sclavinie”. Eraclio riuscì abilmente a dividere Shahrvaraz, il più abile generale persiano, dal suo re, e nel frattempo si assicurò l’alleanza e gli uomini del re dei Khazari, quindi nel 627 riprese l’offensiva, battendo il nemico in Iberia e penetrando in Mesopotamia. Il 12 dicembre, presso l’antica Ninive, Cosroe II venne annientato, e nel gennaio del 628 Eraclio ne incendiò la residenza preferita, Dastagerd. I Persiani erano sconfitti: lo shah venne imprigionato e fatto uccidere dal figlio maggiore, Kavadh II Shiroe, che poco prima era stato diseredato. Nella primavera del 628 il nuovo re persiano offrì la resa in cambio della cessione delle terre occupate, della restituzione dei prigionieri e della cessione della Vera Croce. L’impero persiano era al collaso: dopo pochi mesi Kavadh II morì, nominando il basileus protettore del piccolo erede, Ardashir III, che non esitò a definire suo servo, ma negli anni seguenti lotte di palazzo crearono il vuoto di potere in Persia.
Eraclio, vincitore, tornò a Costantinopoli ed il 14 settembre del 628 vi celebrò un magnifico trionfo; quindi, ottenute Siria, Palestina ed Egitto da Shahrvaraz, consegnò al Santo Sepolcro di Gerusalemme la Vera Croce, che in quegli anni era stata serbata intatta tra i barbari dall’orafo cristiano imperiale Jazdan. Il trionfo non fece scordare al basileus i torti del passato: agli Ebrei, racconta Sebeo, forse esagerando, venne imposto il battesimo, e comunque fu loro vietato risiedere in Gerusalemme, fino a tre miglia dalla città.

Un nuovo Impero 

Queste grandi vittorie non nascevano dal nulla, ma da un enorme sforzo riformatore il cui impulso giunse dall’Imperatore.
Si è già accennato alla riforma militare che Eraclio volle quale strumento necessario per salvaguardare quanto gli restava e per far partire la controffensiva. Usualmente si attribuisce ad Eraclio l’introduzione del sistema dei ??µata, unità amministrative militari formate da soldati territoriali e truppe scelte. In realtà la questione è tuttora controversa, e se da una parte alcuni, come l’Ostrogorsky, non esitano a sostenere questo parere, altri, come il Pertusi od il Baynes, attribuiscono i primi themata al tempo di Costante II. L’Ostrogorsky vede la creazione dei temi di Opsikion, dell’Armenia, dell’Anatolia e dei Carabisiani già sotto Eraclio, adducendo la constatazione che le vittorie successive non potevano avvenire se non in seguito a decise e radicali riforme; un passo di Teofane Confessore, che racconta che nel 622 l’Imperatore si recò nel territorio dei temi; da un cenno relativo ad una regione d’Opsikion. Appare comunque ovvio che il sistema era in nuce, e che in seguito verrà sviluppato a seconda delle necessità contingenti. Del resto già Giustiniano aveva dato origine a territori affidati a comites e praetores con pieni poteri, e Maurizio aveva creato gli esarcati.
Venne inoltre profondamente riformata l’amministrazione statale, sia con lo scopo di alleggerirla ed ammodernarla, sia per seguire una tendenza che portava a slegare l’Impero alle formule del passato. Sparirono le pletoriche prefetture del pretorio, sostituite da organismi più agili e funzionali. Nacque così la figura del Domestikos, con competenza finanziaria. Anche le logotesie ebbero gran sviluppo successivamente.
L’Impero sentì sempre più la tendenza a divenire greco-asiatico e di lingua greca, pur permanendo agganciato alla idea universale romana. Se Egitto e Siria erano monofisiti e di lingua per lo più copta e siriana, Grecia, Tracia ed Anatolia, il nucleo dell’Impero, erano di lingua greca e di credo calcedoniano: lo Stato si adeguò, e così la lingua dell’amministrazione e della Chiesa. Dal 629 anche la titolatura imperiale mutò, sparì la dicitura imperator , caesar , augustus , e venne adottato il titolo di Basileus, e non solo, come alcuni affermano, perché questo era il titolo attribuito agli sconfitti re di Persia.
Ancora, se grandissima si rivelava l’autorità della Chiesa, la figura del basileus si rafforzò potentemente, assumendo aspetti teocratici, a tutela della Chiesa stessa. I panegiristi dell’epoca sono illuminanti, e Teofilatto Simocatta definisce Eraclio “grande vescovo e preside di tutta quanta l’ecumene”, mentre Giorgio di Pisidia lo ritiene il nuovo Mosé, il nuovo Elia, l’occhio splendente dell’ecumene.
Già presente, venne comunque potenziato l’istituto della coreggenza, tramite l’incoronazione degli eredi designati. Eraclio fece incoronare quando era ancora un neonato il figlio avuto da Fabia, Herakleios Neos Konstantinos, conosciuto come Costantino III, nato nel 612, quindi farà in seguito incoronare il figlio nato da Martina, anch’esso di nome Herakleios (la fantasia nello scegliere i nomi non era la maggior dote di questa dinastia…), nato nel 626 e conosciuto come Eracleona, creando dissidi politici dai risvolti drammatici, dal momento che Costantino III, tisico, era chiaro che avrebbe avuto vita breve e, dal momento che Eracleona era un bambino, appariva certo che il potere sarebbe stato nelle mani di Martina stessa.

Politica religiosa 

Chiusa la vertenza persiana, Eraclio e Sergio sentirono il dovere, recuperate le terre monofisite, di risolvere i pesanti e pressanti dissidi esistenti. Fu così che venne propugnata una tesi relativa al Cristo secondo la quale egli si componeva di due nature ma di una unica energia, donde il termine “monoenergismo”. Tale compromesso, inizialmente, ricevette il favore dei Patriarchi d’oriente e di Onorio, Papa di Roma. Tuttavia il nuovo Patriarca di Gerusalemme, Sofronio, nel 634 rigettò tale teoria definendola una volgare versione del monofisismo.
Di fronte al vacillare della dottrina monoenergetica, pressato dall’avanzata araba, Eraclio e Sergio vararono il monoteletismo, secondo cui il Cristo aveva sì due nature, ma una sola volontà. Tale proposizione, più ragionevole del monoenergismo, venne sancita nel 638 tramite l’affissione del documento che la propugnava, l’ Ekthesis , nel nartece di santa Sofia, e venne accolta con riluttanza, seppure avallata dal successore di Sergio, Pirro I, creando presto forti polemiche tanto in oriente quanto in occidente, dove il successore di Onorio sul soglio di Pietro, Severino, cassò l’Ekthesis.

Eraclio, pur impegnato a fondo in oriente, non aveva dimenticato i minacciati possedimenti italiani, ed aveva avuto cura di inviare esarchi a Ravenna che fossero in grado di preservarli dai Longobardi. Dopo l’esarca Eleuterio che, pur dopo avere ristabilito l’ordine a Ravenna, Roma e Napoli, aveva tentato di usurpare il titolo imperiale d’Occidente, l’Imperatore aveva spedito in Italia l’energico Isacio. Sotto il suo mandato tuttavia non si poterono conservare i domini veneti, costringendo così gli abitanti a rifugiarsi a Cittanova o Eraclea, così appellata in onore del basileus, ed a Torcello, ove la chiesa di Santa Maria ricorda l’Imperatore stesso e la fondazione ad opera del locale magister militum , Maurizio. In seguito Isacio, di fronte agli atteggiamenti di Papa Severino, non esitò ad assaltare il Laterano, con la scusante di recuperare le paghe della guarnigione romana, e ad esiliare il pontefice ed il suo seguito.
Ciò tuttavia non servì a rendere più accettabile la politica religiosa eracliana. E, del resto, oramai nulla aveva più senso, in quegli anni.

La Spada di Dio 

Esattamente quando Eraclio celebrava i suoi trionfi contro lo storico nemico dei Romani, nei lontani deserti dell’Arabia quelle tribù di beduini nomadi uscivano definitivamente dalla Giahiliyya , sotto la guida di Muhammad.
Si narra che già prima del 629 il Profeta aveva inviato ai maggiori re del mondo, tra cui Eraclio, delle missive nelle quali chiedeva l’adesione all’Islam e, comunque, già in quell’anno un paio di incursioni di predoni arabi venivano bloccate dalle guarnigioni romane, a Mu’ta. Nessuno diede peso a tali avvenimenti, frutto della nota indisciplina delle tribù desertiche, ma la realtà era ben diversa.

Muhammad moriva nel 632 ed il suo successore, Abu Bekr, già l’anno successivo, soffocate gravi ribellioni interne, si mosse in direzione dei resti del regno lakhmide, già protettorato persiano, e dell’Impero dei Romani. Le motivazioni di tali movimenti non erano meramente a carattere religioso, ma risiedevano nell’impeto d’un popolo nomade desideroso di cercare cibo e bottino, favorito dalla scomparsa degli stati cuscinetto lakhmide e ghassanide; nella necessità del califfo di dar libero sfogo alle energie liberate dalle guerre della “ ridda ”, scatenatesi alla morte del Profeta; dagli inviti di tribù nomade agli Arabi legate per affinità etnica di Hira e della Palestina. Ovviamente, il tutto venne cementato dalla nuova fede, gran legante.
Già nell’autunno del 633 tre colonne di 3.000 uomini ciascuna penetravano in Transgiordania ed in Palestina. I primi scontri sul mar Morto e nei pressi di Gaza si risolsero in vittorie arabe, ed addirittura il patrizio Sergio, comandante militare locale, cadde sul campo. Di fronte alla nuova invasione l’Impero si rese conto del pericolo ed Eraclio, posta sede ad Emesa, radunò un esercito al comando del quale pose il fratello, Teodoro. Non si sa se per ordine di Abu Bekr o per sua propria volontà, nell’aprile del 634 Khalid ibn al-Walid lasciò Hira, che assediava insieme al generale al-Muthanna, e con una marcia prodigiosa unì le sue truppe, ma soprattutto il suo genio militare, alle truppe arabe in Palestina che la controffensiva romana metteva in difficoltà. Teodoro investì le forze avversarie presso Ajnadain, a sud-ovest di Gerusalemme, il 30 luglio del 634, riportando una grave sconfitta: il governatore della Palestina cadde e lo stesso Teodoro si salvò solo grazie alla fuga. Grazie alla velocità negli spostamenti ed alla compattezza delle sue truppe Khalid, la “Spada di Dio”, portò i Musulmani ad una vittoria dopo l’altra: il nuovo comandante romano, l’armeno Vaanes, si fece battere a Pella (Fihl) e a Marg as-Suffar, a sud di Damasco, e la stessa Damasco si trovò assediata nel marzo del 635. Gli Arabi, ovviamente, non avevano cognizioni di poliorcetica e, come i Turchi in Asia minore tanti secoli dopo, si proponevano di bloccare le città per poi prenderle per fame, sperando che le ottime condizioni di resa affrettassero tale momento. Ed in effetti il 10 settembre Damasco aprì le porte a Khalid.
Eraclio, da Antiochia, preparava la riscossa, ed affidò un imponente esercito al sakellarios Teodoro, a Vaanes e al ghassanide Giabala ibn Aihaun. Di fronte a tale spiegamento di forze Khalid preferì ritirare le sue truppe, sgomberando i territori e le città conquistate fino ad allora, e ripiegando in cerca del luogo ideale allo scontro, che individuò sulle rive del fiume Yarmuk, un affluente del Giordano a sud del lago di Tiberiade. Qui infuriò una lunga e sanguinosa battaglia, dall’esito incero fino all’ultimo, ma che si risolse il 20 agosto del 636 in una netta vittoria degli Arabi. I resti dell’armata romana batterono in ritirata ed Eraclio fece sgomberare la Palestina e la Siria, approntando la difesa. Gli Arabi, ora guidati da Abu Sufyan e Muawiya, rioccuparono rapidamente quanto precedentemente sgomberato e posero il blocco a Gerusalemme, da cui il basileus prudentemente aveva fatto portar via la Vera Croce. Nel 638, dopo sette mesi d’assedio, la città santa si arrendeva ai Musulmani.

La fine

Sicuramente era convinzione dei Cristiani che, come anni prima, il loro glorioso Imperatore li avrebbe liberati dai Musulmani, con l’aiuto di Dio. E probabilmente, ritirando le truppe restanti, questa era anche l’intenzione di Eraclio, che, però, non era più l’incomparabile guerriero d’un tempo. L’uomo che, dopo aver sgomberato parte delle terre trionfalmente riacquistate all’Impero poco tempo prima, tristemente ritornava nella capitale, era un uomo stanco, molto malato e forse non del tutto padrone di sé, e solo un tentativo d’usurpazione a Costantinopoli, nel 637, lo costrinse a rientrare a palazzo. La reazione fu molto dura: i rivoltosi, tra i quali comparivano il figlio illegittimo Atalarico ed il nipote Teodoro, ebbero nasi e mani amputate. Questo fatto legò ancor più il basileus alla moglie, ed il figlio Eracleona venne incoronato coimperatore, rinfocolando antiche polemiche e convincendo ancor più molti ambienti che i guai dell’Impero altro non erano che i frutti della punizione divina per i peccati del basileus.

Nel frattempo l’ondata musulmana, abbattutasi violentemente sui Persiani, si riversava sull’Armenia e sulla Mesopotamia bizantina ed alla fine del 639 si affacciava alle porte dell’Egitto. Dopo alcuni insuccessi, 4.000 cavalieri arabi guidati da Amr ibn el-Aas, all’inizio del 640, occupavano Pelusio e, in luglio, battevano i difensori romani presso la fortezza di Babylon, a sud dell’odierno Cairo, ponendo l’assedio alla stessa fortezza. Intanto, più lontano, l’Armenia veniva invasa.
Il governatore d’Egitto, Ciro, chiamato dagli Arabi Muqawqis , il Caucasico, poiché era stato precedentemente vescovo di Fasi, chiese ad Eraclio di poter trattare la resa di Babylon con Amr. Il basileus rifiutò, imponendo la continuazione della resistenza, e depose Ciro, in seguito sospettato di intesa con gli Arabi a causa delle sue simpatie monofisite. Mentre Babylon viveva stretta d’assedio, la stessa sorte si profilava per la ricca Alessandria, che pareva tuttavia ben più decisa a resistere.

Il glorioso Eraclio ebbe la ventura di non dover assistere alla resa di Babylon nell’aprile del 641, né di venire a conoscenza della caduta di Alessandria, l’anno successivo, ceduta ad Amr da Ciro, reintegrato nel frattempo da Martina: reso irriconoscibile dalla malattia, distrutto dall’idropisia, l’11 febbraio del 641 l’Imperatore si era spento. Venne sepolto nella chiesa dei santi Apostoli, accanto a Fabia. Aveva finalmente pagato il fio dei suoi peccati, assicura il Patriarca Niceforo.

autore: SERGIO BERRUTI

Bibliografia essenziale :

Sebeo, Storia di Eraclio
Kaegi W., Heraclius, Emperor of Byzantium, Cambridge
Ronchey S., Lo Stato Bizantino, Torino, Einaudi
Gabrieli F., Gli Arabi, Firenze, Le Lettere

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Di Nicola

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