Giovanni VI Cantacuzeno

Andronico II Paleologo regnava da ormai quasi quarant’anni su un impero in profonda crisi, ma tutto pareva, sia pure tra poche luci e molte ombre, proseguire stancamente verso un futuro relativamente stabile, tanto più che la minaccia catalana era stata deviata verso altri lidi. Il sovrano regnava, suo figlio Michele IX era erede designato e dopo di lui sarebbe asceso al trono il nipote Andronico III, che, adorato dal nonno, era stato da lui nominato coimperatore nel 1316.

Il Gran domestico ed il suo Imperatore

Ma la situazione cambiò presto: il giovane principe fremeva, il suo desiderio di incidere diversamente sulla vita statuale ed i suoi atteggiamenti lo portarono in conflitto con la corte e, nel 1321, dopo un incidente che causò la morte del fratello, con la conseguente scomparsa del padre, Andronico III venne privato del diritti alla successione. Non accettò passivamente la decisione del nonno: in breve raccolse l’adesione di molti amici influenti, tutti rappresentanti della ricca e nobile aristocrazia terriera, e, dalla Tracia, ove era la maggior parte dei possedimenti di costoro, Andronico marciò verso la capitale. Il vecchio imperatore capitolò e concesse la Tracia al nipote. Ma la tregua fu breve.

Tra i sostenitori di Andronico III spiccavano Sirgianni, legato per motivi familiari ai Paleologi, che ottenne il titolo di megaduca, e Giovanni Cantacuzeno, che divenne megas domestikos . Costui, nato tra il 1295 ed il 1296, era di nobile famiglia di grandi proprietari terrieri, e possedeva estese proprietà in Tracia, Macedonia e Tessaglia. Suo padre, Michele, imparentato con i Paleologi e gli Angeli, aveva beneficiato della nuova suddivisione dei territori dell’Impero attuata da Andronico II ed aveva governato da signore feudale la Morea dal 1308 fino alla morte, nel 1316, quando gli era successo Andronico Asen, figlio di Ivan III Asen di Bulgaria e della sorella del basileus. E Giovanni Cantacuzeno aveva sposato proprio la figlia di Andronico Asen, Irene. Comunque Giovanni legò la sua vita a filo doppio con il nipote del basileus e quando Sirgianni lo abbandonò gli restò fedele, giungendo così alla incoronazione a coimperatore di Andronico III nel febbraio del 1325: mai come ora i poteri vennero divisi, e, sendo taluni, fu in quest’occasione che venne adottata l’aquila a due teste. Anche in quest’occasione la tregua durò poco e, mentre i Turchi di Orkhan a forza di dar spallate all’indebolito impero occupavano Brussa e ne facevano la loro capitale, Andronico II cercava l’appoggio della Serbia per cacciare Andronico III. Il quale rispondeva cercando l’appoggio del cognato Michele III di Bulgaria e, al suo fianco, batteva il nonno e occupava la Macedonia e Tessalonica. Il 24 maggio del 1328 Cantacuzeno ed Andronico III entravano a Costantinopoli, quest’ultimo veniva incoronato imperatore ed il vecchio Andronico II, pur conservando il titolo, abdicava alle funzioni. Due anni dopo si sarebbe ritirato in un monastero, per poi morire nel 1332.
il nuovo imperatore dispiegò subito una notevole energia, sia pure proseguendo sulla via tracciata dai predecessori, e molta -se non tutta- quest’energia proveniva dal suo gran domestico, il Cantacuzeno. Venne varata una riforma giudiziaria, che riunì la materia nelle mani di 12 giudici supremi dei Romei, poi ridotti a 4, e si cercò di ovviare alla debolezza militare dell’impero, tra l’altro prevedendo la creazione, spesso con fondi privati, d’una flotta, destinata a svincolare i Romei dalla soffocante tutela genovese. Ma i problemi più pressanti arrivavano da fuori: nel 1331 Stefano Dusan saliva al trono serbo e, seguendo un programma di renovatio imperiale serba, attaccò la Macedonia romea, giungendo fino alle mura di Tessalonica, dopo essersi alleato con il sovrano bulgaro Ivan Alessandro. Ad oriente i Turchi di Orkhan assediavano Nicea, e contro di loro Andronico e Giovanni mossero guerra, subendo però una sconfitta presso Filocrene nel 1329. Il 2 marzo del 1331 Nicea, fino a sessant’anni prima centro della resistenza romana, sarebbe caduta in mano ottomana. A quel punto il basileus e Giovanni cercarono, e trovarono, l’alleanza con gli emiri turchi selgiuchidi timorosi della potenza ottomana: con l’appoggio delle flotte turche venne tolta Chio ai genovesi Zaccaria, venne occupata Focea in Asia Minore e liberata Lesbo, attaccata da forze genovesi. E la ripresa pareva solo all’inizio: se falliva una Lega cristiana contro i Turchi promossa dalla Francia, dal Papa Giovanni XXII, dai Cavalieri di Rodi e da Venezia, cui ovviamente fece parte anche Costantinopoli, i successi di Andronico e Giovanni in Grecia parvero esaltanti. Presto la Tessaglia venne annessa all’Impero, fino ai confini del ducato catalano, e nel 1337, morto il despota Giovanni, Cantacuzeno ed il basileus conquistarono l’Epiro e l’Acarnania, affidandoli al protostrator Sinadeno. A seguito di una ribellione fomentata alcuni anni dopo, Giovanni Cantacuzeno offrì la mano della propria figlia, Maria, al figlio dell’ultimo despota epirota, Niceforo II.

Il tutore

Ancora giovane, Andronico III morì il 15 giugno del 1341. Dal momento che l’erede legittimo, Giovanni V, aveva solo 9 anni, e poiché sotto Andronico il vero sovrano era stato lui, al Cantacuzeno parve naturale assumere la reggenza. E come reggente si comportò, fermando i Turchi, battendo i Serbi e contenendo i Bulgari, anche assumendo truppe a proprie spese. Ma il passaggio di poteri non fu così pacifico come il gran domestico prevedeva: mentre era in Acaia, a rivevere quel territorio dai suoi dignitari, a Costantinopoli la vedova di Andronico, Anna di Savoia, il patriarca Giovanni Caleca e l’oscuro Alessio Apocauco decisero di estrometterlo, assumendo essi stessi la reggenza. Si scatenò la guerra civile. Complicata da un ulteriore fattore esplosivo, la polemica sull’ esicasmo .
Questa dottrina, derivante il suo nome da esichìa, pace interiore quale premio per la contemplazione, nasceva da antiche correnti di misticismo monastico, e si fondava su una tendenza mistico-ascetica che aveva il suo fine nella vista della luce divina. Il teologo athonita Gregorio Palamas elaborò le dottrine teologiche esicastiche fondamentali, cui si opposero il monaco calabro Baarlam e Acindino. Erano dunque nate due tendenze, l’una aperta alla scolastica occidentale, ed unionista, l’altra più legata al misticismo ed alla religiosità nazionale. Vincerà la seconda, legata a Palamas. Comunque già nel 1341 si tennero due concili e le tendenze assunsero valenze politiche: poiché il Cantacuzeno era vicino agli esicasti di Palamas, nonostante le perorazioni di Niceforo Gregora Baarlam vinse, perché appoggiato dal patriarca Caleca. Questa situazione era inoltre complicata da alcuni altri fattori, sapientemente manovrati dai detrattori del reggente, in particolare la sua appartenenza all’aristocrazia, la sua vicinanza ad ambienti monastici ed antiunionisti e le sue aderenze con emiri turchi: Gregora, ad esempio, racconta con orrore dell’estrema liberalità con la quale gli infedeli si muovevano a palazzo, e del resto il Cantacuzeno parlava turco e ben conosceva le usanze straniere.
Giovanni Cantacuzeno non si diede per vinto, ed il 26 ottobre 1341 si fece proclamare imperatore a Didimotico. Non usurpò il trono: la sua posizione sarebbe stata subordinata a quella di Giovanni V e di Anna di Savoia, che sarebbero restati sovrani legittimi. Ma tale azione nulla giovò. e a rendere ancora più convulsa la situazione ci pensò Tessalonica che, caduta nelle mani degli “zeloti”, esponenti d’un movimento popolare ed antiaristocratico, si rese pressoché indipendente, ancorché retta da un comitato congiunto di zeloti e Paleologi legati a Apocauco. In effetti la rivolta di Tessalonica era l’indicatore di una tensione sociale altissima, ben testimoniata ad esempio dal noto Dialogo tra i ricchi ed i poveri del contemporaneo Alessio Macrembolite. A quel punto il Cantacuzeno, disperato, si rivolse ai serbi e ne ottenne l’alleanza. La Tessaglia lo riconobbe imperatore, e fu un primo risultato, ma Stefano Dusan cambiò idea e si rivolse ad Apocauco. Al Cantacuzeno non restò che allearsi ad Umur, turco emiro di Ajdin, ed in seguito con l’ottomano Orkhan, cui diede in moglie la figlia Teodora. E scoppiò più forte che mai la guerra civile, che vide i Turchi, i Serbi ed i Bulgari approfittare delle lotte tra i pretendenti al trono romano per divorare i resti del suo Impero. Nel frattempo Apocauco moriva, Anna di Savoia nella speranza di ottenere l’aiuto di Venezia le cedeva i gioielli della corona e, per dirimere la crisi esicastica, deponeva Caleca e faceva eleggere patriarca un seguace di Palamas, Isidoro. Fu tutto inutile: Giovanni Cantacuzeno, che si era fatto incoronare finalmente primo imperatore ad Adrianopoli dal patriarca di Gerusalemme nel 1346, l’anno dopo, entrato a Costantinopoli e deposta la reggenza, fece ripetere la cerimonia, il 13 maggio, dal patriarca della capitale. Anche in quest’occasione comunque vinse il legittimismo, e Giovanni V ed Anna conservarono il titolo. Anzi, al primo Cantacuzeno diede in isposa una sua figlia, Elena.

L’Imperatore

Le guerre civili avevano distrutto l’impero, e Giovanni VI nulla potè fare. Nel 1346 Stefano Dusan aveva assunto il titolo di Imperatore dei Serbi e dei Romani, e in breve rese vani tutti gli sforzi di Andronico III e di Giovanni VI, conquistando Macedonia, Tessaglia, Epiro. Genova riconquistava Chio. Tra il 1347 ed il 1348 la Morte Nera avrebbe seminato morte e distruzione, colpendo l’Impero, più popolato ed urbanizzato, in modo maggiore rispetto ai suoi vicini, annullando quel po’ di fiducia e di ripresa che poteva essere rimasta. Allo stesso Cantacuzeno, così racconta lui stesso, venne portato via un figlio, Andronico. Le uniche soddisfazioni le ebbe dalla fine della rivolta degli zeloti a Tessalonica, nel 1350, e dalla vittoria dell’esicasmo, dichiarato dottrina ortodossa alle Blacherne nel 1351: ovviamente ciò non pose fine alle polemiche, poiché Baarlam e Acindino vennero scomunicati, e Niceforo Gregora, che, nel frattempo, aveva mutato d’avviso, venne confinato nel monastero di Chora. Non potendo far finta di nulla, Giovanni VI tentò comunque di far fronte al disastro. Cercò appoggi internazionali, ad esempio rinnovando, dopo lungo tempo, trattati con l’Egitto mamelucco, chiese l’aiuto dell’aristocrazia e, soprattutto, abbassò le tariffe doganali della capitale perché divenissero concorrenziali con quelle della genovese Galata. Non pago, cercò d’impedire la frettolosa concessione della cittadinanza veneta, che esentava fiscalmente, e attuò una politica protezionistica in materia commerciale. Il rafforzamento delle mura e il ripristino della flotta prefiguravano una reazione delle potenze marinare che non si fece attendere: le navi genovesi annientarono l’inesperta flotta romea. Giovanni fece incendiare il quartiere di Galata, e la guerra fu fermata solo dai plenipotenziari genovesi, che diedero ragione al basileus, il quale ricevette 100.000 iperperi d’indennizzo. Ma in breve la guerra si sarebbe spostata tra Genova e Venezia. Quest’ultima chiese l’intervento di Giovanni, che si decise solo tardi ad intervenire. e mal glie ne incolse, poiché l’ammiraglio veneziano, un inetto, lasciò solo i romei nella battaglia contro i genovesi. Sconfitto, Giovanni nel 1351 fu costretto ad una pace separata con Genova, e questo provocò un raffreddamento con Venezia. Ne approfittò Giovanni V che, cresciuto, mal sopportava la sua posizione. Egli offrì l’isola di Tenedo ai veneziani in cambio dell’appoggio e di 20.000 ducati. ll Cantacuzeno, per tranquillizzare il giovane imperatore, gli offrì la Tracia, lasciando al figlio, che ne deteneva l’appannaggio, la città d’Adrianopoli: il risultato fu una guerra tra Giovanni V e Matteo Cantacuzeno! Riprese la guerra civile, che vide Giovanni VI appoggiato da Orkhan e Giovanni V da Serbi e Bulgari. Solo ora Giovanni Cantacuzeno si decise a dismettere ogni finzione, ed il figlio Matteo veniva incoronato coimperatore. Con l’aiuto turco Giovanni V veniva battuto ed esiliato a Tenedo, nel 1353. Purtroppo ogni successo era destinato ad avere frutti velenosi. Il patriarca Callista protestò per la defenestrazione dei Paleologi, per cui venne deposto e sostituito dal più mansueto Filoteo. Inoltre, a seguito d’un disastroso terremoto che l’aveva spopolata, Gallipoli venne occupata dagli Ottomani di Suleiman, figlio di Orkhan, e, nonostante le insistenti richieste del Cantacuzeno, in modo permanente.

Il monaco

Era troppo. Il Cantacuzeno aveva forse tardato troppo, ed ora era troppo tardi per i suoi progetti. Aiutato dal genovese Francesco Gattilusio, cui promise la sorella e l’isola di Lesbo, Giovanni V fuggì da Tenedo e raggiunse Costantinopoli, nel novembre del 1354. Stanco, Giovanni VI abdicò il 4 dicembre dello stesso anno, e si fece monaco, con il nome di Joasaph.
La storia dei Cantacuzeni tuttavia non terminò, né Joasaph sparì nel nulla: Matteo Cantacuzeno continuò, ancora fino al 1357, a dominare il territorio attorno ad Adrianopoli, finché non raggiunse la Morea, e questa regione rimase in appannaggio all’altro figlio di Giovanni, Manuele, fino al 1380, quando gli successe lo stesso Matteo. Solo alla morte di quest’ultimo, nel 1382, Teodoro I, figlio di Giovanni V, riportava la Morea ai Paleologi. Lo stesso Giovanni Cantacuzeno non lasciò l’agone politico e fu, fino alla morte, avvenuta nel 1383, l’eminenza grigia dell’impero, tra i monasteri dell”Athos, della Morea e di Costantinopoli. All’epoca dei preparativi per il viaggio di Giovanni V in Occidente, in vista dell’unione delle Chiese, Joasaph fu il portavoce della Chiesa ortodossa, nel 1367, e chiese a gran voce che l’unione fosse sancita da un concilio ecumenico tenuto a Costantinopoli, invano. E ancora anni dopo, nel 1376, il delegato veneziano Marco Giustiniani aveva l’ordine di trattare con il Cantacuzeno, ritenuto più saggio ed affidabile degli imperatori regnanti.

Epilogo

Venne sepolto a Mistrà, la capitale di quella Morea in cui aveva trascorso metà della sua vita. Tuttavia i monaci di Vatopaidiou, nell’Athos, sosterranno sempre di accogliere, nel Katholikon di quel monastero, le spoglie di colui che tanto li aveva beneficati. A noi della sua opera restano trattati teologici e polemici a difesa del palamismo, nove discorsi contro gli Ebrei e, soprattutto, i quattro libri della Cronaca, la storia dell’impero dal 1320 al 1356, narrata in terza persona da tal Cristodulo, un’opera che narra in maniera avvincente le sue imprese ed il suo regno, non senza tendenze elogiative ed apologetiche, ma con valore narrativo, storico e letterario indiscussi.

Djuri c I., Il Crepuscolo di Bisanzio, Roma, Donzelli
Guillou A., L’Impero bizantino, Torino, UTET
Nicol D., Venezia e Bisanzio, Milano, Rusconi

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Di Nicola

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