GIUSTINO I

 “Era un vecchio decrepito, del tutto ignaro di lettere, quel che si dice un analfabeta, ed era la prima volta che una cosa simile capitava ai Romani. Era consuetudine che l’imperatore apponesse la sua firma ai documenti redatti per suo volere, ma Giustino non era in grado né di dare disposizioni né di star dietro a quel che veniva eseguito […]. Pur di avere una ratifica autografa dell’imperatore, gli addetti a questo compito escogitarono quel che segue: in una tavoletta di legno sottile fu scavato il disegno delle quattro lettere, che in latino significano “ho letto”; si intingeva poi nell’inchiostro la penna con cui sono soliti scrivere gli imperatori, e la si metteva in mano a questo Giustino. Si apponeva quindi al documento la tavoletta di cui s’è parlato, e si guidava la mano all’imperatore, perché passasse con la penna per i solchi delle quattro lettere, seguendo ogni curvatura del legno. Infine gli addetti se ne andavano, portandosi dietro siffatta firma imperiale […]. Costui, insomma, non fu capace né di bene né di male per i suoi sudditi. Era un gran sempliciotto che non sapeva assolutamente parlare; i suoi modi, quelli di un villano”.

(Procopio di Cesarea, Storie Segrete, VI, 11 – 18).

Le origini (450 ca. – 518 d.C.)

Flavio Giustino nacque in una data incerta tra il 450 e il 452 d.C. (forse addirittura nel 435) nel villaggio di Bederiana in Dardania, non lontano dalla moderna Skopje, in Macedonia; incerti sono i dati sulla sua famiglia ma sappiamo che aveva un fratello (di cui ignoriamo il nome) ed una sorella (Vigilanzia). Apparteneva ad un’umile famiglia di contadini d’origine illirica e parlava solo latino (lingua della burocrazia) conoscendo poco o niente il greco (lingua parlata da tutti i popoli della Parte Orientale dell’Impero). Intorno al 447 la Dardania fu devastata da un’invasione degli Unni e la famiglia di Giustino attraversò un periodo difficile. Sebbene analfabeta, il giovane aveva una sana e robusta costituzione e così, intorno a diciotto anni d’età, partì con due suoi amici (altrettanto poveri), di nome Zimarco e Ditibisto, e si recò a Bisanzio in cerca di fortuna con solo delle gallette nella sua sacca.

In quegli anni sedeva sul trono dei Cesari Leone I (457 – 474). Questi volle istituire una nuova guardia palatina che contasse un effettivo di 300 uomini e, al contrario delle unità delle Scholai e dei Candidati che avevano solo un ruolo di rappresentanza, fosse in grado di combattere: la nuova guardia fu chiamata degli Excubitores ed in essa si arruolò il giovane Giustino con i suoi due amici. Non abbiamo notizie della carriera di Giustino durante questi anni: nel 491 divenne imperatore Anastasio I, questi dichiarò guerra agli Isauri, una popolazione montanara della Cilicia da anni spina nel fianco dell’Impero, e spedì contro di loro un esercito guidato da Giovanni il Gobbo (che era magister militum presentalis) e da Giovanni lo Scita (magister militum per Orientem). I due generali ricevettero l’ordine di occupare e distruggere tutte le fortezze dell’Isauria: in questi anni Giustino aveva ottenuto la fiducia del sovrano che lo aggregò alla spedizione con il grado di hypostrategos (comandante in seconda).

Secondo Procopio Giustino entrò in contrasto con Giovanni il Gobbo che lo fece imprigionare e condannare a morte, poi però un sogno spinse Giovanni a graziarlo ed a rimetterlo in libertà [1]. La guerra contro gli Isauri (condotta anche da Diogeniano) si concluse nel 498 con la vittoria imperiale e la deportazione degli Isauri superstiti in Tracia.

Intorno al 500 d.C. Giustino, dopo aver raggiunto una posizione ragguardevole, volle garantire una buon futuro ai suoi parenti: per prima cosa sposò la sua concubina, di nome Lupicina, ex-schiava d’origine barbara (forse pure prostituta) da cui non ebbe figli. Quindi invitò a Bisanzio i suoi nipoti garantendo loro un’istruzione adeguata: fecero così il loro ingresso nella Capitale Pietro Sabbazio e sua sorella Vigilanzia (figli di Vigilanzia) e Germano, Boraide e Giustino (figli del fratello).

Nel 502 Cabade, il Gran Re di Persia, attaccò l’Impero e devastò le città di Amida, Teodosiopoli ed Edessa (503), Anastasio spedì l’esercito guidato dai due magistri militum praesentales (tra cui Celere); alla spedizione partecipò pure Giustino. Questi, durante la campagna, catturò un bambino di nome Pietro (originario dell’Arzanene) e lo portò schiavo a Bisanzio. Nella Città il fanciullo, per intercessione del padrone, poté seguire le lezioni di un grammatico ed istruirsi divenendo poi segretario di Giustino. Le operazioni non andarono a buon fine (i dissapori tra i magistri militum al comando crearono, infatti, confusione a livello operativo), tra coloro che pagarono per questo ci fu Apione, originario dell’Egitto, che, in qualità di prefetto del Pretorio, si era occupato degli approvvigionamenti e che fu mandato in esilio.

Il 505 vide l’invasione della Persia da parte degli Unni Sabiri che irruppero dal Caucaso, questo spinse Cabade nel Novembre del 506 a firmare una tregua di sette anni con l’Impero. Anastasio provvide a fortificare due città lungo la frontiera persiana (sebbene questo contravvenisse ai patti stipulati ai tempi di Teodosio II). Sorse così la fortezza di Dara, sull’Eufrate, mentre la città di Teodosiopoli, in Armenia, rinacque come centro fortificato (i lavori iniziati nel 505 si conclusero nel 507).

La questione religiosa e la rivolta di Vitaliano

Nel 431 il I Concilio di Efeso aveva condannato il vescovo di Bisanzio, Nestorio, che riconosceva due distinte persone in Cristo (una divina ed una umana); nel 444 Eutiche (archimandrita di un monastero di Bisanzio) fu accusato di riconoscere in Cristo una sola natura (monofisismo) e fu condannato dal sinodo della Capitale. Su pressione dell’imperatore Teodosio II, nel 449 si riunì un II Concilio di Efeso che riabilitò Eutiche; alla morte dell’imperatore, il suo successore Marciano convocò, nel 451, il Concilio di Calcedonia che ribaltò la sentenza di Efeso II e riconobbe Eutiche eretico, riconoscendo in Cristo una persona con due nature uguali e distinte. La condanna non fece scomparire il monofisismo che invece continuò a raccogliere adepti. L’imperatore Zenone, su consiglio di Acacio di Costantinopoli, promulgò, nel 482, l’Henotikon (editto d’unione) che cercò di ristabilire la pace tra Niceni e Monofisiti passando sotto silenzio il Concilio di Calcedonia ed i suoi risultati. La situazione però non migliorò: su pressione del patriarca calcedoniano di Alessandria, Giovanni Talaia, che era stato esiliato per non aver accettato l’Henotikon, papa Felice III spedì degli emissari a Bisanzio per investigare. Nonostante questi si fossero trovati in accordo con Acacio, al loro ritorno papa Felice li sconfessò e scomunicò Acacio (Luglio 484), iniziò così lo Scisma di Acacio. La morte di Zenone e l’avvento di Anastasio complicò la situazione, il nuovo sovrano era, infatti, contrario a Calcedonia ed appoggiò il monofisismo. Nel 510, infatti, su suggerimento di Severo di Antiochia, emanò il Typos che interpretava l’Henotikon in senso totalmente monofisita. L’eresia si diffuse pertanto non solo nella Capitale, ma anche in Siria ed Egitto, mentre la Palestina rimase un caposaldo della fede calcedoniana. La distanza tra l’Occidente calcedoniano e l’Oriente monofisita si andò così accentuando e cominciò a creare problemi non solo di tipo religioso (le comunità calcedoniane allontanavano i preti monofisiti e viceversa), ma anche di tipo politico e militare.

Nel 513, infatti, si ribellò il generale Vitaliano (di fede nicena e che odiava la politica religiosa del sovrano) che Anastasio riuscì a rabbonire e poi perdonò. Vitaliano però non si placò e nell’autunno del 515 si rivoltò per la seconda volta occupando il quartiere di Sycae (poi divenuto Galata) e predisponendo la flotta per entrare nel Bosforo. Anastasio affidò il comando a Marino, ex prefetto del Pretorio; questi incendiò la flotta di Vitaliano (usando, secondo Malala, un liquido incendiario fornito da un “filosofo”, ed antesignano del “fuoco greco” [2]) e, dopo aver vinto anche l’esercito di terra, lo costrinse a ritirarsi ad Anchialo sul Mar Nero. Durante la battaglia navale Giustino catturò una nave nemica con tutto l’equipaggio, per ricompensarlo della lealtà Anastasio lo nominò senatore e gli diede il grado di illustris, quindi lo nominò comes excubitorum, cioè comandante della guardia. Giustino giunse al culmine della sua carriera. Divenuto un membro importante della corte, Giustino fece entrare suo nipote Sabbazio nell’unità dei Candidati facendolo così accedere a Palazzo

La morte di Anastasio

Nella notte tra l’8 e il 9 Luglio del 518 l’imperatore Anastasio I morì in modo improvviso all’età di 88 anni dopo ventisette anni di governo. Morendo, il sovrano non lasciò eredi diretti né alcuna indicazione su chi dovesse essere il suo successore. I Silentiarii avvisarono immediatamente Celere, che in qualità di magister officiorum era al comando dei Candidati e delle Scholai, e Giustino, il comes excubitorum. Questi avvertirono subito le guardie sostenendo che quanto prima il Senato e il popolo avrebbero scelto il successore.

Il 9 Luglio il Senato si riunì con il Patriarca nel portico attiguo al grande Triclino del Palazzo mentre il popolo si assiepò nell’Ippodromo. Sebbene i candidati non mancassero (oltre ai tre nipoti di Anastasio, Ipazio, Probo e Pompeo, anche il ribelle Vitaliano avrebbe potuto essere scelto) il Senato fu incerto sul da farsi. Durante questa fase Celere si alleò con l’eunuco Amanzio (che era praepositus sacri cubiculi) per fare eleggere imperatore il comes domesticorum Teocrito e governare tramite lui. Questa scelta era obbligata in quanto essendo Celere anziano e malato di gotta ed Amanzio un eunuco nessuno dei due avrebbe potuto regnare direttamente. Amanzio incaricò quindi Giustino di distribuire una grossa somma di denaro agli excubitores a nome di Teocrito, Giustino invece disse alle guardie che il denaro era da parte sua. Intanto Celere e Amanzio non riuscirono a persuadere il Senato ad accettare la candidatura di Teocrito così entrambi rinunciarono a partecipare alla seduta e si ritirarono in buon ordine. Nel frattempo gli excubitores  portarono un certo Giovanni, un ufficiale amico di Giustino, nell’Ippodromo e lo salutarono imperatore ma la fazione degli Azzurri lo respinse lanciando pietre. A Palazzo, intanto, le Scholai scelsero come sovrano un magister militum di cui si ignora il nome ma trovarono la forte opposizione degli excubitores che lo avrebbero ucciso se Sabbazio non lo avesse messo al sicuro. A questo punto gli excubitores offrirono la porpora proprio a Sabbazio che però la rifiutò. La situazione era allo stallo.

Ad un certo punto (non si sa bene perché)  il Senato scelse Giustino e lo rivestì della porpora, le Scholai si opposero e uno diede un pugno a Giustino che ebbe il labbro spaccato. Nonostante tutto il popolo nell’Ippodromo accettò la scelta del Senato e riconobbe Giustino imperatore, quindi avvenne la vestizione, Giustino fu sollevato su uno scudo, un ufficiale, di nome Godila gli pose la corona in capo, Giustino quindi cambiò l’abito, prese lancia e scudo e si recò alla tribuna del Kathisma dove fu incoronato definitivamente dal Patriarca, la folla iniziò ad acclamare mentre un dignitario lesse la formula  di proclamazione, era il 9 Luglio del 518 d.C.

Il regno (518 – 527)

La politica interna

Subito Giustino incoronò Lupicina imperatrice (ed ella mutò il suo nome in Eufemia) quindi, secondo le fonti [3], entro dieci giorni fece eliminare Amanzio,Teocrito e altri con l’accusa di aver offeso il patriarca Giovanni, gli eventi si svolsero nel seguente modo: domenica 15 Luglio la folla prese d’assedio Santa Sofia pretendendo che l’Impero tornasse a riconoscere il Concilio di Calcedonia e riunire così le Chiese d’Oriente e d’Occidente separate dallo Scisma di Acacio. Il 16 Luglio, Amanzio, dopo aver radunato dei vecchi collaboratori di Anastasio (Marino, Misael, Ardabur, Andrea e, forse, il senatore Patrizio), si recò in Santa Sofia e denunciò il nuovo governo come colpevole di voler mutare la politica religiosa imposta da Anastasio. I cospiratori però, furono bloccati dal popolo che non li seguì ed entro il 18 Luglio furono eliminati o esiliati. Dopo di ciò Giustino iniziò a governare affiancato da persone di fiducia: suo nipote Sabbazio (che fu adottato con il nome di Giustiniano) ottenne l’incarico di comes domesticorum, l’altro nipote, Germano, divenne magister militum per Thraciam e poi, dal 519, illustris, il suo segretario, Pietro, fu nominato generale, Diogeniano, richiamato dall’esilio, divenne magister militum per Orientem dal 518 al 520, Apione (anch’egli ritornato dall’esilio) fu nominato prefetto del Pretorio dal 518 fino alla morte nel 519 (fu allora sostituito da Marino di Siria), Teodoro Filosseno Soterico fu comes domesticorum dal 520 e console nel 525, Demostene divenne prefetto del Pretorio per l’Oriente dal 521 al 524 (e fu sostituito fino al 527 da Archelao), Proclo fu nominato quaestor sacri palatii dal 522 al 526 circa, Efrem di Amida, dopo essere stato prefetto della Città e comes sacrorum largitionum, divenne, nel 522, comes Orientis. Se i funzionari maggiori furono rimpiazzati con persone scelte dal nuovo sovrano, la maggior parte dei funzionari inferiori del periodo di Anastasio rimasero, ad ogni modo, ai loro posti.

Tra le prime azioni intraprese dal nuovo sovrano ci fu il richiamo di tutti gli esiliati, tra questi (oltre ai già citati Diogeniano ed Apione) c’era l’ex ribelle Vitaliano (che tra l’altro era, come detto prima, un difensore del Concilio). Il sovrano rabbonì il guerriero che accettò di tornare a Bisanzio a patto che prima il sovrano partecipasse con lui ad una cerimonia religiosa che avrebbe garantito la buona fede del governo. Giustino e Giustiniano accettarono e, nella chiesa di S. Eufemia a Calcedonia (dove nel 451 s’era svolto il Concilio) giurarono con Vitaliano fedeltà agli impegni presi. Così l’ex comandante ribelle tornò nella Capitale e ricevette l’incarico di comes e magister militum presentalis con il comando di tutte le truppe della Città. Il cambio di rotta religiosa nella Capitale fece sì che tutte le sedi monofisite d’Oriente fossero rovesciate e i sacerdoti sostituiti da preti calcedoniani.

La potenza di Vitaliano non conobbe limiti, convinse Giustino a far punire Severo, patriarca monofisita di Antiochia, che nel 515 aveva composto un inno per celebrare la vittoria imperiale sui suoi ribelli; fortunatamente Severo fuggì in Egitto e si salvò. In quello stesso periodo (519) fu organizzata una delegazione per aprire trattative con papa Ormisda che avrebbero dovuto sanare lo Scisma di Acacio. Della delegazione fecero parte Vitaliano e Giustiniano: dopo lunghi e complicati colloqui il papa inviò i suoi rappresentanti a Bisanzio per proseguire lì le trattative, anche se la situazione rimase caotica. Il 25 Marzo del 519 i delegati giunsero a Bisanzio accolti da Giustiniano, due giorni dopo in Santa Sofia, il patriarca Giovanni sostenne che la Chiesa dell’antica e della nuova Roma era una ed indivisibile e scagliò l’anatema contro gli eretici; quindi tolse i nomi degli imperatori Zenone ed Anastasio dai dittici. Lo Scisma di Acacio fu così ricomposto. Del resto anche se l’imperatore accettò i dettami del Concilio di Calcedonia fu impossibile giungere ad un vero accordo tra Calcedoniani e Monofisiti.

Il riavvicinamento dell’imperatore al Papa ebbe notevoli effetti sul prestigio imperiale in Italia, Giustino riuscì ad intromettersi negli affari dei Goti di Teodorico il quale, nel 519, fu nominato console insieme a suo genero Eutarico.

Nel 520 Vitaliano diventò console ed inaugurò i giochi nell’Ippodromo. Il clima politico nella Città era sereno e le fazioni dell’Ippodromo tranquille, eppure quella sera scoppiarono tafferugli nell’Ippodromo stesso ed in varie parti della Città, misteriosamente Vitaliano e due suoi fedelissimi (Celerino e Paolo) furono assassinati nel Gran Palazzo mentre si recavano ad una cena con il sovrano. Così il potente Vitaliano uscì di scena, forse i tafferugli nascondevano un tentativo di rovesciare Giustino, secondo Procopio fu Giustiniano ad organizzare l’omicidio, secondo Evagrio  fu l’imperatore a far eliminare il console, le fonti antiche non ci permettono chiarezza [4].

Nel 521 Giustiniano divenne console e celebrò l’evento con feste faraoniche che fecero impallidire quelle organizzate da Vitaliano (spese l’equivalente di 3.700 libbre d’oro in decorazioni, allestimenti teatrali ed elargizioni). Da questo momento Giustiniano divenne la persona più influente dell’Impero; iniziò a proteggere gli Azzurri la cui furia divenne ben presto incontrollabile causando tumulti e danni non solo a Bisanzio ma in ogni città dell’Impero che avesse un ippodromo. Proprio in questo periodo fece la conoscenza della persona più importante della sua vita: Teodora.

Questa donna era nata intorno al 490 a Bisanzio da Acacio, domatore d’orsi nel circo ed impiegato della Fazione dei Verdi. Il padre morì prematuramente e Teodora e le sue due sorelle finirono in mezzo alla strada insieme alla loro madre. Solo l’interessamento della Fazione Azzurra che, per dispetto dei Verdi, li fece assumere all’Ippodromo, impedì che facessero una brutta fine. Nei primi anni Teodora fece l’attrice raggiungendo grande fama. Secondo Procopio la donna si dedicò alla prostituzione nel modo più lascivo ed indegno: “Pur lavorando con ben tre orifizi, rimproverava stizzita alla natura di non aver provveduto il suo seno di un’apertura più ampia, sì da poter escogitare anche in tal sede un’altra forma di copula” [5]. È difficile capire quanto di vero ci sia nell’enormi mostruosità attribuite a Teodora da Procopio, di sicuro ad un certo momento Teodora seguì come amante un tal Ecebolo, nominato governatore della Pentapoli; quando questi la cacciò, la donna vagò per l’Oriente prostituendosi finché non entrò in contatto con gli ambienti monofisiti, qui divenne discepola di Timoteo d’Alessandria e poi di Severo d’Antiochia. Dopo averli frequentati ritornò a Bisanzio cambiata spiritualmente. Nella Capitale conobbe Giustiniano, questi se ne innamorò perdutamente e la prese come amante.

Giustiniano avrebbe voluto sposare Teodora (che nel 523 ottenne il rango di patrizia) ma la legge, emanata da Costantino I, affermava esplicitamente: “I senatori, o prefetti, o quelli che nella città godono la dignità di duumviri, o quelli che sono decorati degli ornamenti del sacerdozio, cioè della Fenimarchia o Siriarchia, a noi piace che subiscano la macchia d’infamia e siano fuori delle leggi romane se abbiano voluto avere come legittimi figli nati loro da ancella o da figlia di ancella, da liberta o da figlia di liberta, da scenica o da figlia di scenica, da taverniera o figlia di taverniera, o da vile o abietta persona, o da figlia di lenone o d’arenario o che pubblicamente presiedette a mercimoni” [6]. A questo si doveva aggiungere la ferrea opposizione di sua madre Vigilanzia e dell’imperatrice Eufemia che era divenuta, con l’età, severa custode della legge e della morale (l’erede al trono dei Cesari, che avrebbe potuto sposare qualsiasi fanciulla illibata dell’Impero, non si sarebbe mai unito ad una donnaccia come quella). La sorte aiutò i due innamorati, dopo la scomparsa di Vigilanzia, nel 523/524 l’imperatrice morì e Giustiniano convinse lo zio Giustino a mutare la legge ed a promulgare l’editto De nuptiis: “Concediamo loro [alle donne un tempo dedite ai giochi del teatro], con questo editto dettato dalla clemenza, la benevolenza imperiale, a condizione che rinuncino a questa infame condizione e si dedichino ad una vita decorosa ed onesta. Che venga loro concesso di supplicare la Nostra Maestà di dar loro i permessi imperiali per contrarre un matrimonio legittimo” [7].

Nel 524 Giustiniano s’ammalò gravemente, di questo fatto approfittarono gli Azzurri per scatenare tumulti maggiori, Giustino incaricò il prefetto Teodoto di reprimere i disordini, il prefetto fece giustiziare tra gli altri un certo Teodoro, ricchissimo patrizio. Giustino (forse spinto da Giustiniano guarito) destituì il prefetto e lo mandò in esilio, al suo posto fu chiamato l’ex prefetto Teganiste che riuscì a ristabilire l’ordine non solo a Bisanzio ma in tutto l’Oriente: le sommosse dei partiti dell’Ippodromo furono sotto controllo fino alla Rivolta di Nika.

Nel 525, infine, i senatori spinsero Giustino a conferire a Giustiniano il titolo di Cesare, il sovrano cedette; solo il diadema separava l’intraprendente nipote dal trono che suo zio (sempre più rimbambito) non gli voleva cedere.

Sempre nel  525 (ignoriamo il giorno ed il luogo, forse in Santa Sofia oppure nel Gran Palazzo), Giustiniano e Teodora si unirono in matrimonio. La donna ebbe così pieno potere sul marito (follemente innamorato) e riuscì, nel corso della sua vita ad ottenere da lui quasi ogni cosa che desiderasse. Tra l’altro, ad esempio, Teodora (quando ancora era solo l’amante di Giustiniano) poté intercedere per Mara (vescovo monofisita di Amida) che era stato esiliato a Petra dove pativa, con i suoi sacerdoti, dure condizioni di vita. Grazie alle sue preghiere presso Giustino e Giustiniano, Teodora (che era divenuta la protettrice dei Monofisiti) riuscì a far spostare i deportati da Petra ad Alessandria d’Egitto dove trascorsero l’esilio con altri Monofisiti. Dopo il matrimonio la sua protezione verso il clero monofisita crebbe, fu spesso in contatto con Severo di Antiochia, con il predicatore Giovanni di Tella e con Giacomo Baradeo, che in seguito fondò la Chiesa monofisita dissidente di Siria: tutto mentre il governo, guidato da suo marito, perseguitava ed esiliava tutti quelli che credessero nel monofisismo. Nel 527, mentre il regno di Giustino si avviava alla fine, Teodora ricevette in modo solenne nel suo Palazzo di Bisanzio sia Giacomo Baradeo sia Sergio di Tella alloggiandoli, proteggendoli ed intrattenendoli.

Con l’aggravarsi delle condizioni di salute del vecchio imperatore, il potere di Giustiniano non ebbe quasi limiti, nel 526 il Senato l’elevò al rango di nobilissimus (creato appositamente per lui) e chiese all’imperatore di ratificare la scelta, Giustino, anche questa volta, sembra a malincuore, accettò.

Questioni in Italia

Il riavvicinamento di Roma e Bisanzio, provocato dalla riunione delle Chiese dopo lo scisma monofisita, iniziò a preoccupare il governo ostrogoto di Teodorico, il cui popolo era a maggioranza ariano e quindi eretico. Al culmine delle tensioni religiose in Italia (in cui gli Ebrei di Ravenna gettarono delle ostie nel Po), si cercò di smorzare i toni affidando al senatore e filosofo Severino Boezio l’incarico di capo dell’Amministrazione di Teodorico il quale, d’accordo con Giustino, accettò che i figli del filosofo fossero nominati consoli per il 522. Sembrò che la pace fosse tornata, ma la morte improvvisa di Eutarico, seguita dall’assassinio in Burgundia di Sigerico, nipote di Teodorico (entrambi possibili eredi al trono), aprirono una crisi di successione. Il Senato di Roma, nella persona dell’ex console Albino, pensò di scrivere a Giustino per chiedere l’intervento dell’imperatore, la lettera fu però intercettata da Teodorico che interpretò il gesto come un atto di ribellione alla sua autorità. Albino fu messo sotto accusa e condannato, Boezio, che aveva cercato di difenderlo, fu condannato a morte, torturato e giustiziato nel 524. L’anno dopo stessa sorte tocco a Simmaco, il principe del Senato e genero di Boezio. Questi atti di dura repressione destarono l’orrore nella classe senatoriale romana che iniziò ad allontanarsi dal governo di Teodorico che, con l’avanzare dell’età, stava divenendo sempre più dispotico.

Sempre nel 524 Giustiniano fece emanare un decreto che ordinò la chiusura di tutte le chiese ariane dell’Impero (forse voleva ottenere molto denaro dalle confische), il gesto fu interpretato come un atto d’ostilità da parte del vecchio Teodorico. Questi convocò a Ravenna papa Giovanni I e minacciò di compiere rappresaglie sui Cattolici d’Italia se gli Ariani dell’Impero non avessero avuto libertà di culto. Il papa, allarmato, si recò quindi a Bisanzio dove giunse nella primavera del 526. Giustino si fece incoronare di nuovo dal pontefice ma rifiutò categoricamente di recedere dal suo proposito anti-ariano. Quando Giovanni I tornò in Italia Teodorico lo mise in prigione con tutta la delegazione e qui il papa si spense il 18 Maggio del 526. Il re fece eleggere al suo posto Felice IV.

Fu uno degli ultimi gesti del vecchio re, colpito dalla dissenteria e da disturbi mentali (disse che lo spettro di Boezio gli appariva davanti e vide nella testa di un grosso pesce quella di Simmaco), Teodorico morì a Ravenna il 30 Agosto del 526, sua figlia Amalasunta ne prese il posto come reggente di suo figlio Atalarico che aveva otto anni. La morte di Teodorico, la successione di un re fanciullo e la reggenza di sua madre (troppo filoromana per molti dei suoi sudditi), aprirono un grave ed ampio periodo di crisi che segnò alla lunga la fine del regno gotico in Italia.

Annessione di Bosporo

In data incerta Giustino conseguì un’altra vittoria in politica esterna. Temendo gli assalti degli Unni, la città di Bosporo (nell’attuale Crimea), che da sempre era stata alleata dell’Impero, chiese di essere annessa ai domini bizantini. Giustino accettò volentieri ed inviò un presidio ad occupare la città che così si aggiunse alle altre città del Chersoneso Taurico già sotto il controllo imperiale.

Le calamità naturali

Gli anni di Giustino furono segnati da terribili eventi naturali: intorno al 520 un terremoto distrusse Durazzo, Corinto ed Anazarbo, il 22 Aprile del 525 il torrente Scirto inondò Edessa d’Osroene (dopo la loro ricostruzione, Edessa ed Anazarbo furono chiamate Giustinopoli), il 29 Maggio 526 un violento terremoto, seguito da un furioso incendio, distrusse la grande Antiochia sull’Oronte, circa duecentocinquantamila persone perirono nel disastro. Il comes Orientis, Efrem, si dedicò con ogni cura ad aiutare la popolazione che, nel 527, lo nominò patriarca della città. Sempre nel 526 anche Efeso fu inondata, mentre la Palestina subì la siccità.

Lavori pubblici

In questi anni furono intrapresi vari lavori d’abbellimento della Capitale e di restauro dei suoi edifici pubblici (soprattutto le chiese), purtroppo tutti gli interventi del periodo di Giustino furono poi attribuiti a suo nipote Giustiniano (che continuò sotto il suo regno i lavori intrapresi in questo periodo) ed è ora difficile capire quali palazzi furono costruiti o restaurati da Giustino e quali da suo nipote.

Politica sul Mar Rosso

La presenza ingombrante della Persia aveva sempre causato problemi all’Impero nella sua necessità di acquistare prodotti dall’Estremo Oriente. Per ovviare a questo disturbo, Giustino, da poco insediato, decise di intromettersi nei rapporti tra il regno etiope di Axum e l’Arabia meridionale (moderno Yemen). L’Etiopia era da tempo un regno cristiano ed aveva stretti legami con gli Omeriti, residenti in Arabia. Giustino cercò a lungo d’inserirsi nelle lotte tra Etiopi ed Omeriti (questi ultimi furono temporaneamente conquistati dagli Axumiti nel 524-525) per riuscire a porre sotto controllo l’imbocco del Mar Rosso e di conseguenza i commerci con l’India. Alternando azioni diplomatiche a militari cercò di conseguire tale scopo ma la morte gli impedì di vedere il frutto del suo operato che fu poi ereditato dal suo successore. Maggiore successo ebbe l’alleanza con gli Arabi Ghassanidi che ebbero rapporti ancor più stretti del passato con l’Impero (contro i loro vicini, gli Arabi Lakhmidi, schierati con i Persiani), ed il cui re, Areta, fu nominato patrizio nel 529 da Giustiniano.

La guerra persiana

Dopo la tregua stipulata sotto Anastasio nel 506, la questione persiana era rimasta sostanzialmente “congelata”, scaduta la tregua dei sette anni, la pace non era stata firmata ma non era ripresa neppure la guerra; la Persia, infatti, aveva avuto altro da fare e la situazione sull’Eufrate era rimasta tranquilla. Tra il 507 ed il 514 la Persarmenia fu annessa alla Persia dopo che il suo re fu deposto da Cabade, i due anni seguenti videro la Persarmenia invasa dagli Unni che furono a fatica respinti. Mentre accadeva ciò, il nuovo re dei Lazi, Zath salito al trono nel 522, tributario di Cabade, si schierò con Giustino facendosi pure battezzare. Il Gran Re cercò di usare gli Unni per assalire l’Impero ma il piano fu sventato da Giustino che riuscì a corrompere gli Unni e ad allontanarli dall’alleanza con la Persia.

La situazione sarebbe potuta degenerare in guerra aperta, ma Cabade aveva altri problemi legati alla sua successione. Il Gran Re aveva tre figli, la legge persiana prevedeva che fosse il primogenito a succedere al padre, ma Cabade reputava suo figlio Caoses inadatto, la legge del resto considerava il secondogenito Zames inabile a regnare perché privo di un occhio. Tutte le speranze del sovrano risiedevano nel terzo figlio, Cosroe; a questi Cabade decise di lasciare il trono. A questo punto però lo assalì il timore che Cosroe potesse trovare difficoltà proprio perché terzogenito, quindi Cabade, intorno al 525, scrisse a Giustino questa lettera: “Il trattamento che abbiamo ricevuto da parte dei Romani è stato, effettivamente, ingiusto, come persino voi stessi sapete, ma sono pronto ad abbandonare interamente tutti gli addebiti contro di voi, essendo sicuro di questo, che il più vittorioso di tutti gli uomini è colui che, con la giustizia dal suo lato, è ancora spontaneamente sopraffatto e sconfitto dai suoi amici. In ogni modo vi chiedo un determinato favore in cambio di ciò, che ci legherebbe insieme in una consanguineità ed amicizia che naturalmente si diffonderebbe da questo rapporto non solo a noi stessi ma anche a tutti i nostri sudditi, e che sarebbe calcolato per portarci ad una sazietà di benedizioni di pace. La mia proposta, quindi, è questa, che dovreste rendere mio figlio Cosroe, che sarà il mio successore al trono, vostro figlio adottivo” [8]. La notizia piacque molto a Giustino e Giustiniano, c’era già un precedente (nel 408 l’imperatore Arcadio aveva affidato morendo il suo piccolo figlio ed erede Teodosio II alla custodia del Gran Re Yezdegherd I e la scelta era stata coronata da successo) e pertanto nulla sembrò essere d’intralcio all’accordo che avrebbe portato alla pace ed a rendere la Persia così strettamente vincolata dal volere di Bisanzio.

Si fece sentire allora la voce di Proclo, il quaestor sacri palatii, giurista onestissimo e fortemente ligio alla legge ed alla tradizione, il quale sostenne che Cabade volesse ingannare l’imperatore facendogli adottare suo figlio così da poter, un giorno, accampare pretese sull’Impero. La teoria di Proclo ebbe presa sia su Giustino, che non voleva lasciare una tale minaccia in eredità ai suoi successori, sia su Giustiniano, che avrebbe dovuto ereditare il trono alla morte dello zio; la proposta persiana fu quindi respinta.

Quando gli emissari imperiali, giunti in Oriente, riferirono la notizia ai delegati persiani (uno dei quali, tra l’altro sollevò la questione della Lazica contesa), fu chiaro che la pace sarebbe stata impossibile da raggiungere, inoltre la situazione mise di cattivissimo umore Cosroe che era giunto sul Tigri per recarsi a Bisanzio per l’adozione formale (uno degli emissari romani aveva parlato di lui rivolgendogli il titolo di “barbaro”), il giovane tornò quindi indietro ma non avrebbe mai dimenticato l’affronto subito.

Fallite le trattative, la guerra divenne inevitabile anche perché l’ingerenza imperiale in Lazica diveniva sempre più insostenibile e minacciava il controllo persiano sull’Iberia e l’Albania (stati inoltre a maggioranza cristiana). Cabade cercò quindi d’obbligare Gurgene, re degli Iberi, ad adottare la fede mazdeista. Il re per tutta risposta si recò a Bisanzio per chiedere aiuto a Giustino. L’imperatore inviò quindi Pietro, anziano magister militum e suo ex schiavo, in Iberia, ma le sue forze furono tanto esigue da non poter contrastare i Persiani. Pietro fu richiamato a Bisanzio, altre truppe, guidate da Ireneo, furono quindi spedite in Lazica. Qui giunto Ireneo occupò due fortezze lungo il confine con l’Iberia ma fu poi costretto ad evacuarle per le difficoltà di rifornimento; i Persiani le occuparono senza problemi.

Giustino decise quindi di ampliare il fronte bellico includendo l’Armenia. Due giovani ufficiali, Sitta e Belisario (quest’ultimo ex guardia del corpo di Giustiniano), furono spediti in territorio armeno e, dopo aver fatto molti prigionieri ed un numeroso bottino, tornarono il patria.

Anche la Mesopotamia fu interessata dallo scontro, il Trace Libelario fu inviato contro Nisibi ma si ritirò senza aver concluso nulla di notevole e fu deposto dal suo incarico. Al suo posto fu nominato Belisario, che si era distinto in Armenia, il quale ricevette il comando della fortezza di Dara. Il nuovo generale scelse il giovane Procopio di Cesarea come suo assistente e segretario.

Gli ultimi mesi (Aprile – Agosto 527)

Gli eventi iniziali della Guerra Persiana, che si protrasse in pratica per quasi un secolo, coincisero con gli ultimi mesi di vita di Giustino I. L’imperatore era ormai quasi ottantenne e con una gamba incancrenita dalla malattia; era necessario che alla sua morte il governo dell’Impero fosse in mani sicure per evitare l’incertezza e l’anarchia che si erano scatenate alla morte di Anastasio. Giustiniano quindi convinse il malato zio ad associarlo all’Impero così da garantire un governo stabile: dopo anni di resistenze, il vecchio Giustino accettò. Il 1° Aprile del 527, Giovedì Santo, Giustiniano fu incoronato co-imperatore da Giustino stesso o dal patriarca Epifanio; il 4 Aprile, Domenica di Pasqua, toccò a Teodora. Il patriarca benedisse la corona e poi la diede a Giustiniano che la pose sul capo di sua moglie: l’attrice, la prostituta era ora la prima donna dell’Impero. I mesi seguenti trascorsero freneticamente (il primo decreto dei nuovi sovrani colpì gli eretici, i Manichei i Pagani ed i Samaritani, allontanandoli dai pubblici uffici, dall’esercito e dalle professioni liberali [9], ma non i Monofisiti, probabilmente per intercessione della nuova sovrana) finché, il 1° Agosto, Giustino I si spense serenamente nel suo letto nel Gran Palazzo di Costantinopoli, aveva poco meno di ottant’anni ed aveva regnato per nove.

Gli eventi seguenti

Con la morte di Giustino suo nipote Giustiniano rimase unico imperatore ed aprì una nuova era per l’Impero. Con al suo fianco Teodora, l’imperatore mutò il volto del mondo romano, le grandi campagne militari estesero l’impero bizantino lungo tutto il Mediterraneo con l’annessione dell’Africa vandala e dell’Italia gotica, monumenti stupendi abbellirono ogni città dell’Impero, mentre il Corpus Iuris Civilis, redatto da Triboniano, riordinò il diritto romano preservandolo fino ad oggi. Teodora si spense nel suo letto il 28 Giugno del 548 per cancro al seno, suo marito Giustiniano I la seguì nella notte tra il 14 ed il 15 Novembre del 565 lasciando un’impronta duratura nella storia del mondo e dando il suo nome ad un’epoca.

Considerazioni finali

Il breve regno di Giustino può essere considerato quasi il preambolo del lungo governo di Giustiniano, il giudizio di Procopio è tagliente ma sempre più positivo rispetto a quello espresso su Giustiniano e Teodora. Comunque sebbene un rozzo villano analfabeta, come lo dipinge Procopio, Giustino dovette essere una persona di indubbio valore. Come giudicare altrimenti un contadinotto ignorante che, giunto nella Capitale senza nulla con sé, riesce a scalare la società bizantina fino a giungere sul trono? Normalmente si sostiene che dietro i suoi atti ci fu sempre l’ombra del suo scaltro nipote che preparava il terreno per la sua ascesa al trono, così ogni azione intrapresa da Giustino risulterebbe in effetti concepita da Giustiniano. Certamente il nipote ebbe un ruolo di spicco nel governo dello zio, probabilmente ne influenzò il giudizio (la legge De nuptiis ne è un fulgido esempio), e ne fu l’ombra (alcuni sostengono che i vari tumulti degli Azzurri nascondessero tentativi del nipote di sostituire prematuramente lo zio nel governo; se così fu, maggiormente risalta la bravura del sovrano che riuscì a ritardare il più a lungo possibile il passaggio formale dei poteri all’intraprendente nipote). Anche se fu un contadinotto analfabeta, Giustino non dovette essere del tutto incapace di comprendere le mire di Giustiniano, infatti, nonostante l’età avanzante, la malattia e le continue pressioni, accettò di associare al trono suo nipote solo quando capì di essere in punto di morte. Forse fu davvero un vecchio rimbambito, come lo dipinge Procopio [10], ma bisogna comunque considerare che lo storico di certo ingigantì la questione per disprezzo verso il contadinotto analfabeta che aveva risalito la scala sociale ed inoltre Giustino ottenne il trono quando era almeno settantenne e pertanto è del tutto naturale che con l’età l’anziano sovrano apparisse sempre più inebetito; a maggior ragione è d’ammirare che il vecchio ufficiale sia riuscito a farsi proclamare imperatore nonostante l’età e l’estrazione sociale.

Durante il suo regno Giustino cercò di porre rimedio a varie situazioni ereditate da Anastasio: la questione monofisita, la pace non conclusa con la Persia, ma non riuscì a porre fine a questi problemi che furono ereditati da Giustiniano e dai suoi successori concludendosi solo cento anni dopo grazie agli Arabi che, annientando la Persia ed annettendo le regioni orientali dell’Impero (quelle a maggioranza monofisita) liberarono Bisanzio da due grossi problemi che furono però sostituiti da uno ben maggiore, l’Islam.

La sua amministrazione risulta forse monocolore, soprattutto se paragonata al lungo regno di Giustiniano che diede il nome ad un’epoca (ma a questo punto come distinguere gli atti di governo di Giustino da quelli “suggeriti” da suo nipote?); forse, alla fine, il giudizio di Procopio, sebbene dettato dall’astio, è quello che meglio si adatta a questo sovrano, anche se probabilmente risulta un po’ troppo riduttivo: “non fu capace né di bene né di male per i suoi sudditi” [11]; se si considerano le calunnie ed i veleni che l’autore riservò a Giustiniano e Teodora (nonché a Belisario, di cui fu consigliere ed amico), si può giudicare questa frase il migliore dei complimenti. Un studioso moderno ha dato questo giudizio: “Il suo regno, spesso considerato solo come precursore di quello del nipote Giustiniano I, fu solido ma senza alcun evento eccezionale” [12]. Nelle affermazioni di questi due storici (l’antico ed il moderno), credo si possa racchiudere la chiave di lettura del breve governo di questo imperatore così atipico e quasi anonimo.

autore: ANTONINO MARLETTA

 NOTE

 [1] PROCOPIO DI CESAREA, Storie Segrete, vi, 5-10.

[2] GIOVANNI MALALA in C. MORRISSON, Il mondo bizantino, vol. I, (a cura di), pag. 176.

[3] Cfr. PROCOPIO, op. cit., vi, 26; EVAGRIO DI EPIFANIA, Storia Ecclesiastica, IV, 2.

[4] Cfr. PROCOPIO, op. cit., vi, 27 – 28; EVAGRIO, op. cit., IV, 3.

[5] PROCOPIO, op. cit., ix, 18.

[6] Codex Iustinianus, V, xxvii, 1 (“De naturalibus liberis et matribus eorum et ex quibus casibus iusti efficiuntur”).

[7] Ibidem, V, iv, 23 (“De nuptiis”).

[8] PROCOPIO, La Guerra Persiana, I, 11.

[9] Codex Iustinianus, I, v, 12 (“De haereticis et Manichaeis et Samaritis”).

[10] PROCOPIO, Storie Segrete, viii, 50.

[11] Ibidem, vi, 18.

[12] R. – J. LILIE, Bisanzio, la seconda Roma, pag. 58.

 

BIBLIOGRAFIA

 

P. CESARETTI, Teodora, ascesa di una imperatrice, Milano, 2001.

EVAGRIO DI EPIFANIA, Storia Ecclesiastica,  a cura di F. Carcione, Roma, 1998.

R. – J. LILIE, Bisanzio, la seconda Roma, ed. it. Roma 2005.

C. MORRISSON, Il mondo bizantino vol. I, l’Impero romano d’Oriente (330 – 641), (a cura di), ed. it. Torino 2007.

J. J. NORWICH, Bisanzio, splendore e decadenza di un impero, ed. it. Milano, 2000.

PROCOPIO DI CESAREA, History of the Wars, a cura di H. B. Dewing, Loeb Classical Library, Londra – Cambridge – Ma., 1914.

PROCOPIO DI CESAREA, Storie Segrete, a cura di F. Conca, Milano, 1996.

G. TATE, Giustiniano, il tentativo di rifondazione dell’Impero, ed. it. Roma, 2006.

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Di Nicola

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