L’interesse per l’imperatrice Teodora (498ca.-548), la celebre moglie di Giustiniano, non si limita al mondo degli studiosi, che di lei si è ampiamente occupato, e già dalla seconda metà dell’Ottocento la sua storia è entrata nella rappresentazione teatrale, anche se a dire il vero vi fa capolino anche prima, in maniera però indiretta, nel Belisario di Carlo Goldoni (1734). In quest’opera, innamorata non ricambiata di Belisario, Teodora lo denuncia a Giustiniano con l’accusa di aver insidiato la sua virtù e questi in un primo momento lo condanna all’accecamento. L’intrigo viene però scoperto e Teodora dapprima è condannata a morte, poi esiliata ad Antiochia. Il 26 dicembre del 1884 venne rappresentato a Parigi al teatro della Porte St.Martin un dramma storico in cinque atti e sette quadri intitolato Théodora. Ne era autore Victorien Sardou (1831-1908) che aveva tratto lo spunto dalla traduzione francese della Storia Segreta del bizantino Procopio, l’opera in cui l’imperatrice è diffamata, e da un libro di Augustin Marras, La vie byzantine au VIe siècle, uscito postumo nel 1881. La parte di Teodora venne affidata alla più nota attrice del tempo, la bellissima Sarah Bernhardt, mentre la musica di scena fu realizzata dal compositore francese Jules Massenet: costumi e scenografia riprendevano motivi bizantini e copti rivelati da scavi recenti. Ne era stata ispiratrice la stessa Bernhardt, di cui si diceva che avesse tra l’altro fatto appositamente un viaggio in Italia per vedere i mosaici di Ravenna. 
La Teodora di Sardou è ambientata a Costantinopoli al momento della rivolta di Nika del 532 e la trama, poco fedele alla realtà storica, presenta un insieme di amori e di intrighi, conclusi dall’uccisione di Teodora da parte di un Giustiniano geloso, in cui risalta la figura della femme fatale incarnata dall’attrice francese, che riproduceva il tipo di donna bella, sensuale e crudele secondo i dettami dei gusti del tempo. L’opera di Sardou ebbe un notevole successo, rinnovato poi in altre città europee e anche negli Stati Uniti, e due conseguenze notevoli. La prima è che, sia pure in termini storicamente approssimativi, fece conoscere al grande pubblico Teodora, fino a quel momento più o meno un’illustre sconosciuta dell’evanescente modo bizantino; la seconda è che aprì il noto dibattito sulla sua vera natura, con conseguenze che durano tuttora. Da una parte infatti si schierò la cultura accademica, rappresentata da Charles Diehl, che si sentì in dovere di difenderla e tracciarne il ritratto tuttora parte preminente nella storiografia scientifica; dall’altra si affermò l’idea dell’imperatrice lasciva e corrotta ancora viva in molte parti dell’immaginario collettivo. Lo storico francese Charles Diehl, strenuo difensore della sua figura, restò negativamente colpito dalla «intollerabile deformazione letteraria» fatta dal Sardou e una ventina di anni più tardi propose la sua biografia di Teodora redatta questa volta su basi scientifiche, quella che definiva la «Teodora della storia». In realtà la sua fu un’esagerazione in senso opposto e suscitò quell’ambiguità di fondo nel rapporto fra Teodora e Procopio che tuttora si avverte: egli agì animato dal «moralismo perbenista di un austero studioso, intenzionato a difendere l’onore della sua imperatrice dalle fantasticherie del letterato; introducendo però su Teodora nuove fantasie non meno sconvenienti sul piano storico e intellettuale». Dalla conseguente polemica nata con il Sardou, che rispose per le rime, nacque in sostanza la doppia Teodora dei giorni nostri, divisa secondo l’uso e il consumo della parte che la utilizza. 
Dal successo della pièce del Sardou derivò alcuni anni più tardi un’opera, Théodora, elaborata sulla falsariga di questa. Il copione era infatti scritto dallo stesso Sardou in collaborazione con Paul Ferrier con musiche del compositore Xavier-H.N. Leroux: e venne rappresentata per la prima volta nel 1907 al Casino di Montecarlo nel 1907 e quindi alla Scala di Milano nel 1909. E ancora, nonostante lo scarso interesse della musica per il mondo bizantino, alla Scala di Milano nel 1889 andò in scena un balletto musicato da Romualdo Marenco. La fortuna teatrale proseguì poi con una Teodora riduzione in quattordici quadri della Storia Segreta, rappresentata nel 1975 al teatro Tordinona di Roma, in cui la protagonista era interpretata da Federica Giulietti. Esiste inoltre un componimento teatrale in lingua araba del 1956, tradotto poi in siriaco nel 1977. Un qualche cosa che assomiglia a Teodora, ma di cui conserva più il nome della sostanza, dal titolo Teodora imperatrice sanguinaria e innamorata, è poi andato in scena al teatro Oscar di Milano fino al 22 marzo 2013. Si tratta in questo caso di un libero rifacimento in chiave moderna del dramma di Sardou scritto da Maddalena Mazzocut-Mis e messo in scena dal regista Paolo Bignamini in cui la parte dell’imperatrice si deve a Paola Vincenzi. «Teodora, belva dalle sembianze sensualmente femminee, imperatrice e moglie di Giustiniano, si aggira sul palcoscenico da salotto borghese, tra evocativi rivoli di sangue e sete di potere. Tubino bianco e tacchi alti rossi, tuona la voce della protagonista, un’ispirata ed efficace Paola Vincenzi, che senza sbavature restituisce l’essenza dell’anima e gli intimi pensieri alla femme fatale bizantina». 
Sull’onda del successo del dramma di Sardou Teodora passò anche al cinema muto con diverse versioni a partire dal 1909 allorché venne realizzato un cortometraggio prodotto da Ernesto Maria Pasquali (1883-1919) con il titolo Teodora imperatrice di Bisanzio. La più importante di queste produzioni cinematografiche è la Teodora di Leopoldo Carlucci, realizzata nel 1922 con notevole profusione di mezzi, in cui l’eroina viene interpretata dall’allora famosa Rita Jolivet. La trama ripropone l’ormai consueta immagine a tinte fosche dell’imperatrice. Teodora sposa Giustiniano per avere il potere ma non rinuncia alla sua vita di peccatrice trovandosi un amante in Andrea, che però ignora di avere a che fare con la sua sovrana. Teodora e Giustiniano sono odiati dal popolo e Andrea insieme al centurione Marcello è uno dei congiurati che mirano a toglierli di mezzo. Teodora tuttavia scopre tutto: Marcello è arrestato e messo sotto tortura finché l’imperatrice lo fa uccidere perché non riveli il nome dei complici. Andrea, a sua volta, riuscito a mettersi al riparo grazie a Teodora, si rende conto di chi veramente è: il suo amore si cambia in odio e solleva il popolo contro i due tiranni. Arrestato a sua volta, Andrea sfugge alla vendetta di Giustiniano ad opera di Teodora, che ancora lo ama; viene però ferito e portato nei giardini imperiali. Giustiniano viene a conoscere il tradimento della moglie ed essa, vedendo svanire nel marito l’amore per lei, ordina alla nutrice, la maga Tamyris, di prepararle il filtro dell’oblio e dell’amore ma questa, per vendicare le torture fatte a suo figlio, prepara in realtà una bevanda di morte. Teodora, apprendendo che il suo amante è ferito, corre da lui vedendosi però respinta con asprezza. Pazza d’amore, poirge ad Andrea il filtro preparato per Giustiniano e questi muore avvelenato fra le sue braccia. Disperata, l’imperatrice si abbandona sul corpo dell’amante e viene sorpresa da Giustiniano che la fa mettere a morte. Il film uscì anche in Germania con il titolo Die gekrönte Kurtisane, con alcune didascalie modificate per dipingere a tinte ancora più fosche l’imperatrice e renderle più aderenti al racconto di Procopio. Bisogna quindi attendere il secondo dopoguerra per avere una nuova produzione cinematografica sull’imperatrice e questa volta di genere diverso. Nel 1954 uscì infatti Teodora imperatrice di Bisanzio diretto da Riccardo Freda con Gianna Maria Canale nella parte principale. La realtà lascia di nuovo il posto alla finzione; quest’ultima è però più articolata e meno punitiva per la sovrana rispetto a quanto era accaduto in precedenza. L’azione è priva di alcun fondamento storico e si concentra sostanzialmente sulle trame di Giovanni di Cappadocia, che alla fine vengono sventate, ad opera soprattutto di Teodora, consentendo ai due sovrani di regnare tranquillamente. Teodora è un ex ballerina divenuta imperatrice sposando Giustiniano e la scena si concentra ancora una volta sul 532. Arcal, amante di Teodora prima delle nozze, un personaggio fittizio, si presenta alla sovrana per svelarle la congiura, ma l’imperatrice è sorpresa da Giustiniano che la ritiene infedele, anche perché il tradimento è confermato da Saidia (Irene Papas), sorella di Teodora, corrotta dal Cappadoce. Teodora è catturata mentre scoppia la rivolta, in cui Arcal perisce, ma l’arrivo di Belisario svela l’intrigo ed è salvata all’ultimo momento. Alcune scene sono al di fuori di ogni verosimiglianza, come quella di Teodora che si cimenta come auriga all’ippodromo o anche il finale costituito da una suggestiva ma surreale presenza di marito e moglie a S. Vitale di Ravenna per assistere all’inaugurazione della loro chiesa. Un ruolo marginale, infine, viene riservato alla sovrana di Bisanzio nel film prodotto in Germania nel 1968, originariamente in due parti, e noto in Italia come La calata dei barbari con Orson Welles e Sylva Koscina fra i protagonisti. Il tema riguarda vagamente la fine del regno ostrogoto in Italia e il contenuto è del tutto privo di ogni attendibilità storica. Il film, in cui non è assente una certa spettacolarità, fu girato a Bucarest ed è frutto di una triplice produzione (Italia, Germania, Romania): uscì in due parti fra 1968 e 1969 con i titoli Kampf um Rom e Kampf um Rom-Der Verrat, nell’edizione italiana venne però ridotto a una sola della durata di ottantanove minuti.
La pittura non si è sottratta al fascino di Teodora tentando diversi artisti e tra questi un posto di rilievo spetta a Benjamin Constant (1845-1902) con l’imperatrice Teodora al Colosseo, in cui compare una sovrana sensuale cinta di corona ma senza alcun aggancio al costume imperiale, e l’imperatrice Teodora seduta in trono che la mostra con corona e un ricco abito vagamente bizantino. Al celebre mosaico di Ravenna si ispira inoltre Galileo Chini nella sua decorazione per la sala della Cupola all’ottava Biennale d’Arte di Venezia del 1909. Più vicina a noi per cronologia è Teodora di Bisanzio di Milo Manara (1945-), in cui la meravigliosa modella ispiratrice compare nella sua completa nudità con indosso un manto dorato sulle spalle insieme a una corona e a una collana in cui è evidente il modello bizantino. Alla Teodora di S. Vitale si ispira inoltre la personificazione della città di Ravenna nella statua che si trova al Vittoriano di Roma, insieme alle altre tredici figure raffiguranti capitali italiane opera dello scultore Eugenio Maccagnani (1852-1930). Di pari passo alle arti figurative vanno poi la divulgazione e il romanzo storico, ancora una volta con la consueta partizione fra una Teodora «buona» e una «cattiva». Alcuni esempi sono rivelatori: l’americano Harold Lamb scrive un libro garbato e raffinato sui Teodora, in cui alla ricostruzione storica tutto sommato corretta si uniscono dialoghi fittizi, mentre lo spagnolo Juan M. González Cremona in Teodora de Bizancio insiste sulla sfrenatezza sessuale con cui raggiunge il potere e le vendette operate da imperatrice. In Italia nel 1885-1886 esce a dispense un romanzo storico Teodora di Italo Fiorentino, ripubblicato nel 1927, che è tratto dalla Storia Segreta ma con toni ancora più melodrammatici per le vicende che si svolgono nella città della depravazione come è Bisanzio, e fra le ricostruzioni immaginarie della sua vita si inserisce anche, in un’ottica del tutto particolare, l’opera dell’autrice americana Fisher-Pap con la tesi insensata secondo cui Eva Peron sarebbe stata la reincarnazione di Teodora. L’Italia fascista cerca di rivalutare l’imperatrice bizantina, ma ancora in Italia la fumettistica del dopoguerra assesta di nuovo un brutto colpo alla sua immagine: se infatti la Storia d’Italia a fumetti riprende in maniera blanda il profilo biografico tracciato da Procopio, con la giovane ballerina che esalta le folle e la sovrana che doma la rivolta di Nika, nell’industria pubblicitaria del fumetto pornografico, negli anni sessanta e settanta, diventa un personaggio di primo piano fra le numerose altre pubblicazioni del genere. Il fumetto Teodora iniziò a uscire mensilmente nel marzo 1970 e continuò fino al gennaio del 1974: come per Barbarella, il volto era prestato all’imperatrice da Brigitte Bardot. Teodora è una donna decisa e autoritaria che si fa strada nella corte della corrotta Bisanzio; ha numerosi amanti, fra cui il preferito è Belisario, e il tutto è condito da violenza e sadismo. Con tanto accanimento ripetuto su Teodora, oggetto incolpevole di situazioni ambigue, è poi naturale che l’immaginario collettivo ne risenta, con giudizi quanto meno sprezzanti sulla sua figura, vista per lo più nell’accezione lussuriosa. E così, tanto per fare due esempi, Totò che pur vantava un’origine bizantina si esprimeva scherzosamente su di lei riferendosi con epiteti pesanti al passato licenzioso di «zia Teodora» e il cantautore Francesco Guccini nel testo della canzone Bisanzio dice di Giustiniano che era un imperatore «sposo di puttana». A questo proposito un interessante indagine demoscopica, condotta nel quadro di una tesi di laurea, ha evidenziato che a Ravenna il 96% di un campione sia pure ristretto di abitanti sa chi sia stata Teodora, mentre trentasette fra le quarantotto persone intervistate ne hanno sottolineato il solito tema delle origini ambigue con diversi apprezzamenti. Al di fuori di Ravenna, a Padova, in una situazione analoga il numero delle persone che la conoscono si è ridotto notevolmente, il che dimostra ulteriormente, se mai ve ne fosse bisogno, come vi sia una inevitabile identificazione fra lei e la città che ospita i mosaici imperiali.
L’utilizzo dell’immagine o del nome di Teodora a fini pubblicitari o comunicativi è molto diffuso. A Ravenna, dove il turismo ne consente anche un uso commerciale, esiste un bar ristorante «Caffè Teodora» che mostra all’interno la classica l’immagine dell’imperatrice, e la «linea vending» dalla «Commerciale Adriatica» che produce il caffè Teodora contiene una significativa dichiarazione di affetto localistico all’imperatrice: «Perché chiamare la nostra linea “Caffè Teodora”? L’imperatrice Teodora (è la) paladina della grande Ravenna. Teodora nacque a Costantinopoli intorno all’anno 500, e fu imperatrice bizantina; una imperatrice molto importante della storia della nostra città, Ravenna. Teodora, nome che in greco, significa “dono di Dio”, la sovrana d’Oriente di eccezionale bellezza, affascinante, intelligente, astuta, fu insieme a Cleopatra la donna più amata e odiata dell’antichità, sottoposta alle maldicenze degli storici, perché le società del tempo non tolleravano le donna-protagoniste. Il più famoso ritratto di Teodora è un mosaico che si trova all’interno della basilica di San Vitale a Ravenna». Ancora nella città si trova una società di pallavolo femminile a lei intitolata e, cosa abbastanza singolare, l’ordine degli ingegneri della provincia di Ravenna riproduce nel sito internet la sua immagine di S. Vitale accompagnata da una breve biografia. Anche al di fuori della capitale ideale dell’Italia bizantina non mancano testimonianze significative in vari settori: esistono il bianco Teodora prodotto nel Gargano e una varietà di rosso Teodora dell’Azienda Vinicola Tenute Terre Nobili di Montalto Uffugo (provincia di Cosenza), in un caso e nell’altro con la riproduzione del suo viso nel mosaico di S. Vitale sull’etichetta. L’abbigliamento femminile fa ugualmente la sua parte nel ricordo dell’imperatrice bizantina Claudia Baldazzi a Milano presenta la «Teodora Collection» di gioielli motivandola così: «Ispirata dal mio amore per la Storia dell’Arte, un personale tributo ad uno degli stili più importanti della storia, l’Impero Bizantino, soggetto prediletto dall’Haute Couture. Ammirando i coloratissimi mosaici, i maestosi gioielli della regina Teodora, ero davvero emozionata: tutti quei brillanti gioielli, le colorate pietre preziose, i motivi religiosi, come le dorate croci filigranate, l’oro, tanto oro[…]tutto questo mi ha illuminata. Nasce così la Teodora Collection». Diversi stilisti hanno inoltre dedicato intere collezioni alla figura di Teodora e fra questi Romeo Gigli ispiratosi a lei per realizzare la sua prima linea parigina (del 1989-1990) intitolata appunto «Teodora». La collezione Chanel fatta da Karl Legerfeld per l’autunno-inverno 2010-2011, la Paris-Byzance, riprende ugualmente le atmosfere bizantine, tratte fantasiosamente dai mosaici ravennati, e in questo caso «il maquillage ha preso ispirazione dalle immagini della bellissima Teodora» e le acconciature «dagli affreschi e dalle statue che rappresentano Teodora», con make-up che prende spunto da «una donna forte che non ha avuto timore di osare» e ugualmente a lei si riconducono le acconciature arricchite da «uno chignon alto decorato da cerchietti di pietre preziose, con pendenti che scendono fino alle spalle».
Anche il costume di Teodora è stato un forte richiamo nel mondo contemporaneo. Lady Randolph Churchill, madre dello statista, e nata americana con il nome di Janette Jerome, nel 1897 si presentò in un’occasione mondana nelle vesti di Teodora, di cui esistono riproduzioni fotografiche, e nel 1900 lo scultore Emil Fuchs realizzò una sua statua in bronzo nelle vesti dell’imperatrice, ora conservata al Museo di Brooklin. A sua volta la giovanissima principessa rumena Marthe Bibesco nel 1902 a un ballo organizzato dai coniugi Lebaudy improvvisò un costume utilizzando antichi abiti e gioielli di famiglia assai simili ai modelli bizantini, che la resero tale e quale Teodora nel mosaico di Ravenna. Suscitò grande ammirazione, ma la festa fu rovinata da un suo zio paterno, un uomo austero e compassato, che la accusò di avere assunto i panni di una donna di dubbia reputazione. Per protesta contro i rimproveri subiti e contro «le ingiurie di Procopio», negli anni a venire la Bibesco si sarebbe poi data con fervore allo studio del personaggio dedicandole un libro redatto nel dediderio «di liberare l’imperatrice innocente dalle infamie dei terribile Procopio». E infine, per concludere, mi sia consentito un ricordo personale del mio compianto collega Renato Polacco, fine studioso della storia dell’arte bizantina, che in occasione di un carnevale di Venezia insieme alla moglie, vestita da Teodora, indossò in coppia perfetta il costume di Giustiniano, riprodotti entrambi con grande eleganza dai mosaici di S. Vitale.

autore: GIORGIO RAVEGNANI

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Di Nicola

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