LA PRESA DI COSTANTINOPOLI DEL 1453 VISTA DAL CAMPO TURCO: TURSUN BEY

Quando la mattina del 29 Maggio, sulle mura sventrate dalle bombarde, iniziarono a sventolare le bandiere verdi del Profeta, la Cristianità intera fu pervasa da un terribile senso di smarrimento e sgomento: Costantinopoli, la Seconda Roma, la Città, Regina d’ ogni altre, era caduta.

Tutti, dai grandi uomini di cultura fino ai semplici testimoni presenti, piansero nelle loro lettere ed appunti la loro impotenza di fronte alla rovina di quella città che era stata il faro di tutto il Medioevo nonché la perpetuatrice della grande eredità greco-romana. Il cardinale Isidoro di Kiev denuncerà la distruzione e il sangue dei saccheggi, Enea Silvio Piccolomini, futuro Papa Pio II, parlerà di “una seconda morte per Omero, un secondo trapasso per Platone”. Quanti autori e filosofi classici destinati all’ oblio? Quanto sapere degli Antichi è andato dissipato dalla dispersione dell’ enorme patrimonio librario ivi custodito?

Questa fu la reazione occidentale. Ma quali furono le sensazioni dei Turchi Ottomani, i vincitori? Per loro, quel 29 Maggio 1453 non si trattò di una Caduta ma di una Conquista. Prendendo Costantinopoli, i Turchi acquisirono una nuova, superba e prestigiosa capitale, approdo delle rotte mercantili tra l’ Asia e l’ Europa e tra il Mar Nero ed il Mediterraneo, sede del Patriarcato Ortodosso. Congiunsero definitivamente i loro domini di Rumelia con quelli di Anatolia e divennero Campioni dell’ Islam riuscendo ad espugnare la fortezza tanto ambita dai Califfi.

Proprio la “Conquista della fortezza di Costantinopoli” viene narrata dal grande scrittore turco Tursun Bey, testimone dei fatti, in un capitolo del più ampio racconto sulle gesta del Sultano Mehmed II Fatih, il Conquistatore.

Ecco il passo di Tursun Bey sulla visione, quasi allucinata, che ebbero i guerrieri della Vera Fede quando entrarono in città:

“Presa la fortezza con l’ aiuto di Dio e ridotto il nemico inerme all’ impotenza, i musulmani si lanciarono a briglia sciolta e, come l’ occhio rapace, qual turco razziatore, saccheggia la regione del cuore e dell’ anima, con passo intrepido allungarono le mani a razziare e a saccheggiare. Da ogni abitazione, il cui tetto somiglia a Saturno e i cui piani ricordano le sfere dei cieli, da dentro letti intessuti d’ oro e da dietro cortine gemmate, spinsero nella strada e nei mercati giovinetti greci e franchi, russi e ungheresi, cinesi e tartari, insomma tirarono per quei capelli simili ai ciuffi degli idoli ogni genere di amabili creature: giovinetti rubacuori e schiavi belli come la luna. Di natura gentile, di lineamenti paradisiaci, (…). E fanciulle simili a stelle: dalle natiche di rosa selvatica, dalle guancie di gelsomino dai ricci di violetta e dalla statura di cipresso; dal viso di sole, dalla fronte di luna, dalla natura di Venere, dal fare civettuolo di Marte, dai lineamenti di Giove, dalla cintura simile a Orione, dalle sopracciglia come Sagittario, dalla ciocca della Vergine, dalla figura dei Pesci, dall’ incedere di pavone, dalla rossa gota, (…) dagli occhi chiari, bianca e candida la pelle. Ciascuna di loro ha la faccia qual luna piena, i denti come perle, i capelli corvini della notte, il profumo del muschio, la fronte ampia, l’ ombelico di cristallo. (…)

I ghazi spingevano innanzi giovinetti e fanciulle dall’ ombelico di cristallo a frotte, come leoni e i leopardi cacciano avanti la mandria di gazzelle. Dal palazzo del principe e dalle case degli infedeli ricchi e possidenti cavarono così tante suppellettili e vasellame d’ oro e d’ argento, gemme preziose e ogni genere di oggetti e tessuti, che la faccia della Terra rievocava il versetto: “Rigetterà i suoi pesi morti la terra (Cor., 99:2)” E dirà l’ uomo: “Che cos’ ha mai?” (Cor., 99:3)” dallo stupore per tanta abbondanza di ricchezze e di beni. Erano così tanti che perle degne di scià e splendenti rubini simili a melagrane vennero venduti al prezzo di vetri colorati e perline false, e si comprò oro e argento al prezzo di rame e stagno. Perciò molte persone si elevarono dal baratro della più nera miseria fino alle vette del benessere. Il senso  del discorso è che la condizione delle genti infedeli e dell’ errore finì in rovina, mentre l’ esercito imperiale, anzi l’ intero Quarto Abitato, prosperò grazie ai tesori preziosi di quelli. Con così tante vesti e gingilli, huri e fanciulli, l’ accampamento del Sovrano assunse l’ aspetto di Paradiso.

Avresti creduto che ogni tenda fosse il Paradiso, piena com’ era di huri, fanciullini e vesti. Che meraviglia! Dal ramo di ogni cipresso e pino Coglievano pesche così succulente! Quando i ministri e i notabili dello stato aprirono le porte della fortezza, Sultan Mehmed Ghazi onorò con il suo ingresso la fortezza accompagnato da ‘ulema ed emiri, così come il nobile Muhammad arabo –le migliori preghiere su di lui- in sella a Burak ascese al cielo. (…) In quel mentre l’ Assemblea Sublime laudatrice fece giungere alle orecchie dell’ umanità l’ eco di questo versetto: “Ecco i Giardini dell’ Eden (Cor.,9:72)”;entrate e restate in eterno! (Cor.,39:73)”

Mentre il Sultano passeggiando visitava le file di abitazioni, le strade e i mercati di quell’ antica metropoli e vasta fortezza, fece mostra del desiderio di osservare la chiesa chiamata Aya Sofya, che è modello del Paradiso:

“O sufi, se cerchi il Paradiso, Aya Sofya del Paradiso è il sommo cielo. E’ un edificio possente dalla solida struttura; riguardo al limite della sua costituzione- simile al cielo-bisogna sgomberare il campo da ogni timore che vi si insinui deterioramento. Un paragone è impossibile: si deve dire: “Non aveva pari su tutta la Terra (Cor., 89:8)”

Ma inesorabilmente, con il trascorrere dei secoli, gli edifici annessi e le sue appendici sono finiti in rovina, come la casa di chi invidia la fortuna altrui. L’ edificio del cuore per l’ afflizione ha principiato a decadere. Ahimè! La fortuna che era vegliante si è volta al sonno. Non esisteva più architetto in grado di mettere pietra nelle sue crepe. Di essa restava solo la cupola… Ma che cupola! Essa rivendica eguaglianza con le Nove Volte celesti. Un maestro abile ed esperto dispiegò in questa sua opera la più perfetta scienza ingegneristica. Estese a tal punto il suo interno grazie a mezze cupole le une poggianti sulle altre, angoli acuti e ottusi, volte di cui non si trovano eguali, simili all’ arco delle sopracciglia dei bei rubacuori, e mukarnas, che essa è così ampia da poter accogliere cinquantamila persone. A ornamento delle pareti, le rivestirono con minute tessere vitree multicolori, simili a particelle atomiche di cristallo dorato, tali che neanche la ragione più accorta arriva a comprenderne la fattura.

Ricoprirono il pavimento con marmo grezzo variegato. Cosicchè, se dal pavimento se ne guarda il soffitto, esso sembra il firmamento stellato, e se dal soffitto se ne guarda il pavimento, si scorge il mare in tempesta. Velarono le solide mura vicino alla loro base di un fine strato di marmo policromo, in forme così mirabili da gettare in doloroso smarrimento chi le osserva. Questi maestri hanno messo una tale attenzione nel loro intaglio, che dall’ adattarsi le une alle altre, figure inanimate prendono aspetto umano. Sulla cupola centrale un artista esperto ha raffigurato con tessere di vetro dorato e colorato l’ effige di un uomo che suscita sgomento, perché da qualunque parte venga osservato, pare rivolgere lo sguardo verso quella direzione.

Il Sovrano dell’ Universo, dopo aver goduto dello spettacolo delle meravigliose e strabilianti opere d’ arte presenti sulla superficie concava della cupola, salì sulla superficie convessa: la scalò come Gesù – l’ Alito di Dio – ascese fino al Quarto Cielo. Dopo aver ammirato il pavimento simile a mare ondoso dalle gallerie che sono fra i suoi piani, uscì all’ esterno della cupola. Allorchè vide la degradazione e la rovina degli edifici annessi e delle appendici di questa possente costruzione, penso all’ instabilità e alla volubilità del mondo. Considerò che la sua fine è la rovina e malinconicamente, dalla sua favella che diffonde zucchero, scaturì questo distico che giunse fino all’ orecchio di questo povero autore e finì iscritto sulla tavoletta del mio cuore:

Il ragno monta la guardia nei portici della cupola di Khusraw.
La civetta suona il silenzio nel Palazzo di Afrasiyab. Così va il mondo, destinato ad aver fine.”

autore: ROSSI JACOPO

Tursun Bey, La conquista di Costantinopoli, Mondadori

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Di Nicola

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