Le epistole di Gelasio I e di Innocenzo III
come cambia nei secoli il rapporto Papa-Imperatore

L’epistola di Papa Gelasio I e quella di Papa Innocenzo III esemplificano chiaramente l’evoluzione dei rapporti di forza tra il potere temporale della Chiesa Cattolica e il potere secolare dell’Imperatore, sia che si tratti dell’Imperatore d’Oriente che del Sacro Romano Imperatore.

Un dualismo quello fra il Papato e l’Impero, le due entità garanti dell’equilibrio del Mondo, che si protrarrà per secoli, fra concili, scomuniche, scismi, guerre aperte, e che nasce già agli albori dell’Alto Medioevo, all’indomani della caduta dell’Impero Romano d’Occidente.

La lettera di Papa Gelasio I, del 494 d.C., all’Imperatore Anastasio, contiene già i primi, timidi, accenni di quei principi sommi su cui si fonderà la Chiesa di Roma nei suoi rapporti con le autorità secolari: la distinzione netta tra l’ambito spirituale e l’ambito temporale, il primato dello spirituale nei confronti del temporale.

Papa Gelasio vuole sottolineare l’equilibrio fra i due poteri, nel V secolo la Chiesa è ancora saldamente incardinata nella struttura dell’Impero Romano, aggiungendo tuttavia una maggiore responsabilità morale del Pontefice, presagio della futura deriva teocratica della Chiesa medievale:

“Papa Gelasio I, Epistola VIII, ad Anastasio Augusto (a. 494).

Mi rivolgo alla tua pietà, pregandoti di non giudicare arroganza ciò ch’è obbedienza ai principi divini.

Non si dica, per carità, di un imperatore Romano, che considera ingiuria la verità comunicata alla tua intelligenza.

Due, invero, sono, o imperatore augusto, i fondamenti su cui principalmente questo mondo si regge: la sacra autorità dei pontefici e la potestà regale.

Tra i due, tanto più grave è l’onere dei sacerdoti, dato che essi dovranno rendere ragione, al giudizio divino, degli stessi principi degli uomini. Sai bene, o clementissimo figlio, che benché tu abbia autorità suprema sul genere umano, nondimeno abbassi devotamente il capo di fronte a coloro che sono preposti alle cose divine, e da loro aspetti le ragioni della tua salvezza. E nel ricevere i sacramenti celesti e nell’amministrarli come ai sacerdoti compete, tu non ignori che ti devi sottomettere all’ordine della religione, anziché fartene capo; e che, pertanto, in tali questioni devi dipendere dal giudizio di quelli, e non volere, al contrario, ricondurre quelli stessi alla tua volontà.

Se, infatti, è vero che anche gli stessi sacerdoti obbediscono alle tue leggi per quanto attiene all’ordine pubblico, sapendo che il potere imperiale ti è stato conferito per disposizione divina, e non volendo apparire nelle cose mondane in contrasto con una sentenza che esula dalla loro giurisdizione, con quale stato d’animo – ti domando – conviene che tu obbedisca a quelli cui è stata attribuita la prerogativa di amministrare i misteri divini?

Come, dunque, incombe sui pontefici il non lieve pericolo d’aver taciuto, anzi che aver servito Dio, come è giusto; così, non minore pericolo c’è per coloro (i re della terra) che – Dio non voglia – guardano con disprezzo, nel momento in cui debbono ubbidire. E se conviene che i cuori dei fedeli siano sottomessi a tutti i sacerdoti in genere, che con giustizia amministrano le cose divine, non è forse vero che, tanto più deve darsi consenso al capo di quella sede che il sommo Dio volle preminente ad ogni altro sacerdote e che sempre, di poi, la pietà di tutta la Chiesa innalzò?”

E’ di ben sette secoli successivi e di tutto un altro tenore, invece, l’epistola di Papa Innocenzo III ad Alessio Imperatore.

In essa i rapporti sono capovolti: qui il Papa non deve più cercare, timidamente e rispettando i ruoli gerarchici, di convincere l’Imperatore ma, anzi, esprime netto la propria concezione di supremazia e tale deve essere accettata.

Sette secoli sono passati e si fanno sentire tutti: la Chiesa di Roma si è emancipata da Costantinopoli, ha eretto un Sacro Romano Impero con Carlo Magno, ha affrontato lo Scisma con la Chiesa d’Oriente del 1054, ha superato la crisi al suo interno stabilendo la teocrazia con Gregorio VII e i suoi successori, ha vinto su Enrico IV e Federico Barbarossa.

Ora, Innocenzo III, lo stesso Pontefice che bandirà la fatidica IV Crociata, “presenta il conto” e vuole scolpire la posizione di dipendenza dell’Impero alla Chiesa, ricorrendo alla celebre metafora del sole (la Chiesa) e della luna (l’Impero), verso cui Dante, nel suo De monarchia, opporrà la metafora dei due soli.

Da notare come nell’incipit Alessio venga indicato come “Imperatore di Costantinopoli”, in contrasto con gli epiteti che Gelasio aveva affibbiato ad Anastasio:

“Innocenzo III, Lettera, 4, 10 (30 ottobre 1198) ad Alessio Imperatore di Costantinopoli.

Iddio ha creato due grandi luci nel firmamento del cielo, ed egualmente ha istituito nel firmamento della Chiesa universale due grandi dignità: l’autorità pontificia ed il potere regio. Quella, che presiede ai giorni, ovvero alle anime, è maggiore; questa, che presiede alle notti, ovvero ai corpi è minore: sicché vi è da segnalare tra i pontefici e gli imperatori tanta differenza di splendore quanta fra il sole e la luna.”

autore: JACOPO ROSSI

Fonte:

Caputo Giuseppe, Introduzione allo studio del Diritto canonico moderno, Padova, Cedam, 1987.

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Di Nicola

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