Normalmente la sconfitta di Myriokephalon viene percepita come la fine delle ambizioni imperiali bizantine; da quel momento la storia imperiale non è che una discesa, inarrestabile e tremebonda, verso l’inevitabile crollo, del resto –sempre si presume- causato dagli errori politici della politica comnena, in particolar modo di Manuele. Quanto segue, tradotto dal volume di Paul Magdalino su Manuele Comneno, dimostra quanto il 1176 non fu che un episodio, assolutamente non paragonabile a Manzikert, certo importante ma non tale da interrompere l’attività politica e militare di Costantinopoli, mostrando una volta di più come gli eventi del 1203-1204 non furono causati dagli effetti della politica comnena, bensì dal rifiuto di tale politica.

La campagna di Konya fu probabilmente l’evento più ambizioso mai ideato da un singolo governante cristiano nel XII secolo. La sconfitta che subì nelle gole di Tziribitze, ad un giorno di marcia da Konya, vicino al forte in rovina di Myriokephalon, fu del pari umiliante. I Turchi fecero grande strage, presero una grande quantità di bottino e giunsero ad un passo dal catturare lo stesso Imperatore, che accettò di buon grado l’offerta del sultano di una tregua in cambio della demolizione di Dorileo e Sublaion. Secondo Coniata, Manuele perse la testa durante e dopo la battaglia, alternando tra estremi di delusione ed abbattimento, e paragonando la sua esperienza a quella di Romano IV nel 1071; secondo Guglielmo di Tiro, egli non fu mai più lo stesso. Il disastro venne ampiamente interpretato quale giusta ricompensa degli eccessi del passato. La sua crociata era in rovina, e con essa la sua grande speranze di influenzare i risultati dei negoziati tra Federico ed il Papa, che sistemavano le loro differenze con aperti riferimenti a lui. Alessandro assicurò Federico che non aveva nulla a che fare con le attività degli agenti di Manuele ad Ancona. L’imperatore germanico rapidamente portò sotto il suo controllo la Romagna e la Marca di Ancona. Entrò anche in trattative diplomatiche con Kilic Arslan, replicando alle proteste di Manuele con risposta sprezzante e condiscendente. Intimò a Manuele di mostrare reale obbedienza a Roma, offrendosi di mediare nella disputa tra Manuele ed il “patriarca di Santa Sofia”, ed avvertì Manuele che non avrebbe avuto successo nei suoi tentativi proditori di corrompere i vassalli di Federico.
Quest’ultimo punto, comunque, dimostra che la politica estera di Manuele non può essere semplicemente cancellata con la battaglia di Myriokephalon. Qualunque cosa egli possa aver detto nel momento della sua disfatta, essa non fu un disastro come Manzikert. Dal momento che la narrazione di Cinnamo si interrompe prima della battaglia, dobbiamo essere particolarmente attenti a bilanciare l’altamente selettivo racconto di Coniata degli eventi successivi con l’evidenza dei contemporanei panegirici imperiali. Anche Coniata ammette che le frontiere in Asia minore non collassarono. Manuele rase al suolo Sublaion ma non Dorileo. Una grande armata che il sultano aveva inviato per razziare la valle del Meandro in rappresaglia venne distrutta non appena traversò il fiume al ritorno. Lo stesso Manuele ritornò in campo con successo in almeno due occasioni successive. Quando marciò in soccorso di Claudiopoli egli mostrò tutta la sua antica capacità di rapidità d’azione e di resistenza fisica: la sua comparsa improvvisa fu sufficiente a mettere in fuga il nemico. Né l’esatta cronologia né il risultato finale di questo stato di guerra che ci fu tra il 1177 ed il 1180 possono essere determinati con sicurezza. Manuele senza dubbio esagerò nei suoi annunci ufficiali le sue imprese, sia ai suoi sudditi che ai reggitori stranieri. Nel 1179 scrisse in lettere d’oro a Federico Barbarossa che “il sultano si arrendeva al nostro Impero, inviando ambasciatori a chiedere pietà, e presentava omaggi al nostro Impero, e giurava di servirci contro tutti con la sua armata in modo tale da essere amico dei nostri amici e nemico dei nostri nemici”. Tuttavia, il cronista tedesco annotava che Federico aveva appena ricevuto una legazione da Kilic Arslan che riportava l’esatto opposto. Roberto di Torigny probabilmente riporta la versione ufficiale bizantina degli eventi, quando testimonia che “Manuele… riportò la sua vendetta quell’anno [1179] sul sultano, poiché lo mise in fuga, catturò molti dei suoi soldati ed il sultano stesso evacuò la città di Iconio”. Comunque, non dovremmo presumere che la versione del sultano fosse molto più accurata. In realtà, la sua reale ambasciata al Barbarossa suggerisce che egli fosse sotto grande pressione: secondo un altro cronista, egli si stava preparando a convertire se stesso ed il suo popolo al Cristianesimo per ottenere un’alleanza matrimoniale con Federico. Possiamo così dedurre che il trattato di pace che senza dubbio concluse con Manuele prima della fine del 1179 non fosse del tutto a suo vantaggio, e che Coniata travisi grandemente le imprese di Manuele non menzionando in alcun modo questo trattato. Coniata dimentica anche di comunicare l’energia ed il dispiego di risorse della diplomazia di Manuele nei suoi ultimi anni.
Nel 1177 inviò navi in Palestina per una spedizione contro l’Egitto. Questa fu pretestuosamente frustrata dal conte Filippo di Fiandra ma, al suo ritorno in patria, Filippo visitò Costantinopoli. Come potente vassallo del re di Francia, con strette connessioni con il re d’Inghilterra, il conte poteva giocare un ruolo vitale nel continuo sforzo di Manuele di trovare nuovi alleati occidentali e di mantenere un alto profilo di crociato. Dal 1176 al 1178, durante il periodo della crociata di Filippo, Manuele scambiò diverse ambasciate con Enrico II. Nel 1178 egli inviò ambasciatori a negoziare un’alleanza matrimoniale con Luigi VII di Francia e, secondo una fonte, anche Filippo di Fiandra fu tra gli intermediari. Luigi accettò la proposta e nel 1179 mandò la sua figlia Agnese, di otto anni, a Costantinopoli dove, il 2 marzo del 1180, essa fu promessa in isposa al figlio decenne di Manuele, Alessio. Il fidanzamento venne concluso poco dopo il matrimonio della non più giovane figlia di Manuele, Maria, con l’adolescente Ranieri, figlio del marchese Guglielmo del Monferrato; Ranieri venne investito del titolo di cesare e di un “feudo” consistente nell’”onore” di Tessalonica. Entrambe le occasioni furono accompagnate da magnifici festeggiamenti. Perché i negoziati dietro a questi matrimoni produssero risultati che erano mancati a così tanti sforzi diplomatici nel passato? Manuele era finalmente riuscito a convincere l’Occidente che aveva a cuore gli interessi della Cristianità? Aveva la premonizione che la morte non era lontana? Il suo isolamento diplomatico lo indusse ad accettare proposte che non avrebbe accettato prima del 1176? Ciò che è indubbio è che l’unione che assicurò a suo figlio portò alla fine l’isolamento. L’alleanza con la casa reale dei Capetingi univa i Comneni con la dinastia nella quale tradizionalmente il Papa ed i signori di Outremer confidavano. Era l’unione più importante che un Imperatore bizantino concludeva da generazioni, e disperdeva una nuvola che copriva le reazioni bizantino-occidentali fin dalla seconda Crociata.
A paragone, Ranieri del Monferrato può sembrare una scelta di ben minore importanza per una principessa porfirogenita la cui mano era stata offerta a quattro famiglie reali. Tuttavia la stirpe dei Monferrato, che era imparentata tanto con gli Hohenstaufen quanto con la dinastia capetingia, non era meno rispettabile della Casa d’Antiochia, nella quale Manuele stesso si era sposato nel 1161. Essi furono in grado di causare seri problemi al loro precedente signore, Federico Barbarossa, e provarono il loro valore nel 1179, quando il fratello di Ranieri, Corrado, catturò Cristiano di Magonza. Altri due fattori li raccomandavano a Manuele. Il primo era la loro connessione alle Crociate: un altro fratello era quel Guglielmo Lungaspada che aveva sposato Sibilla di Gerusalemme, ed il loro figlio era ora l’erede di Baldovino IV. L’altro fattore era la loro posizione quali magnati territoriali nell’entroterra di Genova. Eustazio di Tessalonica ha cura di annotare che Agnese di Francia venne condotta a Costantinopoli da navi genovesi; a dispetto d’un recente miglioramento nelle relazioni veneto-bizantine, Genova rimpiazzò Venezia quale maggiore alleato marittimo dell’Impero.
Manuele ebbe meno successo nel suo tentativo di sposare una nipote, Eudocia, al fratello del re d’Aragona il quale, non appena la sposa gli venne inviata nel 1179, interruppe l’unione “per timore dell’imperatore di Germania”. Tuttavia un buon partito le fu trovato in Guglielmo di Montpellier, e nello stesso tempo un’altra nipote di nome Eudocia, vedova di Odo Frangipane, andava in sposa ad un importante nobile toscano. Insieme alle alleanze con i Monferrato ed i Capetingi, con questi matrimoni Manuele creava un blocco di alleati sul fianco occidentale dell’impero degli Hohenstaufen, in Francia ed in parte dell’Italia –Toscana, Liguria e Piemonte-, dove ora il Barbarossa vedeva compromessi la sua presenza ed il suo potere.
Ed ancora, come prima, la “guerra fredda” tra Federico e Manuele nel 1177-79 non è l’intera storia delle loro relazioni. Appare chiaro dalla corrispondenza tra Ugo Eteriano e due amici tedeschi, Ugo di Honau e Pietro di Vienna, che Federico Barbarossa mandò dopo la pace di Venezia almeno una ambasciata a Costantinopoli. In una lettera, Pietro preme su Ugo Eteriano e Leone Toscano “affinché si occupino di promuovere l’unione finale, che si sta utilmente negoziando tra i due imperatori”.  Questa evidenza mette in diversa luce le recriminazioni che Manuele e Federico si scambiarono nel 1179. Pare che i due imperatori stessero perseguendo una doppia diplomazia, da una parte cercando alleanze l’uno contro l’altro, dall’altra discutendo in merito all’unità dei Cristiani. La base per questa discussione, probabilmente, era la promessa che Federico aveva fatto al Papa, nel trattato del 1177, che egli avrebbe fatto una “pace genuina” con l’Imperatore di Costantinopoli.
Le relazioni tra Manuele e Alessandro III non erano più quelle di prima del 1176. Il Papa aveva capito che Manuele aveva perso molta della sua volontà di tornare all’ovile romano, e da parte sua non era pronto a vedere un aumento dell’influenza ecclesiastica greca ad Antiochia. Tuttavia Manuele stesso si era ammorbidito su questo problema. E’ significativo che Guglielmo di Tiro, dopo aver presenziato al Terzo concilio laterano di Roma, nel 1179, ritornò in patria passando per Costantinopoli, dove si fermò per più settimane, e poi continuò accompagnato da inviato imperiali passando per Antiochia, dove parlò nell’interesse dell’Imperatore al principe Boemondo III ed al patriarca latino. Il patriarca di Costantinopoli Teodosio, eletto nel 1179, era nativo di Antiochia. Ci può essere stato un contingente greco al Terzo concilio laterano, e negli anni seguenti venne inviato a Costantinopoli un legato papale su richiesta imperiale. E’ improbabile che l’alleanza matrimoniale con Luigi VII non avesse avuto l’approvazione del Papa, o che Alessandro non fosse impressionato dalle nuove iniziative religiose che Manuele stava lanciando in Oriente. Nel 1178 Manuele ed il Patriarca intavolarono freschi negoziati con la Chiesa armena, che al Sinodo di Hromgla (1179), accettò l’Ortodossia dei Greci. Nel 1180 Manuele fece il suo celebre tentativo di persuadere il Sinodo di Costantinopoli di modificare il catechismo per i Musulmani apostati, cosicché non avrebbero dovuto abiurare Allah insieme al suo Profeta. Questa controversa misura, che mise un dubbio la sanità dell’Imperatore, fu apparentemente causata dalle obiezioni di Amir Hasan, il figlio adottivo del visir del sultano, Gabras. Ma può essere senza legami con la prospettiva della conversione al Cristianesimo dello stesso Kilic Arslan, perché suo figlio potesse sposare la figlia di Federico Barbarossa? Il Papa da parte sua prese seriamente questa prospettiva, e rispose entusiasticamente alla richiesta del sultano di istruzioni alla fede. Manuele chiaramente pensò che il suo pensiero era in linea con la politica papale, giacché quando fu contrastato dal Sinodo bizantino, “egli minacciò di convocare un concilio più ampio e di discutere la questione con il Papa stesso”.
Il potere imperiale in Cilicia continuò a fluttuare dopo la morte di Mleh (1174), ma Tarso ritornò in mano imperiale dal 1180. I principati russi e la Georgia restarono solidamente nel “Commonwealth bizantino”. Fatto più importante, l’Ungheria e la Serbia continuarono a non creare altri problemi.
La politica estera bizantina aveva compiuto un gran passo dalla seconda Crociata, rispetto al quale l’umiliazione del 1176 non era che un minore contrattempo.

a cura di : SERGIO BERRUTI

Trad. da Magdalkino P., Manuel I Komnenos, Cambridge University Press.

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