Mosca: Terza Roma? Se, e in quali termini, sia possibile ravvisare l’eredità romana nelle steppe russe

“Due Rome sono cadute, la terza [Mosca] è in piedi e una quarta non vi sarà ”,questo è quanto si può evincere da un’epistola del monaco Filofej redatta agli inizi del XVI secolo. Se non è certamente lecito parlare di una dichiarazione di intenti politici, sembra infatti che sia stata un lamento rivolto dal religioso al sovrano implorando a questo il rispetto e l’integrità della Chiesa al fine che Mosca non cada, essa è sicuramente un’affermazione assai forte: Mosca viene presentata come l’incarnazione dei primi due poteri imperiali cristiani e come un baluardo preposto alla difesa della retta fede. La lettera di Filofej, dunque, si pone come un ottimo inizio dal quale può prendere le mosse la riflessione che di seguito verrà proposta. Qui si cercherà di analizzare se, e in quali termini, sia lecito attribuire a Mosca l’eredità di Roma. Con il fine di perseguire un’analisi che si auspichi essere approfondita ed esaustiva è necessario prima esporre, oltremodo molto brevemente, le motivazione che legittimano la pretesa di Costantinopoli a dichiararsi erede di Roma; quindi, una volta analizzate queste, sarà possibile comprendere meglio in che termini Mosca si ponga nel solco della tradizione imperiale.

Bisanzio, Nuova Roma

Nel 330 Costantino fondò ufficialmente la città che per secoli porterà il suo nome: Costantinopoli. Non è questa la sede atta a discernere le motivazione che mossero l’augusto a portare avanti il sogno di dare all’Impero una città che portasse il suo nome. Ciò che deve qui essere portato alla nostra attenzione sono le basi sulle quali questa città rivendicò la continuazione con la Prima Roma, basi solide e molteplici. Bisanzio, già in età costantiniana, ricevette l’onore di ospitare

il senato: prima indicato e composto dal seguito stesso dell’Imperatore e solo successivamente atto a rappresentare l’antenna orientale del senato di Roma. Si deve alla presenza dell’illustre assemblea se gli augusti e le loro corti cominciarono,dal fondatore ai successori, a risiedere permanentemente in questa località. E altri due elementi concorrono a definire chiaramente la posizione della città all’interno dell’Impero. Essi sono, dunque, la duplicazione della prefettura urbana sulle rive del Bosforo, elevato onore concesso prima solo a Roma, e il riconoscimento dello statuto di populus romanus ai suoi abitanti.

Bisanzio, in tal modo, si preparava ad accogliere l’eredità di Roma e l’intento è reso assai evidente dallo sviluppo successivo agli eventi appena accennati. Durante il concilio di Calcedonia la città venne designata esplicitamente come “Nuova Roma” stando quindi a significare ed auspicare un rinnovamento dell’intera istituzione imperiale. Il canone 28 di quel concilio, infatti, afferma che: “i 150 vescovi diletti da Dio concessero alla sede della santissima Nuova Roma…e che gode di privilegi uguali a quelli dell’antica città imperiale di Roma”. Eun riconoscimento, forse ancora più rilevante, si ebbe nel 476 quando Odoacre, dopo aver deposto Romolo Augustolo, inviò a Costantinopoli le insegne imperiali che riuscì ad ottenere. Egli, quindi, riconosceva come esse, per via delle loro alta importanza simbolica, non potessero essere equiparate al resto del bottino e, in secondo luogo, riconobbe l’Imperatore d’Oriente, e la sede da lui occupata, come il solo degnoad accogliere un’eredità tanto pregnante.

L’istituzione imperiale a Bisanzio sopravvisse per mille anni alla caduta di Roma conferendo con i suoi imperatori un punto di riferimento fermo e stabile che non ebbe eguali nell’età medievale. Lo Stato Bizantino, tuttavia, pur presentandosi continuamente come erede e continuatore di Roma progressivamente modificò e alterò taluni aspetti della cultura imperiale. L’augusto, per via dell’elaborazione concettuale di Eusebio di Cesarea, era il Vicario di Dio in terra. Egli solo, infatti, aveva l’autorità di interpretare il Verbo divino e, pertanto, l’impero da lui governato si poneva come il solo vero difensore dell’ortodossia. Tanta era grande l’importanza che veniva riservata alla religione che i canoni emanati dai grandi concili della cristianità assumevano valenza di legge. Un cristiano, dunque, poteva ambire a vivere la pienezza della propria fede solo abitando all’interno dell’unico Impero che poteva difendere la correttezza dell’approccio al trascendente: ovvero quello bizantino.Ed era missione dell’Imperatore, inoltre, esportare la dottrina cristiana anche oltre i confini imperiali per convertire quanti più popoli possibile alla retta fede; perseguendo questo obbiettivo anche le genti della Rus’ di Kiev vennero portate nell’alveo della cristianità.

Mosca, Terza Roma

Se Bisanzio poteva rivendicare l’eredità di Roma in forza della presenza fisica dell’Imperatore, lo stesso indirizzo non potè essere utilizzato da Mosca. È certamente da ridimensionare l’importanza che in tal senso si conferisceal matrimonio tra Zoe Paleologa,nipote dell’ultimo imperatore bizantino Costantino XI, e Ivan III. In passato, infatti, vi erano stati episodi di gran lunga più pregnanti di significato. Nei primissimi anni del suo regno, infatti, Basilio II fu costretto a combattere una pericolosa sollevazione di alcuni lignaggi suoi rivali. La situazione era così disperata che l’Imperatore, per salvare il trono, fu costretto a chiedere aiuto ad un principe russo, Vladimir. Quando i suoi Varieghi arrivarono l’Imperatore fu in grado di annientare gli avversari, nelle battaglie di Crisopoli e Abido, rinsaldando così il suo potere. Basilio II, dunque, per ringraziare Vladimir del suo aiuto gli concesse in sposa la sorella, la porfirogenita Anna, con la promessa, però, che egli si sarebbe convertito alla fede cristiana ortodossa.

Il filo conduttore che più sembra unire l’eredità bizantina alla rivendicazione russa è proprio quello della difesa dell’ortodossia. Il legame col patriarcato costantinopolitano prese forma nel 988 quando il principe Vladimir, mantenendo fede alla promessa fatta all’augusto, immerse il suo popolo nelle acque del Dneprconvertendolo così al cristianesimo. A quel tempo, tuttavia, furono motivazione di ordine politico che portarono all’accettazione della fede cristiana. Vladimir, infatti, in questo modo poteva ambire a buon diritto a rafforzare i suoi rapporti commerciali con l’impero bizantino e rinsaldare la sua posizione sui sudditi. Il principe, infatti, poteva presentarsi come il legittimo difensore secolare della nascente chiesa; chiesa che era guidata da un metropolita scelto direttamente dal patriarca di Costantinopoli.

A Kiev, quindi, giunsero un gran numero di artisti, monaci e realizzatori di icone che vi portarono, assieme al cristianesimo, anche la millenaria cultura bizantina che qui venne rielaborata in un modo del tutto particolare. La planimetria della stessa Kiev, infatti, doveva modellarsi su quella di Costantinopoli e la città raggiunse, in un breve torno di anni, uno splendore tale che Adamo di Brema arrivò ad affermare che essa poteva agevolmente essere considerata “aemula sceptri Constantinopolitani”, un vero e autentico gioiello.

Recentemente, tuttavia, Zivov ha messo in luce come nei territori della Rus’ fosse stata trapiantata solamente la cultura di origine monastica; precludendo, quindi, un contatto diretto con il retaggio classico ed, anzi, avvalorando la tesi secondo cui in queste terre sarebbe giunta la componente meno significativa della cultura bizantina. Garzaniti, in un suo breve saggio, sconferma efficacemente questa posizione sostenendo che l’intera cultura bizantina si muoveva entro un ambito cristiano orientale ragion per cui nell’attività missionaria ,che promuoveva la conversione di questi popoli alla retta fede,i messaggi che venivano trasmessi erano certamente permeati dalla cultura antica. Ciò che si pone con evidenza, quindi, è che gli abitanti della rus’ che venivano convertendosi non ebbero la possibilità di accedere direttamente al retaggio classico, alla filosofia come alla cultura in senso lato, ma questo venne offerto loro solo nella trasmissione nel messaggio cristiano e dopo essere stato profondamente rielaborato nell’ambito del mediterraneo orientale.

Lo Stato di Kiev, dalla struttura policentrica, non riuscì a reggere l’urto della potenza mongola che, travolgendolo, lo dissolse portandolo alla frammentazione. Con la caduta di Kiev fu necessario individuare una nuova sede per il metropolita che qui vi era insediato; nel 1299, quindi, Maximos decise di trasferirsi nella sede di Vladimir. Il suo successore Pietro, non greco bensì appartenente ad una nobile famiglia della rus meridionale , decise di spostarsi a Mosca dove, dopo la morte, venne sepolto e canonizzato. Tegnostos, infine, eletto a seguito della scomparsa di Pietro venne convinto dal gran principe Ivan Kalita a restare a Mosca. Città che da poco tempo era diventa egemone nell’aerea: solo nel 1338, infatti, a seguito di lunghi scontri e rappresaglie condotte dai predecessori lo stesso Ivan Kalita ricevette da Uzbeck Khan sia l’investitura ufficiale di gran principe di Mosca sia il trono di Vladimir. Mosca, pertanto, potè rivendicare sul piano ecclesiastico una continuità diretta con la sede di Kiev.

Per quanto concerne la continuità politica con Kiev il rapporto e più complesso e problematico. Prima che i mongoli arrivassero erano già presenti diversi principati che derivavano dalla dinastia che poneva come suo fondatore il leggendario Rjurik. I contrasti e gli odi che animavano questi diversi rami favorirono, e accelerarono, la fine dello stato kievano, cui sopra abbiamo accennato. Si giunse, dunque, ad un elevato grado di frammentazione del territorio che cominciò ad essere ricomposto solo dopo la fine del dominio mongolo quando i principi di Mosca, con l’aiuto dei loro metropoliti, cercarono di unire quanti riconoscevano ancora Rjurik come loro capostipite. Costui, infatti, stando al Racconto dei tempi passati, testo elaborato sulla base di fonti orali e scritti antichi, assieme ad altri suoi compagni Varieghi avrebbe svolto una funzione importantissima nel processo di unificazione politica delle terre che in seguito avrebbero composto lo Stato di Kiev; egli, dunque, si poneva come una sorte di ideale capostipite di tutte le genti che abitavano le grandi pianure di quello Stato.

Per proseguire la nostra analisi, tuttavia, dobbiamo soffermarci ancora su questioni di natura religiosa ed ecclesiastica: se l’Impero Bizantino configurò se stesso come il baluardo della cristianità ortodossa, e Mosca volle presentarsi come erede di quello Stato, la nostra attenzione deve concentrarsi ad un’altra svolta di alto valore simbolico. Nel 1439, infatti, l’Imperatore Giovanni VIII Paleologo giunse in Italia con l’intento di riunificare la chiesa romana a quella orientale. Il suo progetto era dettato dalla disperante situazione in cui versava allora Bisanzio e il fine dell’augusto era quello di promuovere una grande campagna militare che avrebbe travolto i Turchi; oramai era chiaro, infatti, che Costantinopoli non aveva più le energie per opporsi da sola a questo pericoloso nemico. Venne convocato un concilio, prima a Ferrara e successivamente spostato a Firenze, per il 1439 per dare seguito al progetto. E Giovanni VIII, assieme al patriarca di Costantinopoli e ad un elevato numero di ecclesiastici e monaci, si convertì alla fede romana riconoscendo la suprema autorità del papa. Il gesto portò le conseguenze sperate: papa Eguenio IV, infatti, ordinò i preparativi per una grande crociata che avrebbe dovuto liberare la Regina delle Città. Un grande esercito guidato da Ladislao III e comprendente il voivoda di Transilvania Giovanni Corvino Hunyadi, il despota Serbo Giorgio Brankovic e altre personalità di spicco, come il cardinale Giuliano Cesarini, venne radunato nell’Ungheria meridionale. Le operazioni militari risultarono essere favorevoli nella prima fase del conflitto, il sultano Murad II era infatti impegnato a domare delle pericolose ribellioni in Asia Minore e Albania, ma catastroficamente si capovolsero il 10 novembre 1444 quando l’esercito ottomano affrontò nella battaglia di Varna quello crociato, il quale venne pesantemente sconfitto. Più che le operazioni militari in senso stretto in questa sede è necessario focalizzare l’attenzione su due aspetti che seguirono gli eventi appena accennati. Il primo, e sicuramente più appariscente, fu il crollo di Bisanzio: l’agonia della capitale d’Oriente si protrasse sino al 1453 ma già a seguito della fallita crociata era chiaro che per essa stava giungendo la fine. In secondo luogo è da segnalare l’isolamento internazionale dell’augusto e del suo Impero dettato dall’aver abbandonato l’ortodossia e di conseguenza dall’essersi piegato alle volontà del papato romano.

E, dunque, l’accordo, interpretato dai moscoviti come un abbandono dell’ortodossia, venne rigettato e il concilio della Chiesa russa allontanò Isidoro, il metropolita che aveva sottoscritto l’Unione. La Chiesa russa dichiarava quindi con forza di essere la sola depositaria, e il solo baluardo, della fede ortodossa. L’affermazione venne ulteriormente sottolineata quando, nel 1448, la chiesa di Mosca divenne ufficialmente autocefala; si arrogava il diritto, dunque, di scegliere i propri rappresentati indipendentemente dalla volontà del patriarca di Costantinopoli. Una tale pretesa, tuttavia, necessitava di una nuova sistemazione concettuale della moscovia all’interno del progetto della salvazione. Di qui si prese la strada secondo la quale i russi dovevano essere considerati il nuovo popolo eletto. Essi, come gli Israeliti delle origini, soli depositari della vera fede erano circondati dai miscredenti, ad ovest dai cattolici e ad est dai musulmani, e potevano avere ragione di questi solo aderendo totalmente alla volontà di Dio. Significativo, infatti, è un passo che si ritrova nel testamento di Ivan IV “il Terribile” dove il sovrano, rivolgendosi ai figli Ivan e Fedor, afferma: “Conosciate la fede cristiana ortodossa, tenetevi a lei fortemente, pronti a soffrire molto per essa, addirittura fino alla morte” (Santa Russia, pagina-392).

La Chiesa, inoltre, rielaborò la figura del sovrano a cui era preposta la difesadelle sue terre: questo, infatti, venne presentato come un’icona vivente di Dio e il suo Impero un’icona del regno dei cieli. Sul finire del XV secolo, inoltre, all’interno di alcuni testi ecclesiastici cominciò ad essere presentata una genealogia fittizia secondo la quale la casata dei rjurikidi e la famiglia di Ottaviano Augusto erano inscindibilmente legate. Allo stesso modo venne presentata una leggenda che narrava come l’Imperatore bizantino Costantino Monomaco avesse inviato al principe Vladimir le proprie insegne regali fra le quali “la corona imperiale di Monomach” ratificando, in tal modo, una continuità tra Costantinopoli, Kiev e la sua presunta erede Mosca.Gli ecclesiastici, dunque,falsando o forzando determinati avvenimenti storici cercarono in tutti i modi di nobilitare la figura del proprio sovrano e furono loro che, in un primo momento, utilizzarono il termine di zar (imperatore).

Il processo di sacralizzazione del sovrano venne completato durante il regno di Ivan IV quando Mamarkaj, il metropolita della chiesa russa, incoronò il suo signore in una cerimonia che faceva eco a quelle bizantine. Nel medesimo periodo, inoltre, nei testi ecclesiastici venne rafforzata l’ideologia del sovrano come difensore dell’ortodossia e rappresentante di Dio in Terra; in questo processo si inserisce la canonizzazione di Aleksander Nevskij il cui mito venne astutamente rielaborato. Il condottiero, infatti, aveva sconfitto nel 1240 sulla Neva gli Svedesi di Birger Magnusson e, due anni dopo, aveva fermato i Cavalieri di Livonia, ordine nato dalla confluenza dell’Ordine dei Portaspada in quello Teutonico, nella battaglia sul lago Cudskoe. Nevskij, dunque, era colui che aveva difeso le terre che successivamente sarebbero entrate a far parte dello stato russo dall’aggressione di potenze occidentali e, elemento altrettanto importante, cattoliche.

Nel processo di rafforzamento della figura imperiale si inserisce un altro avvenimento particolarmente significativo: la creazione del patriarcato di Mosca. Questo fu istituito quando il patriarca di Costantinopoli, Geremia II, nel 1589 mentre si trovava a Mosca venne sottoposto a feroci pressioni da parte dello zar Feodor Ioannovic, il figlio di Ivan IV il Terribile, del suo cognato Boris Gudunov e del metropolita della stessa Mosca Iov. Ora lo zar aveva il suo patriarca e ciò lo poneva in una situazione di tutto rispetto.

La continuità con Bisanzio, e la tradizione imperiale da questa rappresentata, si pone dunque evidentemente e qualitativamente nella difesa della religione cristiana ortodossa.

autore: GIAN LUCA GONZATO

Bibliografia

GALLINA M., Storia di un impero (secoli IV-XII), Roma 2015.

OSTROGORSKY G., Storia dell’impero bizantino, trad. it., Torino 2014.

GARZANITI M., Slavia latina e Slavia ortodossa. Per un’interpretazione della civiltà slava nell’Europa Medievale in Studi Slavistici IV(2007).

RAVEGNANI G., Introduzione alla storia bizantina , Bologna 2008.

BUSHKOVITCH P., Breve storia della Russi, trad. it., Torino 2013.

PITASSIO A., Storia dell’Europa Orientale, Perugia 2011.

IVAN il Terribile, Santa Russia, lettere e testamento del primo Zar, Milano 2018.

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Di Nicola

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