Lo storico belga H. Pirenne racconta gli ultimi, tribolati anni di Bisanzio allorchè gli Ottomani si apprestavano alla conquista dei Balcani.

I turchi dopo il X secolo erano stati per il califfato di Bagdad presso a poco quello che i Germani, sei secoli prima, erano stati per l’Impero romano. Essi l’avevano invaso e, naturalmente, si erano subito convertiti alla sua religione. La brillante civiltà dell’Islam era troppo fragile per sopportare il contatto di questi rudi neofiti. Essi non ne furono influenzati che da pochi elementi tutti esteriori. Rimasero, in mezzo ad essa, essenzialmente contadini e soldati, ma quanto meno si civilizzarono, tanto più si infiammarono per la loro nuova fede di uno zelo che, animandoli contro gli infedeli, contribuì necessariamente a conservare il loro spirito militare. La grande invasione mongolica del XIII secolo, che devastò così selvaggiamente l’Asia Anteriore, li respinse fra le montagne dell’Armenia. Ne discesero ben presto sotto la guida di Othman per estendersi verso occidente, nell’Asia Minore, preda facile a strappare dalle mani deboli dei successori di Michele Paleologo. Brusa (1326), Nicomedia e Nicea (1330) caddero in potere dell’invasore. Dei suoi possessi asiatici nulla rimaneva più all’Impero. E la sua impotenza si aggravava ancora per gli intrighi politici in cui si dibatteva. La conquista dell’Europa seguì subito alla conquista dell’Asia.  Murad I si impossessò di Adrianopoli nel 1352, di Filippopoli nel 1363, sconfisse i serbi nel 1371, li respinse in Macedonia ed entrò a Sofia nel 1362. Chiusi fra le mura di Costantinopoli, i Greci abbandonarono agli Slavi la difesa della Tracia. I Serbi ebbero, nel 1387, qualche successo in Bosnia ma, due anni più tardi, perdettero la sanguinosa battaglia della piana del Kosovo (15 giugno 1389), nella quale perirono il loro principe Lazzaro ed il sultano vincitore. La resistenza sembrava spezzata. Bayazid (1389-1403), figlio di Murad, sottomise la Bosnia, la Vallacchia, la Bulgaria, la Macedonia e la Tessaglia. Sino al Danubio, quasi tutta la penisola balcanica non era più che una parte del mondo musulmano. La croce non si elevava più che sulle cupole di Costantinopoli e di Salonicco, fra le montagne dell’Albania. Le frontiere dell’Ungheria, e con esse quelle della Chiesa latina, erano minacciate. Gli appelli disperati dei Paleologi furono alla fine ascoltati. Bonifacio IX predicò la crociata, Sigismondo di Lussemburgo chiamò alle armi gli Ungheresi ed i Tedeschi. In Francia il duca di Borgogna, Filippo l’Ardito, mosso senza dubbio tanto dal desiderio di risollevare il prestigio della sua casa che da spirito cristiano, inviò suo figlio Giovanni (Senza Paura) alla testa di una brillante cavalleria a combattere l’infedele. Tutti questi sforzi si infransero a Nicopoli di fronte ad una tattica militare sconosciuta ed all’Impero dei Turchi (12 settembre 1396). Sembrava vicina a scoccare per Costantinopoli l’ora suprema. Fu ritardata di una cinquantina d’anni solo da una nuova imprevista invasione mongola.
Una volta di più, e fortunatamente l’ultima, Attila e Gengis Khan, un barbaro di genio, Tamerlano, scatenava un torrente di orde gialle. Le sue conquiste erano temibili come quelle delle spaventevoli
distruttori di cui era degno di richiamare il ricordo. Aveva raggiunto il Volga, aveva sottomesso con il terrore la Persia e l’Armenia, ed in ultimo la Mesopotamia culla di tante civiltà succcessive, che da allora non si è più risollevata dalla desolazione che vi lasciò. L’impero turco era minacciato. Bayazid stava per intraprendere l’assedio di Costantinopoli; lo tolse per correre a difendere l’Asia Minore. I due barbari si incontrarono nel 1402 ad Angora, dove il vincitore degli Europei fu sconfitto dai Mongoli (20 luglio 1402). Ma la fortuna di Tamerlano fu tanto breve quanto era stata rapida. Dopo la sua morte (1405), i popoli soggiogati si risollevarono in mezzo a cumuli di rovine. Solimano (1402-1410), figlio di Bayazid, riorganizzò quanto rimaneva della Turchia asiatica. Sarebbe stato il momento per i cristiani di prendere l’offensiva. Ma l’imperatore Manuele II si contentò di un trattato che gli restituisse Salonicco con poche isole il matrimonio delle sue nipoti con il Sultano. Cosi la catastrofe, momentaneamente evitata, non tardò a farsi più minacciosa che mai. Murad II (1421-1451) ricomparve davanti alle mura di Costantinopoli, riprese Salonicco e, malgrado l’eroismo di Scanderbeg (Giorgio Castriota) in Albania, di Giovanni Hunyadi sulle frontiere ungheresi, il dominio turco, dopo la battaglia di Varna (1444), fu ristabilito in tutta la penisola balcanica.
Questa volta il destino di Costantinopoli era inevitabile. Quale soccorso attendere dall’Europa, dove la Francia e l’Inghilterra erano spossate per la guerra dei Cento Anni, la Germania travagliata dal movimento hussita, la Chiesa in preda alle dispute del papa e dei concili? L’unione della Chiesa greca alla Chiesa latina, che l’imperatore Manuele lasciò proclamare da Eugenio VI nel 1439, attrasse appena l’attenzione dell’Occidente e non ebbe altro risultato che quello di esasperare il popolo bizantino ed il clero ortodosso, decisi ad essere Turchi piuttosto che papisti. Nei Paesi Bassi il duca Filippo il Buono aveva un bel parlare della crociata, ma non partiva, e quand’anche fosse partito!… Non era con una spedizione militare, per quanto potente essa fosse, che si sarebbe potuto ottenere qualche risultato per la salvezza di Costantinopoli. Contro i Turchi, che potevano sempre portare dall’Asia riserve nuove e mantenere con poca spesa la guerra con le vigorose masse di tutta una nazione guerriera, ciò che occorreva era una base militare potente e permanente sulle coste del Bosforo, nelle isole e sul Danubio. Quale stato nelle condizioni politiche ed economiche di quei tempi, sarebbe stato capace di organizzarla, di sopportare le spese e di assicurarne il mantenimento? Per quanto incivili fossero i Turchi, erano almeno nell’arte militare uguali agli Occidentali. Essi avevano vascelli da guerra, artiglieria, una cavalleria incomparabile, l’impeto brutale ed il fanatismo eroico dei primitivi. D’altra parte, gli Stati che più avevano interesse a combatterli, quando anche fossero stati più potenti, o non lo volevano o non lo potevano. I Veneziani pensavano solo a conservare i loro banchi commerciali. La Germania suddivisa era incapace di ogni sforzo e abbandonò gli Ungheresi a se stessi; e questi, che altro potevano fare se non limitarsi a difendere le loro frontiere? Quanto ai Serbi ed ai Bulgari, erano spossati. Allorché Maometto II, nel 1452, pose l’assedio a Costantinopoli, nessuno venne in aiuto della città. La sua caduta era fatale. E non bisogna rimproverare l’Europa di non esserne interessata. Lo sforzo che avrebbe dovuto fare era troppo grande. Essa lo comprendeva bene. Fin dal momento che l’Impero bizantino non aveva potuto difendere l’Asia Minore contro i Turchi, Costantinopoli era perduta. Non ci si meravigli dunque se gli Occidentali non hanno ascoltato Enea Silvio (Pio II) e Nicola V. Sapevano bene che bisognava rassegnarsi all’inevitabile. L’onore almeno fu salvo. Costantino XI terminò degnamente la lunga serie degli imperatori che si legavano direttamente agli imperatori romani, di cui ancora portavano il titolo. Il giorno dell’assalto, il 298 maggio 1453, egli morì combattendo. L’indomani, in mezzo a saccheggi e massacri, il vincitore entrò nella basilica di Santa Sofia e la trasformò in moschea, omaggio incosciente di un barbaro alla civiltà superiore su cui aveva trionfato.

Da Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo (1936, ed. it. 1956).

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