Lungo lo stretto dei Dardanelli, da sempre confine naturale tra Occidente ed Oriente, sorse una delle città più cariche di storia dell’antichità: Bisanzio. Fondata secondo la tradizione nel VII secolo a.C. da Byzas, rimase a lungo un piccolo centro di commerci, abile nel destreggiarsi tra le potenze del suo tempo. Né apertamente persiana né apertamente greca, preferì seguire la via pragmatica: offrire la propria posizione a chi garantiva maggiori vantaggi. La sua storia antica è fatta più di transiti che di protagonismi, tanto da vedere passare l’immenso esercito di Serse e quello delle poleis greche senza intervenire direttamente nei conflitti.
La città conobbe trasformazioni radicali già in età ellenistica. Filippo II non riuscì a conquistarla, mentre Alessandro Magno entrò senza difficoltà. Dopo la dissoluzione dell’impero macedone, Bisanzio gravitò nell’orbita dei regni ellenistici fino a quando Attalo III di Pergamo la cedette alla giovane potenza romana. Con Roma iniziò un lungo periodo di stabilità, interrotto bruscamente quando Settimio Severo la distrusse per aver sostenuto il rivale Pescennio Nigro. Fu lo stesso imperatore, poco dopo, a ricostruirla, dando vita a quella che viene spesso definita la “seconda Bisanzio”.
Il III secolo d.C. segnò un momento critico per tutto l’Impero romano: invasioni, usurpazioni, crisi economiche e un continuo consumo di energie. Diocleziano e Costantino, nel secolo successivo, tentarono di ricompattare un sistema politico ormai fragile, introducendo riforme amministrative, fiscali, militari e religiose che cambiarono per sempre la natura dello Stato romano. Costantino, probabilmente senza saperlo, pose le basi per ciò che oggi chiamiamo civiltà bizantina.
La scelta del Bosforo come sede di una nuova capitale rispose a logiche militari e geopolitiche più che simboliche. Bisanzio offriva una protezione naturale formidabile: correnti violente da mare, possibilità di fortificare con facilità il fronte terrestre, controllo dei passaggi tra Mar Nero e Mediterraneo. Inoltre, guardava verso le aree più dinamiche dell’Impero: l’Anatolia, le metropoli di Antiochia e Alessandria, le terre in cui si concentravano popolazione, ricchezza e fervore religioso. L’unico legame ancora saldo con l’Occidente era la tradizione politica; Costantino fu il primo ad allontanarsene definitivamente.
Il celebre rito di fondazione, tramandato da Filostorgio, suggerisce un intreccio tra gesto politico e immaginario sacro. Costantino tracciò il pomerium con una lancia, camminando senza fermarsi mentre i senatori lo osservavano stupiti. Quando gli fu chiesto “fino a dove?”, rispose che avrebbe proseguito finché “colui che lo precedeva” non si fosse fermato. L’idea che fosse guidato da una presenza sovrannaturale — forse un angelo — esprimeva la convinzione che la nuova città non sarebbe stata soltanto un progetto umano.
Dalla ricostruzione severiana alla fondazione del 330, Costantino trasformò Bisanzio in una metropoli. Fece giungere uomini e famiglie dalle province più ricche, garantì risorse, grano, incentivi economici e costruì edifici che ricalcavano la dignità di Roma. Il Milion, il punto zero delle distanze; la Mese, la grande via colonnata che attraversava la città da est a ovest; l’ippodromo, teatro della vita politica e popolare; e i vari fori che punteggiavano il percorso urbano, primo fra tutti quello che portava il suo nome.
La nuova capitale non era soltanto un centro politico, ma un luogo costruito per incarnare memoria, legittimità e continuità. La chiesa dei Santi Apostoli — voluta da Costantino come futuro mausoleo imperiale — rappresentava visivamente questa ambizione. Era una struttura imponente, in posizione elevata, destinata ad accogliere reliquie e sovrani, e a mostrare la centralità crescente del cristianesimo nell’orizzonte del potere.
Attorno alla chiesa si trovavano terme, luoghi di ristoro per pellegrini e ambienti destinati alla corte. L’intero complesso urbano, dal palazzo imperiale al Senato, dalle strutture religiose alle vie porticate, formava una città che non imitava Roma: la superava. Non più semplice avamposto sul Bosforo, ma una Roma nuova, protesa verso l’Oriente, verso le rotte commerciali, verso le aree vitali dell’Impero.
Con questa trasformazione nacque l’Impero romano d’Oriente. Non fu un atto improvviso, né una decisione già pienamente consapevole. Fu il frutto di un’evoluzione lunga, di un insieme di necessità militari, politiche, economiche e religiose che convergevano in un unico punto geografico: quella lingua di terra tra Europa e Asia, che il popolo bizantino avrebbe chiamato per oltre un millennio “la Città”.
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Fonti
Sozomeno, Constantine Founds Constantinople, 324 CE (in inglese)