I medici bizantini riconoscevano la patologia dell’antrace cutaneo come una malattia a sé stante. Questo termine venne trovato nei lavori del “Corpus Ippocraticus”(1) , e la malattia era così chiamata per la rassomiglianza delle lesioni cutanee al carbone, come asserì Galeno (2) nel suo “De Methodo medendi” ( “antrace” significa carbone in Greco).

Oribasio ( quarto secolo d.C.), uno tra i più eminenti medici bizantini, scrive, basandosi sulle opinioni di Galeno, che la malattia dell’antrace si presenta sotto forma di escara, ma inizia come pustola che si infiamma e si ulcera e, in certi casi, provoca febbre alta, con una serio pericolo di morte. In alcuni casi non compare una pustola, ma solo prurito; in altri casi compaiono più pustole piccole, simili a chicchi di miglio, che si accumulano infiammandosi nella medesima maniera descritta precedentemente, e lasciano un’ulcera escarotica nera o grigiastra, mentre nell’area vicina si osserva infiammazione, con bruciore e colore simile a pece (3).

L’eziologia di questa malattia è la predominanza di bile nera (come nei casi di cancro), secondo la concezione degli antichi medici greci e bizantini (4).

Il trattamento, secondo Oribasio (4), include intensi salassi fino agli svenimenti del paziente, profonde incisioni cutanee nella zona della lesione e dovizia di farmaci, principalmente di origine vegetale, applicati localmente.

Paolo di Egina  (settimo secolo d.C.) aggiunge (5) che l’antrace è frequentemente epidemico. Secondo la sua opinione, le lesioni cutanee nella malattia somigliano alle ustioni da cauterizzazioni e spesso diventano purulente. Nella terapia segue i consigli di Oribasio, aggiungendo medicamenti locali contenenti metalli, come arsenico e litargirio.

Leone (6), filosofo e medico (nono secolo), archiatra dell’imperatore Teofilo, nella sua opera “Conspectus Medicinae”, e Michele Psello (undicesimo secolo), storico, filosofo e medico (7) accentuano la presenza di un’escara nella malattia dell’antrace.

Le forme cutanee di antrace costituiscono il 95% dei casi mondiali (il rimanente 5% è costituito da forme gastrointestinali e polmonari). E’ raro in Europa e negli Usa, ma rimane ancora un serio problema in molti paesi dell’Africa e dell’Asia. La malattia è causata dal Bacillus anthracis, un organismo identificato due secoli or sono (1861) da Davaine, che lo riconobbe come causa (1864) e mostrò anche che l’infezione si trasmetteva dall’animale all’uomo. Più tardi (1881), Pasteur produsse un vaccino contro la malattia degli animali (8). L’antrace è primitivamente un’infezione degli animali erbivori, risultante dall’ingestione di spore che sopravvivono per più di vent’anni nel pascolo asciutto, come dimostrato da Koch (8-10). In Europa, in passato, la malattia era endemica tra le persone che entravano in contatto con animali infetti o i loro prodotti (veterinari, conciatori, allevatori, pastori e macellai). Questo circolo diretto di infezione è il più comune, sebbene in rare occasioni sia trasmessa passivamente da insetti o da uomo a uomo (9,10). La prima manifestazione di antrace cutaneo è una pustola infiammatoria maligna, comunemente sulla cute esposta, di solito singola ma occasionalmente multipla. In diversi giorni la lesione diventa una papula, e subito dopo una bolla. Quest’ultima si rompe spontaneamente e forma una crosta emorragica: un’escara marrone, circondata da piccole vescicole e pustole situate in una zona di edema ed eritema; si osserva un’area rossa, calda, gonfia e indurita (Fig.1a e 1b). Nei casi gravi, possono comparire sintomi costituzionali 3 o 4 giorni dopo l’eruzione della pustola (malessere, febbre alta, prostrazione, delirio, collasso). Il tasso di mortalità delle forme non trattate raggiunge il 20% (9,10).

Nella diagnosi differenziale, il carbonchio da stafilococco è la patologia più frequentemente confusa. In questa malattia compare una lesione cutanea simile all’antrace con febbre, ma in questo caso predomina il rammollimento. D’altra parte la lesione dell’antrace caratteristicamente non è né molle né dolorosa, fattori di importanza diagnostica.  Il lavoro del malato è una dato coadiuvante per la diagnosi differenziale (8-10).

Dal confronto delle caratteristiche cliniche di antrace cutaneo con la relativa conoscenza dei medici bizantini si può dedurre che conoscessero il quadro clinico ad un grado soddisfacente; comunque si deve chiarire che la possibilità di confondere la malattia con altre patologie cutanee era considerevole in un’epoca in cui non esistevano test di laboratorio per confermarle (8-10).

Due Imperatori di Bisanzio, secondo molti storici e cronachisti, morirono di antrace cutaneo.

  Costantino V, il Copronimo o Caballino (741-775)

Costantino V  fu un grande comandante che compì eroiche imprese e conseguì brillanti vittorie contro Arabi e Bulgari, che lo resero un idolo per i suoi soldati. Il ricordo dei suoi successi militari per secoli rimase vivo. Quando Bisanzio fu duramente travagliata nel nono secolo, gli abitanti  disperati si radunarono sulla tomba di Costantino V e supplicarono l’Imperatore morto di tornare e salvarli. Ma mentre Costantino celebrava le sue vittorie a Oriente, il controllo Bizantino in Italia veniva meno. La caduta di Ravenna (751) nelle mani dei Longobardi pose fine alla dominazione bizantina in Italia Settentrionale e Centrale, e il Papa Stefano II abbandonò l’Imperatore Bizantino e strinse alleanza con il re Franco Pipino. Dopo di ciò, la spaccatura tra Bisanzio e il Papato fu profonda.

La controversia iconoclasta raggiunse il suo zenit durante il regno di Costantino. L’Imperatore stesso non solo svolse un ruolo importante nell’attività letteraria della sua epoca, componendo circa 13 trattati teologici contro l’iconodulismo , ma dimostrò di essere un feroce iconoclasta, e fu famoso per la brutalità con cui perseguitò e torturò i suoi avversari religiosi (11). Rifiutò le icone sacre e le reliquie, e proibì il culto dei Santi e della Madonna. Queste erano innovazioni radicali per uno stato con una popolazione profondamente religiosa e, secondo l’Ostrogorsky (11), “se l’opera di Costantino V non fosse collassata alla sua morte, la vita religiosa di Bisanzio  avrebbe potuto essere sottoposta ad una completa trasformazione”.

Il cronachista Teofane  (nono secolo) scrive (12) che Costantino, durante la sua campagna contro i Bulgari (Agosto 775), contrasse una severa forma di antrace alle cosce dovuto alla punizione divina. La malattia provocò temperatura elevata a livelli mai visti dal suo medico, cosicché, morendo, disse che “mentre continuava a vivere si era arreso ad un fuoco inestinguibile”. A causa della gravità della malattia fu costretto ad abbandonare la campagna ed a ritornare portato in lettiga sulle spalle della proprio seguito, ovviamente per via della sua prostrazione ed impossibilità di camminare. Molti cronachisti riportano la stessa narrazione, tra cui Leone Grammatico (13) (decimo secolo), la cronaca attribuita a Teodosio Meliteno (14) (decimo secolo), Giorgio Cedreno (15) (undicesimo secolo), Giovanni Zonara (16) (undicesimo secolo), e Michele Glica (17) (dodicesimo secolo). Lo storico Michele Psello (18) attribuisce la morte dell’Imperatore semplicemente a febbre alta; comunque la maggior parte degli storici Bizantini imputano la morte di Costantino V direttamente al morbo dell’antrace che provocò la febbre così elevata.

Leone IV il Cazaro (775-780)

Il successivo Imperatore di Bisanzio, Leone IV , figlio di Costantino V e di una principessa Cazara, ugualmente morì, secondo la maggior parte dei cronachisti Bizantini, di antrace. Leone era per natura un uomo dal temperamento moderato, e durante il suo regno la politica antimonastica di suo padre venne abbandonata. Nondimeno, seguì la tradizionale politica iconoclasta, anche se con meno intensità rispetto al genitore, a causa dell’influenza della sua energica moglie, l’Imperatrice Irene (in seguito canonizzata dalla Chiesa Ortodossa), “che giunse dall’iconodula città di Atene ed era devota alla venerazione delle icone” (11).

La prematura scomparsa di Leone ebbe importanti conseguenze, in quanto provocò l’ascesa al trono del figlio minorenne, Costantino VI. L’Imperatrice Irene assunse la reggenza in nome del figlio, e ciò causò una brusca trasformazione nella vita politica ed ecclesiastica di Bisanzio. Ella garantì la restaurazione delle icone e consacrò Tarasio, fino ad allora suo segretario, Patriarca. Parallelamente iniziò una nuova politica estera, con un ravvicinamento al Papa ed all’Occidente. Di conseguenza, Carlo Magno (802), incoraggiato dal Papa, inviò un ambasciatore a Bisanzio con una richiesta di matrimonio nel tentativo di riunire nuovamente Oriente ed Occidente. L’Imperatrice, che nel frattempo aveva accecato ed esiliato dal trono il suo stesso figlio Costantino VI (780-797), parve sul punto di accettare l’offerta, ma una rivolta l’esiliò prima che potesse dare una risposta ufficiale (11).

Teofane (12) narra che l’Imperatore Leone morì perchè responsabile del sacrilegio di aver indossato sul suo capo il diadema della Basilica ornato con pietre preziose, che amava smodatamente ( aveva una “mania per tali pietre preziose”). L’ “antrace” si manifestò alla testa e soffrì di febbre alta che provocò la sua morte. Lo stesso resoconto è seguito da Leone Grammatico (13), dalle Cronache attribuite a Teodosio Meliteno (14), Giorgio Cedreno (15) e Michele Glica (17). Il cronachista Giovanni Zonara (16) e lo storico Michele Psello (18) scrivono che Leone morì perchè indossò il diadema che l’Imperatore Maurizio aveva dedicato alla Basilica ed immediatamente seguì febbre elevata.

Infine Costantino VII Porfirogenito (913-959), asserisce (19) che, dopo che egli indossò il diadema senza il permesso del Patriarca, l’Imperatore manifestò un “antrace dolente alla fronte”, e morì poco dopo, in condizioni spaventose, e, per questo motivo, da allora gli imperatori di Bisanzio iniziarono ad indossare la corona ed a prestare giuramento in presenza del Patriarca in un’incoronazione ufficiale.

Valutazione delle informazioni storiche e conclusioni mediche

Un gran numero di storici Bizantini attribuisce la morte dei due Imperatori al morbo dell’antrace. La malattia era potenzialmente diagnosticabile dai medici Bizantini dell’epoca, i quali riconoscevano il quadro tipico della forma cutanea. Gli storici narrano (9,10) della comparsa di una forma di antrace cutaneo sulle cosce di Costantino V e sul capo di Leone ( l’ultima localizzazione è più frequente); comunque, essi non descrivono il quadro clinico delle lesioni cutanee in maggior dettaglio. Ognuno di loro, tuttavia, evidenzia che la morte dei due Imperatori era accompagnata da febbre alta. La malattia provocava un marcato indebolimento, responsabile della difficoltà a camminare nel caso di Costantino V, e verosimilmente tossiemia e prostrazione, che potrebbero essere stati seguiti da delirio, collasso e morte (9). Tutti gli storici accentuano la natura acuta e maligna della malattia, accompagnata da febbre molto elevata, scrivendo caratteristicamente che gli Imperatori “morirono bruciando” e la attribuiscono al loro atteggiamento anti-cristiano. L’ultima accusa è dovuta al fanatismo religioso ed alle feroci dispute che contraddistinsero questa epoca (20). E’ alla luce di tale clima che le informazioni di Costantino VII Porfirogenito, che descrive la malattia come dolorosa, devono essere considerate. Dato che la malattia è solitamente caratterizzata da un carbonchio indolore rapidamente necrotizzante, lo storico probabilmente aveva in mente i dolori psichici della febbre alta dell’Imperatore iconoclasta.

Inoltre la maggioranza degli autori Bizantini afferma che la morte dei due Imperatori fu causata dall’antrace, riscontro che sembra ragionevole data l’era pre-antibiotica (9,10). La malattia di Costantino V iniziò in Agosto (forse a fine mese) secondo Teofane (12), il quale sostiene che l’Imperatore morì dopo aver raggiunto il Castello di Stroggylo il 14 Settembre 775. Leone verosimilmente soffrì di questo morbo per un breve periodo e morì l’8 Settembre 780 (21). Va anche puntualizzato come gli storici diffamino i due Imperatori nella peggior maniera possibile. Teofane (12)  caratterizza Costantino V come disgustoso, sanguinario, bestia feroce, stregone, uno spregiatore di Cristo privo di rispetto per il Divino. Glica (17) sostiene, oltre a queste accuse, che durante il battesimo, l’Imperatore lordò il fonte battesimale e, per questa ragione, venne chiamato “Copronimo” o “Caballino” (in Greco “copros” e “caballina” sono le feci). Psello (18) lo considera un rappresentante dell’anticristo e lo accusa di essere un mago e di aver compiuto dissezioni per l’epatoscopia. Tutto ciò sembra un’esagerazione dovuta al clima del periodo. Il temibile morbo dell’antrace, che i cronachisti videro come una punizione divina dei due Imperatori, deve pertanto essere valutato con riserva. Un’altra ragione per avere dubbi è che i medici dell’epoca non erano in grado di diagnosticare la malattia con completa accuratezza; potrebbero averlo confuso con patologie che rassomigliano da vicino all’antrace, come il carbonchio da stafilococco o altre infezioni stafilococciche, o altre malattie febbrili con manifestazioni cutanee, in un’epoca in cui non c’erano test sierologici (8-10). Infine la curiosa coincidenza dello stesso quadro clinico riferito a due membri della stessa famiglia potrebbe oggigiorno destare il sospetto di una malattia cutanea ereditaria. Nonostante il fatto che la malattia è ritenuta “professionale” per quanti siano a contatto con gli animali (8-10), non può essere completamente esclusa nel caso dei due Imperatori, perché entrambi militarono nella cavalleria (Costantino difatti contrasse il morbo durante una campagna). Un’accurata diagnosi ex post facto basata solo sui resoconti è sempre difficile. La possibilità di errore dei medici dell’Imperatori deve essere aggiunta alle riserve storiche sulla malattia sopra riportate.

Conclusioni

Gli Imperatori Bizantini Costantino V e Leone IV morirono di una malattia febbrile acuta con manifestazioni cutanee. La maggior parte degli storici Bizantini attribuisce questo quadro clinico all’antrace cutaneo. Dato che i medici dell’epoca avevano familiarità con tale patologia, si pensa che la loro diagnosi sia esatta; in ogni caso non possiamo accettare la sua precisione senza riserve per ragioni sia mediche che storiche.

( Articolo di J. Lascaratos, dall’International Journal of Dermatology 1997,36, 712-716 )

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