I cavalli di San Marco

La splendida quadriga che ora adorna la facciata della chiesa di San Marco è probabilmente l’opera che, oltre a possedere qualità sublimi dal punto di vista artistico, ha la più grande valenza in campo simbolico.

cavalli

Fig. 1. Arthur William Heintzelman (American, 1891-1965) Cavalli di San Marco, Venezia Drypoint and etching, 1930. Editino, 65.

L’origine dei cavalli è stata per secoli fonte di dibattiti continui in cui molti studiosi hanno azzardato delle datazioni che sono fra loro estremamente distanti: addirittura otto secoli di differenza: tra il IV secolo avanti Cristo, quindi di fattura greca, e il IV dopo Cristo, in tal caso di fattura romana. Alla fine, nel secolo scorso, mettendo insieme ricerche, studi, restauri ed esplorando ogni aspetto possibile che possa aggiungere qualcosa in più alla soluzione del problema si è arrivati alla conclusione, seppur in forma critica, che la quadriga è un’opera del tardo periodo romano o quanto meno fra il II e il III secolo dopo Cristo[1].

Tutte le antiche fonti bizantine sono però concordi sulla presenza dei cavalli a Costantinopoli e, precisamente, nell’ippodromo. Fra queste è estremamente interessante una citazione di Niceta Coniate il quale nella sua Historia si sofferma proprio sulla quadriga posta sopra la torre dei carceres che sono i locali, posti ai lati della porta monumentale d’ingresso dell’ippodromo, destinati alla sosta dei carri in attesa del segnale di partenza nelle gare. Lo storico bizantino riferisce un episodio relativo ai festeggiamenti tributati dall’imperatore Manuele I Comneno in onore del sultano di Iconio Clyzasthlanes in visita nella capitale bizantina nel 1158. Nell’ambito degli intrattenimenti riferisce di un Arabo, abile giocoliere, che si offre di dare spettacolo imitando Icaro. Costui sale sul punto più alto dell’ippodromo, che è la torre posta sopra i carceres, e di lì si getta nel vuoto muovendo freneticamente le braccia e facendo vela con la veste ma, purtroppo per lui, si sfracella al suolo tra le risate del sultano e del popolaccio. Ecco la descrizione particolareggiata della cima della torre: “[…] sono ben fissati quattro cavalli di bronzo (o di rame?), spalmati d’oro, con i colli un po’ incurvati, che si guardano l’un l’altro nel muso e si mostrano sbuffanti nella corsa verso la meta […]”[2].

Si tratta di una asserzione estremamente interessante per due motivi. Il primo è la sicura attendibilità dello storico che fa chiaramente intendere che le osservazioni sulla quadriga siano da riferire non ai tempi del Comneno ma alla sua esperienza diretta, ne è quindi testimone oculare. Il secondo perché la Historia di Niceta Coniate finisce con il 1205 e non parla mai della distruzione o del trafugamento di quest’opera d’arte, il ché fa presumere che nel 1205 fosse ancora al suo posto. Appare infatti molto improbabile che lo storico bizantino, così preciso nel denunciare le distruzioni dei crociati elencando le meraviglie di Costantinopoli distrutte, abbia potuto dimenticarsi di quello che è forse il monumento più importante. Questo ci porta a collocare la partenza della quadriga dopo il 1205. Inoltre, dalle osservazioni sia del Coniate che degli altri testimoni oculari si deduce che fin dall’VIII-IX secolo, presumibile età del primo testimone (anonimo), i cavalli erano già senza cocchio e bardature.

ippodromo

 Fig. 2. Ricostruzione prospettica dell’ippodromo di Costantinopoli nel 1204.

(Vittorio Galliazzo, I Cavalli di San Marco, op. cit. pagg. 68-69)

Fra le tante splendide statue di Costantinopoli vi è però un preciso motivo se il vecchio doge Enrico Dandolo ha avuto un particolare interesse per i quattro cavalli, è anzi presumibile che questo interesse fosse maturato da molti anni, da quando cioè era stato ambasciatore nella capitale bizantina. E’ altrettanto presumibile che, al momento della spartizione del bottino, le statue equestri siano stati valutate per il loro peso di metallo senza particolari attenzioni per il loro pregio artistico e soprattutto per il loro valore simbolico.

La quadriga dominava l’ippodromo che non era solo sede dei giochi circensi o delle cerimonie ufficiali ma anche il vero cuore civile e politico della città e dell’impero. Accanto vi è, intimamente collegato, il palazzo imperiale e vicino sorge la grande cattedrale di Santa Sofia; in pratica, dal punto di vista architettonico-urbanistico, il potere politico, esecutivo e religioso, trovano qui un’espressione unitaria. In questo contesto simbolico, i quattro cavalli sulla torre dell’ippodromo in posizione centrale e visibili da tutti, assumono l’evidente significato di cavalli del sole-imperatore, per questo dorati, e quindi immagine del potere imperiale che tutto unifica e controlla.

Al vecchio doge Dandolo non sfugge il valore emblematico dei Cavalli dell’Ippodromo e, conscio della nuova dimensione di potenza coloniale lagunare se ne appropria per farne una “bandiera “di Venezia.

Comunque se appare indubbio che il trasferimento della quadriga sia stato progettato per tempo dal doge, rimane incerto l’esatto periodo in cui ciò avviene. Appare molto improbabile che l’invio sia stato organizzato nel 1204-1205 per vari motivi tra cui quello più convincente è che, in quel periodo, tutte le forze di terra e di mare erano molto occupate a difendere i possessi conquistati e di sicuro non si poteva pensare di distogliere nemmeno una galea per trasportare i cavalli a Venezia.

Tutto fa pensare che il trasferimento sia avvenuto nella primavera del 1206 e probabilmente in maniera separata. Ecco la descrizione fatta dallo storico Andrea Morosini, nel 1627, quindi oltre quattro secoli dopo, del trasporto di uno dei cavalli: ”De’ quattro cavalli uno fu condotto sopra la galea di Domenico Morosini, sopracomito, e si dice che essendogli rotto un piede di dietro, questo fosse al sopracomito concesso, che per memoria lo conservò, e fu posto sopra ad un piedestallo nella contrada di Sant’Agostino, alla casa di Alessandro Contarini figliuolo di Carlo, il quale avendo dato per moglie una sua figliuola unica a Marco Tiepolo che abitava nella contrada di Santi Apostoli, et avendo fabbricata la casa lo fece levar dal primo luogo e riporre in un angolo della medesima in sito cospicuo”[3].

I cavalli sono stati posti, forse non subito, sulla facciata della Basilica di San Marco, in posizione elevata e dominante la piazza; sembra ripetersi il modello costantinopolitano con l’intima unione Palazzo ducale- Chiesa di San Marco- Piazza San Marco. Il simbolismo appare ancora più evidente quando il doge presenzia a “giuochi” che avvengono sulla piazza; dall’alto della facciata-loggia della Basilica, sotto gli splendidi cavalli; sembra ripetersi il cerimoniale che cominciando da Roma nel rapporto Palatino – Circo Massimo e proseguito a Costantinopoli in quello palazzo imperiale – ippodromo, trova collocazione nella nuova città imperiale: Venezia.

autore: GIANCARLO MOLANI

 

[1]    VITTORIO GALLIAZZO, I Cavalli di San Marco, Edizioni Canova, Treviso, 1981, pag, 48.

[2]    GALLIAZZO, op. cit. pagg. 72-73.

[3]    ANDREA MORESINI, L’imprese et espeditioni di Terra Santa, et l’acquisto fatto dell’Imperio di Costantinopoli dalla Serenissima repubblica di Venetia, appressoAntonio Pinelli, Venezia, 1627.

 

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Di Nicola

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