LA DIFESA DELLA FIGURA DELL’IMPERATORE NELLA LETTERA DEL PATRIARCA ANTONIO AL GRANDUCA BASILIO I DIMITREVIC

 Gli ultimi anni del Trecento rappresentarono per l’Impero romano d’Oriente il culmine del periodo più nero della sua lunga storia.

Nel corso del XIV secolo, infatti, i Romani avevano dovuto affrontare il collasso del proprio Stato. Le estenuanti lotte dinastiche, la mancanza di coesione sociale acutizzata dalle spinte centrifughe di una nobiltà fortemente feudalizzata che aveva, lungo tutto un processo secolare, fagocitato la piccola proprietà terriera, lo strapotere mercantile e monopolista di Venezia e Genova sulle rotte che dal Mar Egeo risalivano gli stretti verso il Mar Nero che avevano fatto crollare la capacità tributaria (gli stessi gioielli della corona imperiale erano stati dati in pegno alla Serenissima in cambio di finanziamenti e aiuti) ne avevano minato ogni vitalità interna mentre, dopo le prime erosioni territoriali operate dai Serbi, i Bulgari, i signorotti franchi e le stesse Repubbliche marinare, la Mezzaluna ottomana aveva sottomesso ogni territorio in Anatolia e nei Balcani, con le uniche eccezioni della Morea e della stessa Costantinopoli, sottoposta a blocco da parte del sultano Bayazid.

Il prestigio e l’autorità politica del Basileus ton Romaion, di quell’Imperatore dei Romani che, come suggeriva l’emblema dell’aquila bicipite, una volta reggeva i destini dell’Occidente e dell’Oriente e che ora era vassallo e tributario del Turco barbaro e infedele, si erano ridotti drasticamente sia agli occhi delle corti europee sia nei confronti di quei sovrani ortodossi che per dogma dovevano mostrare obbedienza e rispetto.

Un forte senso di malumore e insofferenza lo espresse il granduca di Vladimir e principe di Mosca Basilio I, figlio del condottiero Demetrio Donskoj che per primo era riuscito a sconfiggere in battaglia i Tatari, il quale decise di proibire di menzionare il nome del Basileus nelle chiese russe: “Abbiamo una Chiesa, ma non un imperatore”.

Toccò allora proprio alla Chiesa Ortodossa e al suo prestigio, che non era stato intaccato dal crollo del potere imperiale, intervenire e difendere l’autorità e la supremazia della figura dell’Imperatore. Le parti si erano invertite, non era lo Stato a difendere la Chiesa ma la Chiesa a sostenere lo Stato.

Il Patriarca di Costantinopoli Antonio scrisse quindi, dalla capitale assediata, una lettera rivolta a Basilio I in cui ribadiva ed esponeva con forza la dottrina dell’unico imperatore ecumenico, come unica era l’ecumene cristiana:

“Non è affatto una buona cosa, figlio mio, quel che tu dici: “Abbiamo una Chiesa, ma non abbiamo un imperatore”. E’ assolutamente impossibile per i cristiani avere una Chiesa e non avere un imperatore. Giacché Impero e Chiesa costituiscono un tutto unico ed è impossibile separarli (…) Ascolta il principe degli apostoli Pietro, che dice nella prima epistola: “Temete Dio, onorate l’imperatore”. Egli non disse “gli imperatori”, perché nessuno pensi ai cosiddetti imperatori dei singoli popoli, ma disse “l’imperatore”, per indicare che nel mondo esiste un solo imperatore (…) Se però anche alcuni altri cristiani si sono appropriati del nome di imperatore, questo è accaduto contro natura e legge, attraverso la tirannia e la violenza. Quali padri, quali concili, quali leggi canoniche parlano di questi imperatori? Sempre e dappertutto invece essi parlano dell’unico imperatore naturale, le cui leggi, ordinanze e decreti hanno forza di legge in tutto il mondo; ed è solo questo imperatore e nessun altro che i cristiani sempre menzionano. E se ora, per decreto divino, i pagani hanno accerchiato il regno dell’imperatore, egli riceve ancora oggi dalla Chiesa la stessa consacrazione, gli stessi onori e le stesse preghiere, e viene unto con lo stesso olio sacro, e consacrato imperatore e autocrate dei Romani, cioè di tutti i cristiani.”

autore: JACOPO ROSSI

FONTE:

Georg Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, 1968, Einaudi

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Di Nicola

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