Considerazioni sull’esito della IV crociata

Nel seguire le vicende della quarta crociata ci si è avvale soprattutto della testimonianza di Goffredo di Villehardouin, senza dubbio estremamente preziosa per il ruolo importante che questo cavaliere ha sempre avuto nella gestione stessa dell’impresa, con la conseguente attendibilità dei fatti narrati. Manca però una sua presa di coscienza, una sua analisi che possa illuminare gli storici moderni sui motivi che hanno portato alla conquista della capitale bizantina e non a quella del Santo Sepolcro. Non emerge un approfondimento di questo tipo nemmeno dalla testimonianza di Roberto di Clari che si limita a riportare i fatti così come li vede, forse con una certa ingenuità. Più critico è invece il contributo di Niceta Coniate, uomo di grande cultura e statista della corte bizantina, il quale sembra avere le idee molto chiare sulla responsabilità principale che addebita ai Veneziani e soprattutto al doge Enrico Dandolo, ma non è a conoscenza diretta del modo in cui la crociata è stata progettata, né delle prime fasi dell’impresa. Anche l’abbondante produzione di lettere e documenti di papa Innocenzo III, al quale spetta l’idea stessa della crociata, non consente di determinare se la presa di Costantinopoli sia stata frutto di un piano elaborato fin dall’inizio. Dalla sua intensa proliferazione documentale si evince infatti una forte volontà di mantenere sotto controllo la Guerra Santa che ha messo in moto, ma anche una evidente scarsa informazione sulle decisioni prese dai suoi condottieri, e una certa frequenza di strani e sospetti errori di tempo o di indirizzo nelle lettere loro inviate[1]. Sicuramente mancano testimonianze dirette contemporanee in campo veneziano. Il cronista lagunare più vicino all’avvenimento è Martin da Canal, che scrive intorno al 1275, ma la sua versione è sfacciatamente di parte e quindi non del tutto utile, come del resto quella dei successivi cronisti che a lui si ispirano.

In base alle fonti, quindi, a parte quella relativa a Niceta Coniate, si direbbe che la presa di Costantinopoli sia stata il risultato di una “concatenazione di circostanze, di una serie di sventure e di errori umani, la cui conclusione predestinata né il papa né alcuna altra potenza poteva impedire”[2].

Se non si può stabilire con certezza una responsabilità più o meno significativa nell’ambito degli attori della IV crociata si può però analizzare a chi questa impresa sia giovata maggiormente e per chi invece sia stata inutile.

Nell’ampio quadro della storia mondiale, le conseguenze per l’Europa sono state piuttosto disastrose sia da un punto di vista etico e morale, che da un punto di vista politico.

La questione morale induce a pensare che “raramente sia stato commesso un delitto contro l’umanità come quello generato con la IV crociata”[3]. Non si tratta infatti solo della distruzione e dispersione di una quantità incredibile di tesori del passato raccolti e amorevolmente conservati in mille anni di storia, ma anche del colpo mortale inferto a una civiltà cristiana ancora grande, che da allora non sarà più la stessa.

Vi è poi la questione politica. Sicuramente la causa cristiana in Terrasanta subisce un duro colpo. Dopo la presa di Costantinopoli, il re di Gerusalemme Amalrico II non si aspetta più alcun aiuto effettivo dall’Occidente: sembra essere facile la sua previsione che “nessun cavaliere occidentale si sarebbe ormai disturbato a venire di sua spontanea volontà in Palestina. La crociata aveva trovato altrove un più ricco territorio di caccia”[4]. Molti degli avventurosi nobiluomini occidentali infatti trovano assai più comodo e meno rischioso cercare un feudo o un’ereditiera in Grecia piuttosto che nel lontano regno di Gerusalemme. Al re non rimane altra soluzione che chiedere al suo avversario, il musulmano Al Adil, di stipulare un accordo di pace. Nel settembre del 1204 si conclude un trattato della durata di sei anni che tutto sommato si rivela abbastanza soddisfacente per lui. Al Adil infatti è consapevole dei vantaggi che il suo impero avrebbe avuto se si fosse ripristinato un commercio regolare con la costa siriana e concede, tra l’altro, di semplificare la procedura per i pellegrini che vogliano andare a Gerusalemme e a Nazaret[5], ma di riconquista del Santo Sepolcro non se ne parla più.

Dal punto di vista politico, inoltre, vi è un altro aspetto fortemente negativo. L’Impero bizantino è sempre stato un forte baluardo per gli europei contro le popolazioni dell’est e contro i musulmani: averlo indebolito sarà questione foriera di molti guai in futuro.

L’impero Latino dimostra la sua effimera consistenza fin da subito. L’Europa occidentale è lontana e non sembra prendersi carico più di tanto della sua sopravvivenza. Se non fosse stato per il convinto ed essenziale sostegno di Venezia sarebbe probabilmente finito anche prima, accorciando così la sua pur breve vita. Passati i primi due anni di caos dopo la perdita di Costantinopoli, il mondo greco indipendente, si è riorganizzato in tre Stati retti da discendenti di imperatori deposti. Alessio e Davide Comneno, nipoti dell’imperatore Andronico si sono impossessati di Trebisonda con vasti territori lungo le coste dell’Asia Minore sul Mar Nero. Dopo la morte di Davide, Alessio prende il titolo di imperatore e fonda una dinastia che durerà oltre due secoli e mezzo[6]. A occidente un bastardo degli Angelo si autonomina despota dell’Epiro e fonda una dinastia destinata poi ad annientare il regno di Tessalonica dei Monferrato[7]. Infine vi è il più importante dei tre Stati, quello cioè fondato a Nicea dalla figlia di Alessio III, Anna, e da suo marito Teodoro Lascaris[8]. E’ in questa città dell’Asia Minore che si sono rifugiati i cittadini fuggitivi di Costantinopoli ed è qui che trova continuità il vecchio Impero bizantino.

Il patriarca di Costantinopoli, Giovanni Kamateros, all’arrivo dei crociati non è che abbia fatto una gran figura. Egli infatti scappa dalla capitale bizantina preferendo la relativa sicurezza della città tracia di Didimotichon e rifiuta l’invito a recarsi a Nicea dove la resistenza ai latini è più forte[9]. Quando muore, nel 1206, nel popolo e nel clero di Costantinopoli vi è una certa speranza che papa Innocenzo III possa approvare l’elezione di un nuovo patriarca ortodosso. La loro aspettativa deriva da quello che era successo in precedenza negli Stati Crociati dove le sedi patriarcali di Antiochia e Gerusalemme erano stati divise tra ortodossi e latini. Ma questa iniziativa sembra essere stata bloccata dalle autorità latine di Costantinopoli.

Il clero ortodosso della capitale bizantina guarda perciò verso Teodoro Lascaris a Nicea che dà il suo personale appoggio all’elezione del nuovo patriarca ortodosso di Costantinopoli, MicheleIV Autoreianos, avvenuta il 20 marzo 1208.[10].

Il primo atto ufficiale del nuovo patriarca è l’incoronazione solenne di Teodoro Lascaris a Imperatore che viene a porsi come diretto successore dei precedenti imperatori bizantini di Costantinopoli.

Teodoro Lascaris e i suoi discendenti di Nicea si sono dimostrati abili nel costruire un nuovo tipo di amministrazione centrale, una sorta di governo meno assolutista e più “familiare” esercitando il potere assieme ai componenti dell’aristocrazia ai quali garantiscono le proprie terre e possedimenti. Anche dal punto di vista militare si dimostrano capaci e di successo creando un’organizzazione efficiente con un esercito composto sia da elementi nativi che di truppe mercenarie[11]. Nel giro di una cinquantina d’anni, i loro eredi sarebbero tornati a regnare a Costantinopoli.

Anche per il papa, tutto sommato, non vi sono stati vantaggi. La fine dello scisma e la riunione delle Chiese non sono mai state una vera realtà. La Chiesa greca della Romània latina viene presto sottomessa all’autorità papale ma ben pochi dei suoi abitanti accolgono la nuova religione e la stragrande maggioranza la rifiuta. La strategia papale nei confronti dei fedeli ortodossi consiste in una riorganizzazione già sperimentata nel sud Italia e in Sicilia. Qui si era concesso di mantenere la Chiesa greca dove la maggioranza degli abitanti era di questa etnia ma, a poco a poco, gradualmente questi avrebbero dimenticato i propri vescovi e le proprie istituzioni monastiche a vantaggio di quelle cattoliche. Nell’impero latino invece nonostante i conquistatori confischino larghe porzioni di proprietà terriere ecclesiastiche e nonostante un’ulteriore pressione, dopo gli anni ‘20, dei Francescani e dei Domenicani, la Chiesa greca dimostra sempre una forte vitalità. Questa è dimostrata da una sua continua presenza e attività specialmente nelle aree rurali dove la Chiesa cristiana rimane largamente assente[12].

Non vi è alcun dubbio poi che il trafugamento di un numero enorme di reliquie, le spoliazioni degli edifici ecclesiastici e, in generale, la crudeltà dei crociati sarebbe stato un ricordo indelebile che avrebbe scavato un solco ancora più profondo rendendo la divisione ulteriormente completa e definitiva.

 

Per Venezia la cosa è diversa. Non vi è alcun dubbio che il salto di qualità della città lagunare sia stato estremamente significativo. Si tratta della trasformazione da piccola repubblica di mercanti a impero coloniale.

Nella storia dell’evoluzione dei rapporti con Bisanzio, alla iniziale dipendenza si è sostituita una collaborazione che ha come base la comunanza di interessi. Lentamente Venezia cresce e la relazione con il secolare alleato comincia a incrinarsi fino a culminare nella grande crisi del 1171. La posizione privilegiata dei Veneziani era diventata insostenibile per il commercio bizantino e i rapporti con l’imperatore Manuele I Comneno si erano fatti sempre più tesi. Il 12 marzo del 1171, in un solo giorno, vengono arrestati tutti i Veneziani residenti nell’Impero e vengono confiscati tutti i loro beni comprese le merci e le navi[13]. Per una decina d’anni le relazioni tra Venezia e Costantinopoli rimangono interrotte, poi vi è un riavvicinamento ma non è più la stessa cosa. A questo punto appare evidente che l’Impero è un ostacolo all’espansione politico-commerciale dei Veneziani. La conquista della capitale bizantina e soprattutto quella di territori essenziali per una capillare presenza dall’Adriatico al mar Nero sono la soluzione del problema.

Fino al 1261, anno della riconquista bizantina, Venezia può vantare una sorta di monopolio commerciale su tutta la zona; successivamente, dopo un ovvio periodo di crisi, la capitale lagunare potrà ancora per lungo tempo godere di quell’insieme di relazioni e di conoscenze che hanno dato l’avvio a nuove rotte e percorsi commerciali frutto dell’impresa crociata.

Se dal punto di vista politico la svolta del 1204 si può definire epocale, non si può dire altrettanto per quanto riguarda il punto di vista culturale. Venezia è imbevuta di cultura bizantina e dopo la presa di Costantinopoli lo è ancora di più. Come si è visto, i Veneziani si sono comportati in maniera diversa dagli altri crociati in occasione del grande saccheggio di Bisanzio. Non si vuol far passare gli uni come agnelli e gli altri come lupi, il fatto rimane di assoluta gravità anche se il diritto di saccheggio era cosa normale nella mentalità medievale. E’ evidente però un atteggiamento diverso, una certa parentela culturale che ha dato ai Veneziani la consapevolezza di assegnare agli oggetti, presi nella loro integrità, un maggior valore di quello ottenuto dalla loro distruzione o fusione.

Venezia si è grandemente arricchita di tesori che saranno parte integrante della sua futura bellezza e magnificenza ma non si tratta di trofei e simboli di vittoria di una civiltà rispetto a un’altra. Venezia si sente parte sostanziale della stessa cultura e intende perpetuarla, anzi se ne sente l’erede naturale divenendo così quella città meravigliosa e assolutamente unica che tutto il mondo ammira.

autore: GIANCARLO MOLANI

 

[1]           NICOL D. M., Venezia e Bisanzio, Rusconi libri S.p.A, Milano 1990, pag. 168.

[2]           NICOL, op. cit. pag. 169.

[3]           RUNCIMAN S. Storia delle crociate, Giulio Einaudi editore s. p. a.,Torino, trad. Aldo e Fernanda Comba, 1966, vol. II. pag. 797.

[4]           RUNCIMAN, op. cit. pag. 775.

[5]           Idem, pag. 773.

[6]           RUNCIMAN, op. cit. pag. 795.

[7]           Ibidem.

[8]           Ibidem.

[9]           MICHAEL ANGOLD, After the fourth crusade. The Greek Rump States and the Recovery of Bysantium, pag. 731-757, in The Cambridge History of the Byzantine empire, 500-1492, edited by JONATHAN SHEPARD, Cambridge University Press, 2008, pag. 734.

[10]          ANGOLD, op. cit. pag. 735.

[11]          ANGELIKI LAIOU, Political–Historical Survey, 1204-1453, pagg. 280-294, in Byzantine Studies, edited by ELISABETH JEFFREYS, JOHN HALDON, ROBIN CORMACK, Oxford University press, 2008, pag. 282.

[12]          DAVID JACOBI, After the fourth crusade: the latin Empire of Constantinople and the frankish State, pag. 759-778, in The Cambridge History of the Byzantine empire, 500-1492, edited by JONATHAN SHEPARD, Cambridge University Press, 2008, pag. 777.

[13]          GEORG OSTROGORSKY, Storia dell’impero bizantino, Giulio Einaudi editore s. p. a. , Torino, 1993, pag.353.

 

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