Giovanni V Paleologo

Il più lungo regno che la storia bizantina ricordi, dopo quello di Basilio II, ma quanta differenza. E quanta tristezza.  La basileia di Giovanni V segnò un punto di svolta nell’Impero e vantò alcuni primati, ma certo nulla di positivo può essere riscontrato in quello che fu il periodo nel quale i Turchi si riversarono in Europa, nel quale venne fondato il beylerbeycik di Rumelia, nel quale gli eredi di Roma e rappresentanti di Cristo in terra dovettero seguire a capo chino i Sultani in guerra, nel quale per la prima volta un successore di Costantino, di Giustiniano, di Basilio II, dovette calpestare il proprio orgoglio, chinare il capo e implorare invano aiuto a potenze estere. Mai l’Impero cadde tanto in basso.

Pur tuttavia non tutte le responsabilità devono necessariamente essere addossate a Giovanni V Paleologo, un uomo giunto troppo giovane al trono, un trono che dovette sudare, per tutta la sua vita, e che cercò comunque, bene o male di difendere in ogni modo. Un uomo vittima di traumi infantili d’ogni tipo, sballottato a destra e manca, e che di tali traumi porterà per sempre le conseguenze. Spesso vittima d’ingenuità, troppo titubante nel prendere decisioni che spesso si rivelavano inadeguate perché troppo ponderate e tormentate, tortuoso, poco realista, l’unico aspetto che può ispirare un minimo di simpatia è la sua fama di inveterato donnaiolo(1), tanto da portar via a suo figlio Manuele, secondo Calcondila, quella avrebbe dovuto diventarne la moglie.
Ciononostante, se Costantinopoli potè sopravvivere è anche merito suo e della sua caparbietà nel non darsi per vinto e, con inguaribile ottimismo, affrontare le difficoltà che a getto continuo il destino inesorabilmente gli riversò contro, fino a portarlo ancor giovane alla tomba.

LOTTE PER LA SUCCESSIONE: IL CANTACUZENO.

Giovanni non aveva neppure nove anni quando restò orfano di padre. Andronico III aveva fatto il possibile per ridare dignità all’Impero ma la sua scomparsa prematura ed improvvisa, il 15 giugno del 1341, lasciò una situazione che definire confusa è eufemismo puro. Colui che era stato l’ombra delbasileus, il megas domestikos Giovanni Cantacuzeno, ritenne che la reggenza gli sarebbe spettata di diritto, ma non la pensavano allo stesso modo la madre del piccolo imperatore, Anna di Savoia, ed il patriarca, Giovanni XIV Caleca, che defenestrarono il reggente approfittando della sua assenza, appoggiati dal Megaduca Alessio Apocauco. Scoppiò una lunga e tormentata guerra civile che dilaniò l’Impero, ne devastò l’unità e l’economia e ne fece l’oggetto delle bramosie delle potenze confinanti. Anna cercò l’alleanza ed il denaro di Venezia, l’appoggio di Stefano Dušan di Serbia e di Ivan Alessandro di Bulgaria, con l’unico risultato di veder sfumare tutte le recenti conquiste di Andronico, perché con l’appogio di Umur di Ajdin e poi di Orkhan il Cantacuzeno trionfò ed il 15 di maggio del 1347 si fece incoronare a Costantinopoli. Secondo gli accordi Giovanni V comunque avrebbe mantenuto intatto il suo ruolo e si sarebbe imparentato all’Imperatore anziano Giovanni VI, sposandone la figlia Elena, e Anna avrebbe mantenuto il suo titolo imperiale risiedendo a Tessalonica, città che anche nella parentesi zelota s’era mantenuta fedele ai Paleologi.
Non fu che una parentesi. Giovanni VI ormai non poteva far nulla per un Impero al collasso economico, alieno a qualsiasi autorità centrale, privo d’un esercito e d’una flotta, devastato da anni di guerre civili e dalla terribile Morte nera, che aveva ucciso qualsiasi speranza di ripresa. Il genero, ormai cresciuto ed insofferente ad una tutela che non accettava, cominciò a dar segni di ribellione e si avvicinò a quella Venezia che già anni prima aveva dato una mano a sua madre, e nel 1352 le promise la cessione dell’importante isolotto di Tenedo in cambio di 20.000 ducati. Giovanni VI subodorò qualcosa e cercò di correre ai ripari, cedendo a Giovanni V l’appannaggio in Tracia del figlio Matteo, ricompensando quest’ultimo però con la ben più importante Adrianopoli. Il risultato fu la guerra aperta tra i due giovani ed il conseguente intervento delle solite ben presenti potenze straniere: Giovanni V ben presto, grazie al denaro veneziano ed all’appoggio di Serbi e Bulgari, entrò in Adrianopoli, ma Giovanni VI con l’appoggio turco lo sloggiò e lo esiliò in quella Tenedo che avrebbe dovuto essere veneziana. Era l’inizio del 1353: il Cantacuzeno proclamò suo figlio coimperatore e dichiarò Giovanni V decaduto, con gran scandalo di molti e, soprattutto, del patriarca Callisto I. La situazione precipitava, e Giovanni V attendeva solo il momento giusto, che giunse grazie all’aiuto genovese. Fu infatti una nave dei genovesi Gattilusio -cui Giovanni promise una sorella, Maria, e soprattutto Lesbo- che nel novembre del 1354 avrebbe portato il giovane a Costantinopoli. Messo alle strette e conscio dell’impossibilità di continuare oltre un conflitto ormai senza senso, Giovanni VI depose la corona il 9 dicembre. Giovanni V era unico autocrate.

LO SFASCIO E GLI APPELLI ALL’OCCIDENTE.

Giovanni regnava su ben poco. L’Egeo era in mano alle repubbliche marinare, Stefano Dušan profittando dei conflitti interni a Bisanzio s’era impadronito della Macedonia, dell’Epiro e della Tessaglia, Manuele, figlio di Giovanni VI, governava autonomamente la Morea, ad onta dei tentativi di scacciarlo, e da quella Gallipoli che ormai, dal marzo del 1354, era in loro possesso definitivo, i Turchi dilagavano in Tracia. Pareva che più nulla potesse salvare Costantinopoli, ed osservatori veneziani prospettarono la possibilità d’occupare la Città, tanto più che essa senz’altro in breve sarebbe caduta preda di qualcuno, e che ilbasileus era un ragazzo inesperto e, si sospettava, manovrato dai Genovesi.
La morte di Stefano Dušan, alla fine del 1355, diede un po’ di respiro all’esausto Impero. Infatti l’impero serbo, essendo l’erede Uroš incapace di reggerlo, si sfasciò in breve tempo, ed anche Giovanni V tentò d’approfittarne. Chi tuttavia più trasse giovamento dal repentino crollo della potenza balcanica che per un momento sembrava potesse essere in grado di raccogliere l’eredità bizantina furono i Turchi, sempre più presenti in Europa, e non solo quelli di Orkhan, ma anche Turchi di Ajdin, Karesi e di altri emirati. Lo stesso basileus si rese conto della gravità del momento e cercò di avvicinarsi ad essi, organizzando il matrimonio tra una sua figlia e Khalil, figlio di Orkhan. Tuttavia il futuro si faceva sempre più nero, e a Giovanni l’unica speranza parve quella dell’appello all’Occidente e alla crociata. Così già nel 1355 scrisse a papa Innocenzo VI chiedendo l’allestimento di 5 galere e l’invio di 1.000 soldati e 500 cavalieri. In cambio proponeva l’unione delle Chiese e l’abiura agli errori dottrinari, offrendo quale garanzia suo figlio Manuele e l’Impero stesso: deposto ogni orgoglio, al colmo dell’umiliazione, l’erede dei Cesari chiese al Pontefice di educare il suo erede e, in caso di mancata osservanza dei patti, promise di deporre la corona ed affidare a Roma la successione e l’Impero stesso.  A tali ingenuità il Papa neppure rispose, e del resto nulla Giovanni avrebbe potuto garantire, di fronte alle nette posizioni della Chiesa ortodossa dell’inflessibile patriarca Callisto.

Eppure la situazione precipitava. Nel 1361 cadde in mani turche Didimotico, l’anno dopo Adrianopoli, ripresa in seguitoe poi definitivamente perduta, e nel 1363 Filippopoli. La stessa Bulgaria convenne che era opportuno avvicinarsi ai Turchi ed attaccò ciò che era rimasto a Bisanzio, rimediando comunque una sconfitta. Si trattava tuttavia di successo di poco conto, di fronte all’esiguità dell’avversario, e a questo punto l’Occidente si rese conto del pericolo incombente e si mosse. Venezia, intimorita per il futuro dei mercati orientali,  nel 1362 propose una Lega cui avrebbero dovuto far parte, oltre alla Serenissima, Genova, Cipro, la Bulgaria, Trebisonda e gli Ospitalieri. L’operazione non andò oltre lo stadio iniziale di progetto, in particolare per le ostilità tra Genovesi e Veneziani a causa del possesso di Tenedo e per l’imbarazzo che a Venezia causò una dura rivolta su Creta, evento in cui la Repubblica non escludeva responsabilità romee. A quel punto papa Urbano V si decise a promuovere una crociata cui aderirono il conte Amedeo VI di Savoia, il re Pietro I di Cipro e il re Luigi il Grande d’Ungheria. Peccato che solo Pietro partì, ma avendo quale obiettivo Alessandria d’Egitto.

Giovanni V non si scoraggiò, e pensò che fosse giunto il momento di rompere gli indugi e muoversi personalmente. Dal momento che Luigi d’Ungheria comunque la croce l’aveva presa, nella primavera del 1366 il basileus partì proprio per l’Ungheria. Era il primo dei tanti viaggi della speranza che gli ultimi Imperatori romani avrebbero compiuto. E fu un fallimento, come tutti gli altri. Luigi fu perentorio, pretendendo come conditio sine qua non la conversione al cattolicesimo romano. Giovanni tornò indietro a mani vuote, ed al confine con la Bulgaria lo zar Sisman, nonostante fosse suo consuocero, lo fece arrestare. Per la sua liberazione fu necessario l’intervento del Conte Verde, Amedeo di Savoia, che minacciando l’intervento armato contro la Bulgaria riuscì a riportare a Costantinopoli il cugino Giovanni V, ottenendo anche che la città di  Mesembria fosse restituita all’Impero.

Amedeo era giunto a Costantinopoli su navi fornite da Venezia e Genova poco prima ed aveva cacciato i Turchi da Gallipoli, nell’estate del 1366, restituendola a Bisanzio, dimostrando che quelli potevano essere ancora battuti. Lo accompagnava un legato papale, Paolo, ed alla sua presenza nel giugno del 1367 venne tenuto un convegno a Costantinopoli, alla presenza del basileus e delle autorità ecclesiastiche ortodosse, guidate dal monaco Joasaf, colui che era stato Giovanni VI Cantacuzeno. Venne deciso che l’unione delle Chiese poteva essere discussa, ma solo da un concilio, e che fosse convocato a Costantinopoli.

Con la sua solita ingenua pervicacia Giovanni V, lasciate le cure dello stato al suo inquieto ed infido figlio maggiore Andronico IV, partì per l’Italia nell’agosto del 1369, con lo scopo di discutere personalmente con il Pontefice. Passando per Napoli il basileus giunse a Roma, dove si fermò per cinque mesi e dove in ottobre, a S. Pietro, in una solenne cerimonia, abiurò gli errori del passato ed abbracciò la fede cattolica romana, baciando la pantofola d’Urbano V. Si trattava d’una sua personale conversione, nulla di più, che mai sarebbe stata accettata dal suo popolo e dal patriarca Filoteo Kokkinos, e di questo erano perfettamente consapevoli tanto lui che il Papa. Che infatti nulla promise e nulla concesse, neppure la promessa d’un concilio, soprattutto se tenuto a Costantinopoli. A questo punto Giovanni decise di recarsi a Venezia, passando ancora per Napoli, e poi per Ancona, e lì giunto, nella primavera del 1370, accolto piuttosto freddamente, promise ancora Tenedo in cambio dei gioielli della corona che trent’anni prima sua madre aveva ceduto, di 6 navi e di 25.000 ducati. Venezia accettò, ma nel contempo accadde qualcosa che non è perfettamente chiaro, perché raccontato solo da Laonico Calcondila e da brevi cronache veneziane(2). Sicuramente per il rifiuto di Andronico IV, legato a Genova, ma forse anche per ripensamenti di Giovanni, Tenedo non venne sgomberata dai Romei, ed il basileus, che già aveva ricevuto un consistente anticipo della somma richiesta, venne trattenuto a Venezia. Andronico non mosse un dito in suo favore, e l’altro figlio, Manuele, che governava il suo appannaggio di Tessalonica, dovette precipitarsi a versare del denaro per far sì che il padre potesse lasciar la città lagunare e ritornare a Costantinopoli. Ove giunse, lasciato Manuele per qualche tempo come una sorta di ostaggio, il 28 ottobre del 1371.

IL VASSALLAGGIO E LE LOTTE DI FAMIGLIA

E tanta sventura non era che l’inizio. E’ difficile nella storia trovare un sovrano sul quale tante disgrazie si siano abbattutte con tanta efferatezza. Infatti un mese prima del suo ritorno, il 26 settembre, sulla Maritza s’era deciso il destino dell’Europa orientale, con la sconfitta da parte di Murad, figlio e successore di Orkhan, del despota serbo Uglješa e del re Vukašin, che avevano preso le armi contro i Turchi chiedendo l’aiuto di tutti i Cristiani, soprattutto di Bisanzio. In breve tutti i principi serbi, la Bulgaria e la stessa Bisanzio, che a quell’avventura non aveva partecipato, tra lo sdegno di tanti Ortodossi,  dovettero giurar fedeltà al sultano, come si fece chiamare Murad, accettarne la sovranità, pagare tributo e fornirgli aiuto militare. Giovanni, sostiene Calcondila, doveva garantire annualmente a Murad 12.000 uomini e 30.000 monete d’oro. Già nella primavera del 1373 il basileus avrebbe accompagnato il sultano in Asia minore per una campagna militare, e questo fu il momento nel quale Andronico IV ed un figlio di Murad, col quale era in combutta, decisero di ribellarsi ai rispettivi genitori: la vendetta di Murad fu terribile, il figlio venne accecato ed il sultano pretese la stessa pena per il figlio di Giovanni V, al quale venne risparmiata la completa cecità(3). Tuttavia Andronico venne diseredato, e con lui il figlio, pure esso di nome Giovanni, e Manuele II venne associato al trono. Andronico, con la famiglia, trovò rifugio presso i Genovesi di Galata.

Queste lotte familiari non potevano che essere ben viste dalle potenze straniere, ed oltre ai Turchi ne vollero trarre giovamento Venezia e Genova, che in quel momento entravano in aperto conflitto per il possesso di Tenedo. Nel maggio del 1376 i Genovesi, dopo aver preso contatti con Murad, fecero fuggire Andronico da Galata e posero l’assedio a Costantinopoli. Il 12 agosto Genovesi e Turchi, dopo 32 giorni d’assedio, ebbero la meglio, Andronico IV s’insediò sul trono e Giovanni V e Manuele II vennero gettati in carcere. Gli alleati ebbero il loro premio: Murad riottenne Gallipoli e quindi la possibilità di buttare nuovamente torme di soldati in Europa, e Genova Tenedo, che però proclamò la sua fedeltà a Giovanni V e si diede ai Veneziani. Esplose ancor più violenta la guerra tra la Serenissima e la Superba, e ben presto si portò in acque italiane. Il traballante trono d’Andronico non poté reggere molto, Giovanni e Manuele riuscirono ad evadere e trovarono l’appoggio di Murad, che li aiutò a riprendere il potere il primo luglio del 1379. Andronico e famiglia si rifugiarono ancora a Galata, e la situazione tornò in pieno controllo di Giovanni solo in agosto. All’inizio del 1381 Giovanni ed Andronico giunsero finalmente ad un accordo, nel quale padre e figlio si riconciliavano in cambio del riconoscimento ad Andronico e a suo figlio dell’eredità del titolo imperiale e della concessione dell’appannaggio di Selimbria e di altre città della Tracia. Ovviamente ciò comportò l’ostilità da parte di Manuele II che, ritenendosi, non a torto, offeso e defraudato, si ritirò a Tessalonica. Dove cominciò a prendere contatto in chiave antiturca con il fratello Teodoro, che finalmente era riuscito, nel 1382, a restituire la Morea ai Paleologi. Nel frattempo si concludeva la guerra tra Veneziani e Genovesi per Tenedo, con la mediazione del Conte Verde: l’isola sarebbe stata spopolata e smilitarizzata, e nessuno ne sarebbe entrato in possesso. Neppure Giovanni V.

TRISTE DECLINO.
Il rientro della Morea nell’ambito dei dominî imperiali, scomparso l’ultimo dei Cantacuzeni, non fu che un piccolo successo. Andronico IV non si dava pace e si ribellò ancora, tanto che Giovanni V dovette ancora prendere le armi, e solo la prematura e sospetta scomparsa dell’irrequieto figlio pose fine alle lotte, nel 1385, ma solo in attesa che riprendessero, questa volta con a capo il figlio d’Andronico, Giovanni VII, erede in tutto di suo padre.
Nel frattempo Manuele, a Tessalonica, non contento di tramare contro i Turchi con il fratello Teodoro, aveva preso contatti col bosniaco Lazzaro. Murad decise di farla finita e pose l’assedio alla seconda città dell’Impero, che cedette il 9 aprile del 1387. Manuele fuggì per mare e, respinto dal padre, il quale oramai era convinto della necessità di una politica di basso profilo e di sudditanza, trovò rifugio presso lo stesso sultano, il quale un paio d’anni dopo dimostrava cosa poteva essere in grado ormai di fare battendo i Serbi ed i Bosniaci a Kosovopolje, pur cadendo in battaglia. Il figlio e successore, Bejazet, aveva le idee ancor più chiare ed era ancor più consapevole della sua forza e del suo obiettivo: Costantinopoli.

Il sultano era al corrente dei pessimi rapporti tra Giovanni V e Manuele, come sapeva delle tensioni esistenti tra Bisanzio e Venezia, a causa del comportamento di Teodoro in Morea. Per cui giocò sulle rivalità familiari e fu ben felice d’offrire a Giovanni VII l’appoggio necessario per deporre il nonno ed insediarsi sul trono, il 14 aprile del 1390. Giovanni V tuttavia riuscì a rifugiarsi nella fortezza che aveva appena fatto costruire nei pressi della Porta d’Oro, e qui lo liberò il povero Manuele II, accorso da Lemno, reinsediandolo sul trono il 27 di settembre dello stesso anno. Bejazet accettò il fatto, ma impose l’abbattimento della fortezza e la partecipazione di Manuele alla sua campagna militare in Asia Minore, ove avrebbe marciato con Giovanni VII, che presso il sultano s’era rifugiato. Così due basileis insieme al sultano turco conquistarono per lui l’ultima roccaforte romana e cristiana libera in Asia, Filadelfia.

Consunto da tali e tante difficoltà Giovanni V il 16 febbraio del 1391 si spense, e venne sepolto nel Monastero della Vergine Hodegetria. Non lasciò buona memoria di sé e pochi lo piansero, soprattutto non coloro –e non erano pochi– che avevano visto in lui il traditore dell’Ortodossia, colui che aveva cercato di svendere l’anima stessa di Bisanzio ai Latini.
Manuele II in quel periodo era a Brussa, presso Bejazet, e fuggì per accorrere nella capitale, nel timore che Giovanni VII, che era nel suo appannaggio di Selimbria, potesse insediarsi a Palazzo. Tuttavia la madre, Elena Cantacuzena, deteneva saldamente la reggenza, e così Manuele a marzo potè sedersi sul trono, per poi accorrere nuovamente dal sultano che ne pretendeva con vigore la presenza. Solo l’anno dopo potè essere incoronato.

 autore: SERGIO BERRUTI

(1)Ducellier A., Cristiani d’Oriente e Islam nel Medioevo, 2001 Einaudi, Torino, p. 443
(2)Nicol D. M., Venezia e Bisanzio, 1990 Rusconi, Milano, p. 396

(3)Ducellier A, cit., pp. 442 sgg

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