Il fuoco greco di Luigi Malerba

Tra i libri più recenti dedicati alla storia, e talora alla leggenda, dell’impero bizantino troviamo Il fuoco greco, di Luigi Malerba, dal nome di quella che fu l’arma segreta dell’impero bizantino e con cui per tanti anni tenne testa ai suoi nemici. Essa, già prima dell’invenzione della polvere da sparo, permetteva di lanciare attraverso lunghi tubi a sifone proiettili micidiali che non si spegnevano a contatto con l’acqua, per cui erano assai utili nella guerra sul mare. L’inventore del fuoco greco fu, intorno al 672 d.C., il siriano Callinico. La nuova arma fu usata per la prima volta nel 673 da Costantino Pogonato contro gli Arabi del califfo Mu?awiya, ancora nell’agosto 717 contro Maslam, sotto l’impero di Leone III, e riutilizzata nell’812 d.C. da parte della città di Mesembria come dono al terribile Krum, capo dei Bulgari, che aveva occupato la città ai tempi dell’imperatore Michele I Rangabe (811-813), fino al 1221, quando i musulmani si impossessarono della formula. Questa era in realtà stata sempre protetta da disposizioni severissime: pochi autori ne fanno cenno, come Anna Comnena nella Alessiade. Ora, smarrita dal tempo, nulla di essa ci è stato conservato.

 Il libro di Malerba è una storia avvincente di intrighi di corte, crudeltà illimitate, amori segreti. Siamo alla corte di Bisanzio ai tempi di Costantino VII Porfirogenito, nella Sala del Triclinio intarsiata d’oro, nell’anno 957 d.C. L’imperatore intende correggerne l’acustica, e chiama a corte due architetti persiani, che, ideando un sistema di arcate laterali ornate da vasi e colonne, rendono il salone un capolavoro da esibire all’arrivo degli ospiti stranieri. La scena si sposta al febbraio del 962, in una gelida serata; nella sala del Triclinio la tavola è imbandita sontuosamente: l’Araldo intona l’augurio:”In gaudio prandite, domine”, il Basileus siede alla grande tavola rettangolare di fronte all’ingresso, con lui è l’imperatrice Teofane, e alla sinistra di lei, Giovanni Bringas, Magister Officiorum del palazzo e “Parakimomeno”, addetto a vegliare sul sonno imperiale. Vicino a Bringas i membri dell’Alta Burocrazia: Leone Foca, kuropalata, “maestro di palazzo”, fratello del futuro imperatore Niceforo, e l’Eparco Giorgio Mesarite, alto magistrato imperiale. Vicino, le dame di corte, un Retore, un Grammatico, un Teologo, un Matematico. E’ così presentata la corte di Bisanzio che, di fronte agli ambasciatori dell’appena sconfitto Saif ad Dawla, quella sera discuteva su Aristotele.
Quand’ecco che un banale incidente di palazzo trasforma i rapporti di corte, peraltro già abbastanza tesi: mentre il dotto Leone, fratello di Niceforo, introduce l’argomento della “velocità di Dio”, la natura della volta celeste che cosa significhi motore immobile, Teofane è in preda agli sbadigli. Leone le chiede, visto che la sua bocca è aperta, se abbia anche lei qualcosa da dire. Ma la Reggente , che era ben lontana dal pensiero aristotelico, esterrefatta ed indignata, tra i denti promette vendetta. La storia continua focalizzata su Teofane: Leone viene rinchiuso in una stanza del palazzo e da lì fatto precipitare, le sorelle di Romano Lecapeno, il defunto imperatore morto avvelenato, sono mandate in monastero in Bitinia. Niceforo Foca, capo dell’esercito, al rientro dalle sue campagne d’Oriente, sposa Teofane, ma il matrimonio non è felice: l’imperatore, casto fin da fanciullo, dorme su una pelle di capra, sul pavimento, prega, digiuna, si tiene la spada accanto, da perfetto stratega.
Teofane è sola, nella sua vita di seduzione e di inganni. Bringas, che le dice la verità sugli intrighi e l’etichetta di corte, le sta scomodo. La Reggente seduce così l’Eteriarca Nimio Niceta, fa uccidere Bringas, si procura uno straordinario numero di amanti, tra cui il giovane Teosia, che, come tutti gli altri, perché non lasci circolare i segreti sulle lussurie della sovrana, dopo una certa durata della relazione, viene legato, imbavagliato, chiuso in un sacco di canapa e gettato, legato ad una masso, nelle acque del Mar di Marmara: era una armeno, figlio di pastori.
Teofane sceglieva i suoi amanti tra i giovani più belli delle più lontane plaghe dell’impero, come Constantin Siriatos, esile siriano di vent’anni dai capelli biondi e gli occhi neri. Il giovane, militare negli accampamenti di Nimio Niceta, violentato dai soldati, amato prepotentemente dallo stesso eteriarca, e da lui esibito durante una parata militare, viene scelto da Teofanie per i suoi incontri segreti. Constantin, portato nel letto della reggente da due corpulenti eunuchi, senza nemmeno capire ciò che gli sta accadendo, vive finalmente la sua prima esperienza d’amore con una donna, che è peraltro l’imperatrice, senza provare più la ripugnanza sentita verso il corpo maschile: ora egli è in una dimensione nuova, estatica, fino alla totale dipendenza amorosa, ma dentro di sé i sente in colpa. I rapporti diventano sempre più violenti: per Teofane Constantin sarebbe pronto a morire, ma, punito dall’imperatore, accetterebbe di buon grado la condanna. Questi sono i suoi pensieri quando torna dal letto imperiale alla sua brandina di soldato. Ma un giornoTeofane gli chiede di più: entrare nell’Officina delle Polveri, uccidere il Maestro Leonzio Manuele, accecato perché custode della formula del fuoco greco, rubare la pergamena, toglierne il sigillo. Constantin fa anche questo, pieno di trepidazione non di fronte alla prospettiva dell’accecamento e della condanna a morte, ma al solo pensiero di potere, fallendo, deludere Teofane. Ma anche lui finirà nel Mar di Marmara.
L’ultimo grande amore di Teofane è Giovanni Zimisce, stratega del tema balcanico e nipote dell’imperatore. L’imperatrice lo conosce nell’accampamento sul Danubio, dove viene condotta da Niceforo nella speranza che la moglie, vedendolo nelle vesti di guerriero, rimanga affascinata e gli dimostri maggiore affetto e stima. Teofane si accorge di Zimisce al secondo giorno della sua permanenza: un uomo circondato da un alone di leggenda. Scende in campo a vederlo combattere, sviene dall’emozione, egli le salva la vita durante la battaglia e la scorta nel viaggio di ritorno a Costantinopoli. La portantina dello stratega, ferito alla spalla, diventa la loro camera da letto, lontana dalle atrocità della guerra e dalle vanità del protocollo imperiale. Giunti a corte, Zimisce va ad abitare a Calcedonia, al di là del Bosforo. Durante il lungo inverno gli incontri con Teofane avvengono su un vecchio barcone da pesca al largo di Bucoleon, dove la principessa giunge in abito da mendicante. Il popolo se ne accorge, e alla fine anche Niceforo. Allora Teofane e Zimisce lo uccidono. Ora sono loro i regnanti, ma il patriarca Polieuto si rifiuta di incoronarli in Santa Sofia, e di accordare loro il beneplacito del potere religioso che tanto effetto ha sulle folle: ma a Zimisce interessa più l’impero che Teofane. A colloquio segreto con Polieuto, s’impegna a lasciare la regina, pur di avere il sigillo religioso sul trono. Così anche la Reggente finisce in monastero, come prima le sue cognate. Zimisce sposa Teodora, figlia di Costantino VII, zia dei figli di Teofane Basilio e Costantino, di cui il nuovo sovrano diventa tutore. Zimisce vince i Bulgari, i Saraceni, conquista la Terrasanta , intrattiene buoni rapporti con Genova e Venezia.
Nella Sala del Triclinio il suono della simandra annuncia l’arrivo del nuovo imperatore, le cui parole riecheggiano tra le colonne e le pareti di marmo: dame e signori della corte sono attoniti, quasi dei sopravvissuti, davanti al nuovo potere, seguono il discorso con apparente attenzione e riverente silenzio, ma la loro mente è altrove.
La storia ci presenta i medesimi personaggi, in un’avventura simile ad un romanzo. Dopo la morte di Costantino VI (9 novembre 959) sale al trono Romano II, fanciullo unito in matrimonio con Berta, figlia di Ugo di Provenza morta bambina. Intorno al 956 Romano II sposa Anastasos, figlia di un oste, ambiziosa ed estremamente al di fuori della morale comune, che da imperatrice assume il nome di Teofane. Pochi anni dopo l’imperatore è avvelenato; l’imperatrice fa allontanare le figlie di Porfirogenito, sorelle di Romano: Zoe, Teodora, Agata, Teofano e Anna, costrette a lasciare il Palazzo imperiale. Anche l’imperatrice madre, Elena, viene accantonata dalla vita politica. Romano II non si occupò mai veramente degli affari politici, la cui sorte fu sempre demandata all’eunuco Giuseppe Bringas e a Teofane. Ma soprattutto, l’imperatore si servì di Niceforo Foca, eminente generale. Nell’estate del 960 egli si diresse alla volta di Creta. Dopo un assedio durato tutto l’inverno, nel marzo 961, le sue truppe espugnarono Candia, che passò ai Bizantini dopo essere appartenuta agli Arabi per oltre un secolo. Niceforo riprese subito la guerra contro il sultano turco Saif ad-Dawla, giungendo fino ad Aleppo. Era aperta ormai la strada per la penetrazione in Oriente. Romano II fu assassinato il 15 marzo 963, fu allora che Teofane assunse la reggenza. Seguirono il matrimonio politico con Niceforo e l’amore verso Zimisce. Questi, assassinato Niceforo, regnò dal 969 al 976. Valente stratega, conquistò Bulgaria, Fenicia, Palestina e Siria, tornò dalle guerre contro i Saraceni ammalato, forse di tifo. Morì il 10 gennaio 976, dopo un breve regno, di soli sei anni. Secondo un’altra versione dei fatti, riportata, tra gli altri, da leone Diacono e Zonara, sarebbe morto assassinato dal parakoimomenos Basilio. L’imperatore, percorrendo la Bitinia , non avrebbe infatti guardato di buon occhio le distese di terra di cui Basilio si era impossessato sfruttando una guerra costata il sangue di migliaia di uomini.
Con Zimisce finisce il periodo della coreggenza imperiale durante il quale sul trono di Bisanzio furono eccezionali generali che procurarono terre all’impero. Ora il potere passava, legittimamente, nelle mani di Basilio II, primo figlio di Romano II e Teofane.

autore: MARIA BARECA 

BIBLIOGRAFIA

– L. Malerba, Il fuoco greco, Arnoldo Mondadori, 2000
– Conca-Criscuolo-Maisano, Bisanzio: storia e civiltà, Led, 1994
– G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Einaudi, 1968
– A. Guillou-F. Burgarella-A. Bausani, L’impero bizantino e l’Islamismo, Utet, Torino, 1981

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Di Nicola

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