Otranto bizantina

 

Otranto, porta dell’Est: la cittadina più orientale d’Italia, da secoli col capo proteso verso le coste d’Albania, Grecia e l’Oriente mediterraneo tutto. Otranto dei Messapi (Hodrum), antica e misteriosa popolazione autoctona che abitò il Salento dall’ VIII al III sec a.C., e che fece della cittadina una delle più popolose della loro civiltà. Otranto dei Greci (Ὑδροῦς), che nel IV sec. vi stabilirono una colonia (probabilmente di Cretesi), secondo gli storici da considerarsi una sub-fondazione di Taranto (come la stessa Gallipoli), presumibilmente per rafforzare la presenza ellenica anche sull’ Adriatico Meridionale (oltre che sullo Ionio), incentivando i traffici che il porto poteva garantire. Otranto romana (Hydruntum), che a partire dal 281 a.C. fu conquistata dall’ Urbe, approfittando delle logoranti lotte greco-messapiche per il controllo del Salento, e che nel 151 a.C. ottenne lo status di Municipium, divenendo di fatto un operosissimo ponte marittimo-commerciale tra la Penisola Italica e le Coste greco-orientali. Nel 162 d.C. ottenne il diritto di battere moneta propria, mentre in tutto l’Impero crebbe la sua fama di attivo centro tessile-artigianale, impegnato soprattutto nella lavorazione della costosa porpora. E proprio al II-III sec. d.C. risalgono due epigrafi rinvenute in città, dedicate agli imperatori Lucio Antonio Vero (130 – 169 d.C.) e Marco Aurelio Antonino (più conosciuto come Caracalla, 188 – 217 d.C.): segno dell’importanza mercantile e militare assunta da Otranto sotto la dominazione capitolina. Otranto dei Turchi-Ottomani, che il 14 agosto 1480, quando era dominio aragonese, la assediarono per poi devastarla violentemente, inondandone di sangue le strade, schiavizzando gli abitanti superstiti e decapitando chi si oppose alla conversione forzata (gli 800 martiri). E infine, ma non meno importante, Otranto bizantina, grande avamposto amministrativo, economico e religioso dell’Impero Romeo, geograficamente il più vicino a Costantinopoli in un territorio, quello salentino, che fu tra gli ultimi in Occidente ad essere bizantino.

La presenza bizantina ad Otranto affonda le sue radici almeno nel VI sec. d.C.: Cassiodoro, storico romano e funzionario al servizio del re goto Teodorico, nelle sue Variae (507-537, Libro I, 2) descrive Otranto come importante polo tessile per la lavorazione della porpora, e ciò ne attesta la dominazione ostrogota, come confermato qualche decennio dopo da Procopio di Cesarea, storico bizantino tra i più insigni, nel suo De bello Gothico (Libro III, 10). Giustiniano I, con una guerra aspra e snervante durata 18 anni (535-553), riuscì ad allontanare i Goti dal Salento e dall’intera Penisola, anche se appena 15 anni dopo (568) nuovi Barbari, stavolta i ben più risoluti Longobardi, iniziarono a scendere e minacciare le fresche conquiste bizantine.

Tuttavia, Bisanzio riuscì a mantenere il controllo dell’estremo lembo meridionale della Puglia, che assieme al Brutium andò a costituire il Ducato di Calabria. È proprio durante il VI sec. che Otranto iniziò a risplendere nell’universo di Bisanzio dal punto di vista economico, politico e culturale. Già sede di fiorenti botteghe artigiane per la lavorazione dei tessuti, si arricchì di numerosi mercatores e negotiatores pugliesi, appartenenti alla fiorente comunità ebraica locale o provenienti da altre città marinare tra cui Venezia, dediti ai traffici con il non troppo lontano Oriente. La Pragmatica sanctio pro petitione Virgilii, provvedimento con cui Giustiniano estese la sua Codificazione ai Territori Italici (554), testimonia come tali uomini d’affari fossero in grado di sostenere, grazie ai loro introiti, una tassazione per nulla leggera. Otranto, in questi anni, diviene Ὑδρεντòς: adotta costumi, lingua, culto greco-bizantini ed è anche sede di uno Stratigòto, che nell’organigramma burocratico romeo rappresentava una delle più alte cariche giudiziarie.

Nel corso del VII sec., con il ridimensionamento della presenza bizantina in Italia, i territori salentini furono delimitati, a Nord, dal cosiddetto Limitone dei Greci, una muraglia difensiva realizzata con pietre a secco e corredata da torrette fortificate che, secondo le ricostruzioni storiche più accreditate, partendo da Otranto attraversava l’intero territorio brindisino e tarantino, con lo scopo di tener lontana la minaccia longobarda. Ma ciò non bastò: i Nordici occuparono Otranto tra il 680 e il 710, e la città poté tornare sotto il controllo di Bisanzio solo nel 758, approfittando delle lotta “interna” tra Longobardi stessi, ossia re Desiderio contro il Duca di Benevento Liutprando, che si era ribellato al primo e venne da questi deposto. Non dimentichiamo che il Ducato di Benevento era confinante coi Territori Bizantini del Mezzogiorno, e quindi la principale minaccia per il Salento, al di là del Limes.

In seguito, anche il Ducato di Calabria e quindi Otranto furono coinvolti nella riorganizzazione amministrativa dei territori dell’Impero d’Oriente, con cui era stata introdotta, fin dal regno di Eraclio I (575–641) una nuova unità territoriale in sostituzione delle antiche circoscrizioni di romana memoria (Prefetture, Diocesi, Province): i Themi (in greco θέματα). L’imperatore Giustiniano II (669-711), alla fine del VII sec., riorganizzò le terre bizantine del Mezzogiorno nel Thema di Sicilia, comprendendovi anche il Ducato di Calabria di cui Otranto faceva parte. Fu però soltanto nell’892, sotto Leone VI il Saggio (866-912) che la Puglia divenne Thema di Langobardia, corrispondente quasi all’intera regione attuale (a esclusione di parte del Gargano) e distinto da quello di Sicilia, comprensivo di altri territori riconquistati ai Longobardi (da cui il nome). Questo enorme territorio, assai produttivo dal punto di vista agricolo e commerciale, nel secolo successivo divenne parte del Catapanato d’Italia, e Ὑδρεντòς ne seguì le sorti: attraverso le incursioni saracene e le Guerre coi Normanni, per le quali il territorio salentino fu più volte perduto e riconquistato, la presenza bizantina in Salento andò sempre più diradandosi. Dopo un’agguerrita resistenza, iniziò per Otranto un periodo di alterne fortune, che la videro più volte cadere in mano ai Normanni (1055-1060-1064), finché non venne definitivamente conquistata da Roberto il Guiscardo, che vi stabilì il quartier generale delle sue operazioni contro i Bizantini pugliesi (1068). Ma dovette attendersi quasi un secolo, in un braccio di ferro estenuante, per giungere al definitivo ritiro delle truppe romee dal Meridione d’Italia, a seguito di un Trattato di pace (1158) tra l’imperatore Manuele I Comneno (1118-1180) e il re normanno Guglielmo I di Sicilia (1131-1166). L’Italia, da quel momento, assistette ad una cesura definitiva con l’Impero d’Oriente: i Bizantini portarono via con sé quell’influsso economico, sociale, culturale che così tanto aveva giovato sia al Nord che al Sud della Penisola. Otranto ne è un esempio: la cittadina, sotto Bisanzio, conobbe fasti talmente elevati che non avrebbe mai più raggiunto nei secoli a venire.

Un esempio tuttora tangibile del rigoglio culturale che la cittadina conobbe sotto Bisanzio è rappresentato da un gioiello preziosissimo dell’architettura sacra: la piccola chiesa di san Pietro, risalente al IX sec.. La sua peculiarità? È pressoché l’unico esempio, in Salento, di basilica bizantina che appare sostanzialmente immutata e non “stravolta” dai dettami artistico-architettonici dei secoli successivi, grazie anche ad una coraggiosa quanto avveniristica (per l’epoca) operazione di “recupero stilistico” compiuta nel 1948 e volta ad eliminare i pochi e poco rilevanti interventi (talvolta stravolgimenti) susseguitisi nel tempo.

La dedica a san Pietro testimonia l’antico legame della cittadina con l’Apostolo; del resto, notizie del suo passaggio ad Otranto sono riportate in fonti remotissime: la più antica è sant’ Egesippo (metà II sec.d.C.) nel suo De Bello Iudaico (1, III, 25), a cui si sono aggiunti nei secoli successivi Arnobio (fine III sec.d.C.), Clemente Alessandrino (340), sant’ Ambrogio (364), san Cirillo Gerosolimitano (384), Eusebio di Cesarea (430). E in epoca moderna, il cardinale Cesare Baronio (1538-1607), l’arcivescovo di Otranto Francesco Maria De Aste (1654-1719), gli appassionati studiosi locali Giacomo Arditi (1815-1891) e Cosimo De Giorgi (1842-1922): tutti confermano l’approdo di Pietro sulle coste idruntine, presumibilmente proveniente da Antiochia nell’anno 43 d.C. (come sostiene l’Arditi).

La chiesa sorge nel pieno centro storico, a pochi metri dal Bastione dei Pelasgi che delimita a sud-est, a picco sul mare, il sistema difensivo della città. Pur essendo plausibile la presenza di un luogo di culto già in età paleo-cristiana, è opportuno smentire le voci che farebbero risalire l’edificio ai primi secoli d.C.. Charles Diehl lo considera un “rarissimo monumento di puro stile cristiano risalente al VII-VIII sec.” , ma un approfondimento storico sul periodo ci porta a postdatarne la realizzazione al IX sec.. Senza dubbio, i secoli VII-IX furono particolarmente problematici per Bisanzio, che dovette affrontare problemi di carattere bellico su più fronti. Ci basti citare Leone III l’Isaurico (675-741), che dopo aver ricacciato l’Islam da Costantinopoli e l’Asia Minore, nel 726 iniziò a predicare contro il culto delle immagini cristiane (il Cristo rappresentato “privo di parola e di vita, e fatto di quella materia corruttibile che la Scrittura disprezza” come fece scrivere sulla Porta del Palazzo Imperiale) ordinandone la distruzione e scatenando una serie di ribellioni sia in Oriente che in Italia (le cosiddette lotte iconoclaste). Il figlio Costantino V (718-775) ne sarà un fanatico persecutore: si giungerà ad una vera e propria guerra civile, con distruzioni di edifici, mosaici, affreschi, statue, preziosi manoscritti, arresti e deportazioni, esecuzioni capitali. Proprio per sfuggire a queste persecuzioni, numerosi monaci difensori delle immagini giungeranno in Salento, esprimendo la loro devozione in splendidi affreschi e rappresentazioni iconiche in numerose cripte e chiese. L’Impero, intanto, indebolito dalle lotte religiose, dovette affrontare nuove minacce dall’Islam: il cronista bizantino Giorgio Cedreno, nella sua Σύνοψις Ιστοριών (Sommario di Storia, metà XI sec.) riporta la notizia della distruzione di Otranto da parte del sanguinario generale algerino Sawdan, terzo e ultimo emiro di Bari, che dopo l’857 devastò la cittadina bizantina e condusse i suoi abitanti in schiavitù a Cartagine. La ricostruzione completa si ebbe soltanto con il generale Niceforo Foca il Vecchio (830-896), capostipite della dinastia dei Foca, che dopo aver combattuto e ricacciato Saraceni e Longobardi dal Mezzogiorno si prodigò nella riorganizzazione dell’Italia Meridionale. È proprio nell’ambito di questo programma di ricostruzione e ribizantinizzazione del territorio, alla fine del IX sec., che va cronologicamente collocata l’edificazione della Basilica di san Pietro in Otranto.

Una collocazione che ci viene confermata anche dallo stile architettonico, tipico dell’arte bizantina provinciale del IX-X sec.. Accennavamo all’importante operazione di recupero stilistico attuata dalla Soprintendenza di Bari nel 1948, grazie al quale l’edificio è stato riportato al suo aspetto originale: vengono isolati i lati nord ed ovest, su cui poggiavano abitazioni d’uso civile, mentre i semicerchi delle absidi vengono liberati, esternamente, da intonaci mascheranti, riportando alla luce una semplice ma sorprendente trifora adornata al centro da un disco di interessante lavorazione. Sempre all’esterno, l’operazione più importante è stata recuperare le tegole al di sotto della pavimentazione del tetto: si è deciso così di rimuovere l’oppressivo lastricato in pietra leccese, portando alla luce l’antica copertura in tegole, tipica delle Basiliche bizantine. All’interno, invece, si è provveduto, non senza qualche critica, a demolire un altare sul lato ovest di epoca rinascimentale-barocca, con una nicchia che conteneva una statua di san Pietro in pietra leccese, opera dell’artista locale cinquecentesco Cesare Penna, tuttora conservata all’interno della Chiesa. A ciò si è aggiunta la rimozione di 3 nicchie sull’altare dell’abside centrale, rivelando una splendida trifora. Sulla parete Nord si è intervenuto riaprendo la cosiddetta porta del Basileus e, con ulteriori interventi di restauro delle splendide pitture, la Chiesa è stata riportata in gran parte allo splendore del X sec.. L’edificio, secondo la maggior parte degli studiosi, segue in scala ridottissima il modello della maestosa Santa Sofia di Costantinopoli: la pianta è a croce greca, con le braccia quasi della stessa lunghezza (metri 8,38×7,98); vi sono presenti due porte (quella appunto del Basileus e quella del popolo, tuttora murata), tre absidi (una centrale e due laterali) esternamente decorate da monofore, una poderosa cupola centrale, emisferica, senza base (tamburo), poggiata direttamente su quattro colonne descriventi un quadrato perfetto proprio all’incrocio delle braccia: tutto richiama il magnifico Archetipo costantinopolitano. Del resto, cupola e croce, lì come qui, sono simboli sacri: la cupola trasmette l’idea della salvezza, del Cielo che protegge, la croce (greca) fa riferimento alla Fede nel Cristo. Le colonne, sia le quattro centrali che le quattro addossate ai muri, come sottolinea Charles Diehl nel suo “L’art bizantin dans l’italie meridionale” (1894), sono massicce e disadorne, con capitelli ricavati in un sol pezzo e privi di qualunque ornamento plastico: la perizia degli artisti si dedicò, in tal caso, a soluzioni puramente geometriche, quattro pareti lisce (un prisma) con molta superficie da dedicare alla decorazione pittorica. Il pulvino, elemento architettonico a forma di tronco di piramide rovesciata, collocato tra la fine dei capitelli e la base degli archi, a ben guardare qui risulta semplicemente ricavato scolpendo le estremità delle arcate sovrastanti, dando comunque slancio alle colonne. L’arco a tutto sesto domina dovunque all’interno della basilica, e dato il suo stile architettonico non potrebbe essere diversamente. Sulla parete ad est si stagliano le tre absidi: la centrale, più grande, misura 2,02 metri di larghezza, le due laterali 0,96: esse, elementi tipici dell’architettura sacra bizantina, sono dette prothesis e diakonikon e servivano, rispettivamente, l’una per la conservazione delle Sacre Specie Eucaristiche (l’Ostia consacrata) e l’altra per la vestizione del clero e la conservazione degli arredi e delle vesti.

L’elemento pittorico è senza dubbio quello che colpisce nell’immediato l’occhio del visitatore: la perizia profusa è elevata, nella quasi totalità l’artista segue alla lettera gli stilemi iconici di Bisanzio, per un risultato più che ammirevole. Sull’autore (o gli autori) non si sa nulla: Nicola di Otranto, abate del vicino e fiorentissimo Monastero basiliano di S. Nicola di Casole, rigoglioso centro di cultura filosofico-letteraria e una delle più grandi e importanti Biblioteche del XII-XIII sec. in Europa, distrutto poi dai Turchi nel 1480, agli inizi del Duecento elogia un artista talentuoso dell’XII sec., Paolo di Otranto, autore degli affreschi del Monastero dell’Eurgetide, fuori Costantinopoli, da cui provenivano molti monaci di S. Nicola. E nell’anno 1200 Antonio di Novgorod, monaco e storico russo, attestava che Paolo aveva affrescato anche il Battistero di Santa Sofia, a Costantinopoli, con raffigurazioni del Battesimo di Cristo. Non possiamo storicamente essere certi che il celebre Paolo abbia voluto omaggiare anche la città natale del suo talento, ma ammirando le raffigurazioni che la Basilica custodisce ci piace immaginarlo: la Vergine con bambino nella conca dell’abside centrale, i quattro evangelisti nei pennacchi (le basi triangolari) della cupola, diversi santi in posa ieratica, come san Basilio, san Nicola, santa Lucia, san Francesco di Paola, san Leonardo, realizzati negli intradossi degli archi e sulle pareti laterali da varie maestranze in epoche diverse. E ancora, scene bibliche (l’Albero col serpente e la Vergogna dopo il peccato) e scene della vita del Cristo, come l’Annunciazione, la Nascita, la Presentazione al Tempio, il Battesimo, la Lavanda dei piedi, l’Ultima Cena, gli Apostoli, la Deposizione dalla Croce, l’Anastasi (discesa nel Limbo e Vittoria su Satana): insomma un ciclo pittorico di straordinaria fattura, che non soltanto garantisce una finalità didascalica per i fedeli, ma rende questo monumento una delle più fulgide testimonianze, in Italia Meridionale, dello zelo e della passione artistica, religiosa e culturale che i Bizantini ci hanno lasciato in eredità.

autore: ANDREA ZITO

 

Bibliografia

–       G. Gianfreda, “Basilica Bizantina di S. Pietro in Otranto – Storia e Arte”, edizioni Grifo, Lecce 2010

–       G. Gianfreda, “Influsso Bizantino in Otranto in campo artistico, letterario, sociale ed economico”, in La Zagaglia, rassegna di scienze, lettere ed arti, A. VIII, n. 32 (dicembre 1966), pp 448 – 457

–       G. Ravegnani, “I Bizantini in Italia”, Il Mulino, Bologna, 2004

–       G. Stranieri, “Un limes bizantino nel Salento? La frontiera bizantino-longobarda nella Puglia meridionale. Realtà e mito del Limitone dei greci” in Archeologia Medievale XXVII, 2000 pp 333-355

–       A. P. Kazhdan, “The Oxford Dictionary of Byzantium”, voce “Otranto”, Oxford University Press, 1991

–       C. Diehl, “L’art bizantin dans l’italie meridionale”, Paris 1894

–       “Il Ducato di Otranto alla fine del IX secolo”, da www.loradelsalento.it

–       G. Bertelli Buquicchio, “Otranto”, 1998 in Treccani, Enciclopedia dell’Arte Medievale

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Di Nicola

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