La caduta dell’impero bizantino, il 29 maggio 1453, viene spesso vista come il simbolo della vittoria dell’Islam sulla Cristianità. Eppure al di là di una evidente frattura col passato, in questo caso ha il sopravvento anche una continuità imperiale.

Il 29 maggio 1453, giorno dell’ingresso dei Turchi a Costantinopoli, viene considerata come una della date che hanno fatto passare il mondo medievale nell’era moderna. Per quelli che l’hanno vissuta, si è trattato in primo luogo della fine di un mondo, quello dell’Impero Romano.
Nato dalla città di Roma ed estesosi sulla quasi totalità del mondo conosciuto dell’Antichità, L’Impero Romano, muore in un’altra capitale, la cui nascita nel 330, la cui nascita aveva già segnato, per alcuni storici, il passaggio dall’Antichità al Medioevo. La sua eccezionale longevità si era ripartita fra Roma, dal -753 (data convenzionale della fondazione di Roma) al 330 e Costantinopoli dal 330 al 1453. Vale a dire, rispettivamente, 1423 e 1123 anni !!
La città, più che millenaria, aveva in precedenza subito l’assalto di tutti i nemici dell’Impero: Goti, Avari, Persiani, Bulgari e Arabi. Ogni volta Costantinopoli aveva saputo respingere i suoi nemici, grazie a due elementi fondamentali: la sua ricchezza, che era sempre trasformata in mezzo di corruzione o di civilizzazione per domare i suoi avversari e la solidità delle sue difese. Ma nel 15° secolo questi due elementi di forza di Bisanzio appartenevano già al passato ormai remoto: le casse erano sistematicamente vuote e la comparsa dell’artiglieria rendeva le difese della città definitivamente obsolete.
AlpArslanI territori dell’impero erano stati perduti uno dopo l’altro, a vantaggio principalmente di due avversari che si accanivano su di essa da quasi quattro secoli: i Turchi ed i Crociati. In effetti pochi storici mettono in evidenza che nel 1071, la sconfitta dell’Imperatore Romano 4° Diogene, nella battaglia di Manzikert (o Manziscerta), aveva aperto ai Turchi le porte dell’Anatolia, mentre l’impero perdeva nello stesso anno anche le città di Bari e di Brindisi, gli ultimi avamposti bizantini in Italia. Fatto questo che determinerà l’invasione dei Normanni in Balcania, seguita ben presto dalle Crociate. Si è molto spesso portati a dimenticare che la prima conquista di Costantinopoli, quella che aveva portato un colpo terribile e fatale allo splendore della città, era stata realizzata dai cavalieri franchi della 4^ Crociata.
In definitiva Bisanzio, “miscredente” per i Turchi, zelanti neofiti dell’Islam ed “eretica” per i Franchi, ovvero per l’Europa Cattolica – separata dalla Chiesa Orientale dopo lo Scisma del 1054 – era l’oggetto di una duplice concupiscenza.
In questa corsa, gli Occidentali avevano preso una buona lunghezza d’anticipo, occupando Costantinopoli per 57 anni, dal 1204 al 1261 e spartendosi la quasi totalità dei suoi territori europei ed insulari dell’Impero. Ma in realtà la potenza marittima ed il potere economico e finanziario di Venezia e di Genova sono stati, nel lungo periodo, un elemento molto più determinante sull’inesorabile declino di Bisanzio, rispetto alla forza militare dei Turchi.
In effetti gli Ottomani non erano che uno dei principati turkmeni nati dalla dissoluzione dello stato turco Selgiuchide d’Anatolia alla fine del 13° secolo. In effetti essi era ben lungi dall’essere fra i più forti. Se hanno potuto prosperare verso un tale avvenire, mentre gli altri si spossavano in lotte fratricide e dovuto al fatto che essi si sono trovati di fronte una preda resa vulnerabile dagli eventi della 4^ Crociata e dalle manomissioni economiche di Venezia e Genova.
In questo contesto, l’immagine più forte che ha lasciato alla posterità la giornata del 29 maggio 1453, quale quella della vittoria dell’Islam sulla Cristianità dovrebbe per certi aspetti essere riconsiderata. Primo perché abbiamo visto che non si trattava più di una ma di due cristianità che si trascinavano un pesante contenzioso di reciproca ostilità. Sarebbe d’altronde molto difficile affermare che l’Occidente Cristiano avrebbe potuto sostituirsi alla Bisanzio in crisi nella lotta contro il turco, proprio per il fatto che aveva contribuito a questa crisi allo stesso modo dei Turchi. Infine i rapporti dei tre protagonisti dell’atto finale erano decisamente molto più complessi di quello che lasciano immaginare le loro rispettive posizioni dogmatiche.

Byzantium1400
Per il Papa, che si considerava come il capo dell’Europa cristiana, l’estrema debolezza di Bisanzio offriva l’occasione di realizzare l’unione delle Chiese, intesa come un atto di sottomissione della Chiesa orientale. Il corollario di questa riconciliazione doveva essere una assistenza militare materializzata da una crociata contro i Turchi. Ma il Papa era incapace di coordinare un tale tipo di assistenza militare a causa delle ostilità permanenti fra i gli stati cristiani e per la loro reticenza ad assumersi l’onere finanziario di una crociata e per di più perdere i vantaggi del commercio con i territori ottomani.
L’Imperatore bizantino Giovanni 8° (1390-1448) si vede pertanto rassegnato ad “recarsi a Canossa”, e sottomettersi al Papato, partecipando al Concilio di Ferrara (poi Firenze). Ma la gerarchia della Chiesa ortodossa ripugnava all’idea di essere posta sotto la tutela di Roma. L’accordo sull’unione delle Chiese fu nondimeno firmato da Giovanni 8° e dai prelati del suo seguito nel 1439 a Firenze. Ma già dal ritorno della delegazione, la maggior parte dei signatari sono costretti dissociarsi per il fatto che il clero e la popolazione si rifiutavano di applicare l’accordo. Quanto ai rinforzi promessi dal Papa essi tardavano ad arrivare. I soli ad ingaggiarsi nel conflitto sono invece gli Ungheresi, peraltro battuti per due volte dal Sultano ottomano Murad 2°, nel 1444 a Varna e nel 1448 nel Kossovo.
Da parte turca, il probabile riavvicinamento delle chiese mette in evidenza l’urgenza di impossessarsi rapidamente di Costantinopoli, crocevia delle vie marittime del commercio, prima di un possibile intervento degli Occidentali.

Gentile Bellini
Nel 1448 Giovanni 8° muore e viene sostituito da suo fratello Costantino 11°, mentre nel 1451 Maometto 2°, succede a 21 anni a suo padre sul trono ottomano. Molti storici hanno molto indagato sul carattere del giovane sovrano per spiegare la decisione di venire a capo con Costantinopoli, presa a quanto sembra dal momento del suo avvento al trono. I dati appaiono tuttavia abbastanza semplici: l’esperienza aveva mostrato che gli Ottomani erano capaci di arrestare un intervento europeo per via terrestre, attraverso i Balcani. Restava solamente la via marittima, dove gli Occidentali si trovavano in posizione di preminenza ed è proprio in questa direzione che il Sultano consacra i suoi sforzi, assumendosi un rischio calcolato.
Tenuto conto della inferiorità dei Turchi sul mare, il loro solo modo di impedire l’arrivo di rinforzi consisteva nel fortificare gli Stretti, vale a dire il Bosforo ed i Dardanelli. In tal modo a partire dall’inizio dell’anno 1452, Maometto 2° inizia la costruzione di una fortificazione sulla riva europea del Bosforo (Rumeli Hisari), nel punto in cui il canale presenta una larghezza di 700 metri e di fronte ad un piccolo forte costruito dal suo antenato Beyazid 1° nel 1396.
Ci si potrebbe stupire di questa iniziativa che consisteva a sbarrare il Bosforo, attraverso il quale i rinforzi potevano arrivare solo dai possedimenti genovesi e veneziani nel Mar Nero, lasciando per contro i Dardanelli aperti sul Mediterraneo (i forti di questo lato saranno costruiti solamente dopo il 1460). Ma appare opportuno ricordare che il controllo degli stretti non dipendeva tanto dai forti, ma piuttosto dalla portata dei cannoni che vi si piazzavano. Si arriva pertanto alla conclusione che Costantinopoli è stata conquistata nel momento in cui la tecnica rende va possibile questo successo. Mentre l’artiglieria a disposizione di Maometto 2° non gli consentiva ancora di chiudere i Dardanelli, il Sultano sceglie di scommettere sulla lentezza dei preparativi di Genova e Venezia. Tenendo conto anche di problemi tecnici: una flotta non diviene operativa prima di qualche settimana, la pesantezza dei meccanismi di decisione di questi stati repubblicani ed i loro mutui dissensi, tutti questi fattori rendevano credibile un ritardo nell’intervento occidentale, l’unica ipotesi possibile era quella di una azione potente e rapida.
In tal modo, dopo aver rinnovato il trattato di pace con Venezia, il Sultano dà inizio, il 26 marzo 1452, alla costruzione della fortezza sul Bosforo, terminata nell’agosto seguente. Ma occorrerà tutto l’inverno seguente per preparare i grandi cannoni che potranno abbattere le mura della città. A tal fine viene ingaggiato un tale Urbano, sassone di Transilvania, per fabbricare ad Adrianopoli (Edirne), capitale ottomana dell’epoca, un pezzo capace di lanciare proiettili di 400 chilogrammi.

GennadiosNel frattempo Roma decide di inviare a Costantinopoli un prelato bizantino uniate, nominato cardinale,Isidoro di Kiev, con l’ingiunzione di proclamare definitivamente l’unione delle Chiese. Questo evento avviene il 13 dicembre 1452 a Santa Sofia, alla presenza dell’Imperatore, ma con l’assenza del Patriarca unionista Teodoro 3°, in esilio a Roma, impedito di rientrare a Bisanzio dai suoi fedeli. Il Granduca Lucas Notaras, il secondo personaggio dell’Impero ed il futuro Patriarca Gennadios Scholarios, saranno, anch’essi, ostensibilmente assenti.
In realtà, questa proclamazione dell’unione delle chiese, invece di calmare i dissensi, contribuisce ad accentuarli. Ed è probabilmente per questa ragione che nessun rinforzo giungerà a Bisanzio dagli ultimi possedimenti del Peloponneso, che si trovavano nelle mani dei fratelli dell’Imperatore.
L’esercito ottomano si mette in marcia nel marzo 1453 da Edirne. Il grande cannone, che pesava diverse decine di tonnellate, era trainato da 30 paia di buoi, a loro volta guidati da circa 200 persone. L’assedio ha inizio il 5 aprile per una durata di 55 giorni; operazione rapidamente condotta, conforme con i calcoli previsti dal sovrano. In effetti se il Senato veneziano decide a metà di febbraio di armare delle galere, solo il 9 marzo voterà i primi crediti e un comandante viene nominato solo il 7 maggio 1453. Conclusione: la flotta veneziana di soccorso riceve la ferale notizia della caduta della città al suo arrivo nell’isola diEubea (Negroponte).
L’importanza dell’evento potrebbe far supporre un combattimento fra titani, implicando un gran numero di belligeranti e gli autori dell’epoca non mancano di esercitarsi nelle iperboli. Ma una comparazione delle fonti consente di pervenire a delle cifre verosimilmente e relativamente modeste.

Dal lato degli assediati Georges Sphranztzes, ultimo grande Logoteta (Ministro delle Finanze) dell’impero, incaricato di presentare una memoria sugli uomini della città idonei a portare armi, annota la cifra esatta di 4773 persone. Il commerciante fiorentino Jacopo Tedaldi fornisce da parte sua la cifra di 6-7 mila persone e si può legittimamente pensare che la differenza è dovuta agli ausiliari presi in considerazione nella seconda stima. Queste cifre sono coerenti con l’insieme della popolazione, che i contemporanei valutano fra le 37 ed i 42 mila persone, se si calcola che la metà della popolazione è rappresentata dalle donne e che nell’altra metà almeno un terzo era troppo giovane ed un altro terzo era troppo vecchio per combattere.
A questi dati vanno aggiunti circa 2 mila combattenti stranieri, soprattutto Genovesi e Veneziani, come anche molti Catalani. Il più grande contingente di questi stranieri era composto da 700 uomini arrivati in gennaio con il mercenario Giovanni Giustiniani Longo, al quale l’imperatore affida la difesa promettendogli in appannaggio l’isola di Lemnos. Altri duecento uomini arrivano con il cardinale Isidoro. Il resto rimane per la gran parte fornito dalle colonie di cittadini occidentali della città, sotto la direzione dei loro rispettivi consoli, ad eccezione della colonia genovese di Pera, sulla riva nord del Corno d’Oro, che proclama la sua neutralità e si contenta di rimanere osservatore dell’assedio.
Queste cifre sono straordinariamente deboli per una città, il cui giro delle mura raggiunge i 20 chilometri. Se la totalità dei difensori avesse potuto essere disposta in linea sugli spalti ci sarebbe stato un uomo ogni 2 – 3 metri !!.
Il numero degli assedianti risulta molto più difficile da stimare, dal momento che i cronisti ottomani non hanno fornito cifre precise. Il veneziano Nicolò Barbaro, che ci ha lasciato il racconto più dettagliato e più verosimile dell’assedio, riporta un totale di 160 mila persone. Questo è il dato minore che appare comunque verosimile. Il totale, a sua volta, deve essere scomposto fra soldati regolari – fra i quali 15 mila giannizzeri, fanteria d’elite armata di fucile – ed ausiliari, ai quali vanno aggiunti i dervisci e dei religiosi.

MaomettoIIQuesti ultimi sono in effetti venuti ad assistere in gran numero ad un avvenimento predetto da sette secoli dalla tradizione mussulmana, come annunciatore della fine del mondo. La stessa tradizione affermava che la caduta della città sarebbe stata provocata dalle preghiere dei credenti, più che per effetto delle armi. Ed in effetti le testimonianze degli assediati ci mostrano i difensori più spaventati dal tumulto delle invocazioni delle decine di migliaia di bocche, che dal rombo del cannone.
L’assedio si svolge quasi senza sorprese e colpi di scena. Ognuno tiene gagliardamente il proprio ruolo. Tuttavia un avvenimento mette in evidenza che una spedizione marittima occidentale, anche se limitata, avrebbe potuto cambiare il corso delle cose: il 20 aprile 1453, quattro navi (tre genovesi ed una bizantina), cariche d’armi e di provviste, raggiungono la città. La flotta ottomana, composta di una dozzina di galere e da 70-90 biremi (galere antiche a due file di remi), cercherà invano di intercettarle. Dopo un combattimento di diverse ore, gli alleati bizantini riescono a superare la catena che sbarra l’accesso al Corno d’Oro ed a rifugiarsi nel porto.
Per vendicare questo affronto, Maometto 2°, furioso, tenta due giorni più tardi l’impresa più spettacolare di tutto l’assedio. Durante la notte 72 biremi, spinte a forza di braccia su dei tronchi di legno ingrassati, vengono spostate su terra dal Bosforo al Corno d’Oro, per 4,5 chilometri ed un dislivello di 70 metri, passando di dietro al quartiere genovese di Galata. I Genovesi accuseranno i Veneziani di aver suggerito al Sultano lo stratagemma che essi avevano già utilizzato nel 1438 per far passare le loro navi dall’Adige al Lago di Garda. Da parte loro i Veneziani sosterranno che i Genovesi avevano avvertito Maometto 2° delle loro intenzioni di incendiare la flotta turca una volta che questa fosse entrata nel Corno d’Oro.
Comunque sia, non è stata certamente la discesa di queste navi nel Corno d’Oro che ha deciso la sorte dell’assedio e non lo sarà neanche il ponte fatto da botti di legno, legate le une alle altre, gettato sul Corno d’Oro il 19 maggio 1453, per condurre gli assedianti ai piedi delle mura marittime della città. Così come non lo sono stati tutti i mezzi tradizionali messi in opera nell’assedio. Sette mine scavate sotto le mura terrestri erano state neutralizzate, grazie all’abilità di Johannes Gant o Grant, un artificiere tedesco. Allo stesso modo una grande torre fabbricata in una notte il 18 maggio era stata distrutta.
In fin dei conti, la città verrà presa grazie alla grossa bombarda di Urban, che con 100-120 tiri al giorno finisce per ridurre le mura ad un ammasso di rovine nei pressi della Porta di S. Romano. Gli assediati si sforzarono, ad ogni tiro, di riparare i danni, ma ad un certo momento non saranno più in grado di farlo ed a questo punto gli assedianti non dovranno fare altro che attraversare un mucchio di pietre per entrare in città.
In occasione dell’assalto finale deciso per l’alba del 29 maggio, Maometto 2° arringa i suoi soldati. “La terra e le costruzioni, le armi e gli strumenti militari mi appartengono. Tutto il resto, beni e ricchezze, prigionieri, abiti, cibo, sarà bottino per i combattenti”. L’annuncio non aveva nulla di eccezionale, né di improvvisato. La città aveva rifiutato di capitolare e nessuna tregua o resa poteva essere firmata, si trattava pertanto di un diritto di conquista. Un diritto che implicava anche la messa in schiavitù degli abitanti.
Una volta aperta la breccia, la schiacciante differenza numerica fra assediati e assedianti produce i suoi effetti e la città viene sommersa già dalle prime ore del mattino. L’Imperatore muore da semplice combattente ed il suo corpo sarà identificato solo più tardi. Il genovese Giovanni Giustiniani, ferito all’inizio dell’assalto, si rifugia nella sua nave e fa vela verso l’isola di Chio. I Veneziani l’accuseranno di aver abbandonato il suo posto senza ragione, causando in tal modo lo sbandamento. La sua morte a Chio, a seguito della ferita riportata, basta da sola a smentire le accuse. In una maniera generale, gli Occidentali che riusciranno a raggiungere le loro imbarcazioni, potranno salvarsi, mentre la maggior parte dei dignitari bizantini morirà in combattimento e la popolazione verrà messa in schiavitù.
Come evidenziato dalla storiografia, la maggior parte dei testi di fonte occidentale che raccontano la conquista della città, tende al genere dell’esortazione, nel tentativo di suscitare la reazione dell’Europa cristiana e si sofferma lungamente sulla relazione sugli orrori e sul bagno di sangue seguito alla conquista. Tuttavia una volta spezzata la resistenza armata, gli assedianti ebbero il massimo interesse a conservare in vita gli abitanti, al fine di scambiarli contro taglia o di venderli sul mercato degli schiavi.
In effetti secondo le fonti disponibili ed in particolare Michele Dukas, ultimo grande storico bizantino e Kritovulos d’Imblos, il cronista greco di Maometto, forniscono una cifra dei morti fra le 2 mila e 3 mila unità. Se si toglie poi il fatto che qualche centinaio di persone può aver trovato la salvezza sui battelli, ne consegue che tutto il resto della popolazione deve essere stato fatto prigioniero.
Maometto fa la sua entrata nel pomeriggio del 19 maggio 1453 e si dirige direttamente in S. Sofia. La chiesa, sommariamente spogliata dai suoi attributi cristiani (i suoi mosaici erano ancora visibili agli inizi del 18° secolo) accoglie la prima preghiera del venerdì 1° giugno, essendo nondimeno la sola chiesa cristiana trasformata in moschea nei primi anni della conquista.
Alla fine del terzo giorno di saccheggio il Sultano chiede a tutti quelli che erano ancora nascosti di uscire allo scoperto in cambio della libertà e dispone che la sua parte di prigionieri (il quinto del totale) venga sistemata ai bordi del Corno d’Oro. Il resto dei prigionieri viene condotto per la vendita nei luoghi più sperduti dell’Impero ottomano, lasciando la città per la gran parte priva dei suoi abitanti.
Determinato nel fare della città la sua nuova capitale, Maometto si preoccupa di ripopolarla attraverso uno spostamento forzato di persone dall’insieme delle province dell’Impero. Allo stesso tempo il Sultano ritiene saggio appoggiarsi sugli elementi anti-unionisti della Chiesa ortodossa per contrare ogni possibilità di alleanza dei suoi nuovi sudditi con l’Occidente. In tal modo il loro capofila Gennadios Scholarios viene consacrato Patriarca ed intronizzato da Maometto 2° il 6 gennaio 1454 a Costantinopoli.
A seguito della fase più attiva del ripopolamento, un censimento del 1477 ci fornisce la cifra di 60 mila abitanti, vale a dire una volte e mezzo superiore alla popolazione prima dell’assedio. Fra questi, il 42% erano non mussulmani: Greci, Ebrei, Armeni, fatto che dimostra che nell’opera di ripopolamento nulla era stato lasciato al caso, e che esisteva l’intenzione di ricreare una entità multireligiosa. Anche se l’elemento mussulmano risultava dominante l’Istambul ottomana era diventata una città multirazziale, come e più della capitale bizantina.
Maometto 2° alla sua morte, nel 1481, lascia un impero i cui limiti erano quasi identici a quelli di Bisanzio prima dell’arrivo sulla scena dei Turchi. I suoi successori lo porteranno alla misura dell’Impero di Giustiniano, con in meno l’Italia e la Spagna, ma con l’Arabia e la Mesopotamia in più.
Una visione serena e distaccata, avulsa comunque da considerazioni di parte, ci fornirebbe la visione di uno stesso spazio geografico, con lo stesso contenuto umano, passato dal potere della lingua greca e della religione cristiana verso un altro poyere di lingua turca e di religione mussulmana sunnita, entrambi centrati su Costantinopoli – Istambul, la città eterna che conserva la sua importanza ed il suo splendore in un contesto imperiale. La data del 29 maggio 1453, in tale logica, più che una frattura col il passato, potrebbe rappresentare piuttosto la continuità di una idea imperiale.

autore: MASSIMO IACOPI

 

BIBLIOGRAFIA

Babinger F.Maometto il Conquistatore ed il suo tempo, tradotto dal tedesco da Mannheim W.C., Princeton, 1978
Lewis B., Istanbul e la civiltà ottomana, Lattes, 1990
Mantran. R., Storia dell’Impero Ottomano, Fayard, 1989

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Di Nicola

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