Costantino XI Dragazes, l’ultimo Basileus

“Ed allora questo principe, degno dell’immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.”* 

Era la mattina del 29 maggio del 1453, e Costantino XI Dragazes, l’ultimo degli Imperatori romani, cadeva combattendo valorosamente, e si compiva così la profezia relativa a Costantinopoli, secondo cui essa da un Costantino era stata fondata e con un Costantino sarebbe finita.

Il Despota prediletto 

Costantino era nato 49 anni prima, il 9 febbraio del 1405, secondo di questo nome tra i figli di Manuele II ed Elena Dragaš, figlia del nobile possidente serbo Costantino. L’altro era morto di peste in Morea. Fin dalla nascita Elena mostrò una grande predilezione per questo suo figlio, e tale sentimento fu ampiamente ricambiato, tanto da originare quel soprannome che distinse e distinguerà sempre Costantino. E la stessa predilezione la provava anche il fratello maggiore, Giovanni VIII, tanto da creare malcelati malumori e dissapori tra gli alti fratelli, tanto maggiori quanto minori.
Fu così che quando Giovanni partì, nel novembre del 1423, per il suo viaggio della speranza in Italia ed in Ungheria, il giovane Costantino si ritrovò reggente a Costantinopoli, sia pur guidato da Elena, che infatti siglò personalmente il trattato di pace con Murad II. Il principe era stato da poco nominato despota, e gli era stata attribuita prima la costa ancora romea del Mar Nero, e quindi l’Acaia, ancora in mano ai Franchi.

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Per tale ragione, poco tempo dopo il suo ritorno, Giovanni VIII accompagnò personalmente nel novembre del 1427 il giovane despota in Morea, sia per affiancare Teodoro II, sia per assicurare l’Acaia al dominio di Costantino. Il quale non frappose alcun indugio e dispiegò nell’impresa tutto il suo vigore, che non era poco: attaccò in forze i dominii dei Tocco, signori d’Epiro e del Peloponneso occidentale, e di fronte ai successi romei la parte peloponnesiaca dei domini dei Tocco venne da questi concessa a Costantino quale dote a Maddalena, figlia di Leonardo Tocco, data in sposa al despota stesso nel luglio del 1428. Purtroppo il matrimonio fu di breve durata, poiché la sposa, ribattezzata Teodora, venne a mancare già l’anno successivo. Questo non valse a frenare la tenacia dell’ambizioso despota, che si lanciò con sempre maggiore foga all’espansione dei suoi territori, causando preoccupazione e proteste tra Veneziani e Franchi. Già nel 1430 cadeva Patrasso, nonostante i suoi signori fossero legati da vincoli di parentela con il fratello Teodoro e con il vescovo di Roma, e solo gli eserciti di Turachan Bey fermarono le armate di Costantino, guidate dal fedele servitore ed amico Sfranze, ormai lanciate oltre l’Attica e la Beozia.
Nel settembre del 1437 il despota dovette recarsi a Costantinopoli, ove per alcuni anni svolse nuovamente le funzioni di reggente al posto del fratello, impegnato in quel Concilio che avrebbe dovuto portare all’unione tra le Chiese. Giovanni fu di ritorno già nel gennaio del 1440, ma Costantino rimase nella capitale ancora fino alla metà dell’anno successivo, a causa delle cattive condizioni di salute del basileus. E fu un bene, poiché l’opera sua e della madre fu molto utile per evitare che le tensioni successive all’unione sfociassero in situazioni difficilmente controllabili.
Il ritorno di Costantino in Morea coincise con le sue nozze con Caterina, figlia di Dorino Gattilusio di Lesbo. Ma anche questo matrimonio fu sfortunato, e l’anno successivo il despota rimaneva nuovamente vedovo, e proprio mentre veleggiava verso Costantinopoli accorrendo in soccorso del fratello, assediato dai Turchi di Murad e dall’altro fratello Demetrio, desideroso di mettere le mani sulla Città con l’appoggio dei Turchi e dei circoli minastici antiunionisti. L’aiuto si rivelò fortunatamente inutile, e Costantino poté ritornare in Morea, dove si diede con rinnovato vigore a proteggere ed espandere i propri dominî, in particolare dopo l’acquisizione della parte di Morea spettante a Teodoro II, nel 1443. In breve tempo solo le colonie veneziane di Modone e Corone non rientravano sotto l’autorità romea, e Costantino pose nuovamente l’Attica sotto il suo potere. I contemporanei successi delle potenze cristiane contro i Turchi spinsero il focoso despota ad approfittare della situazione, ma Varna spezzò il sogno, inducendo tutti ad un brutale risveglio: nel 1446 Murad devastava la Morea, per ridurre le ambizioni del suo riottoso vassallo. A Costantino non rimase che accettare il fatto compiuto, operando quel che poteva per risollevare i suoi territori.

L’ultimo Imperatore 

451px-Constantine_XI_Palaiologos_miniatureIl 31 ottobre del 1448 si spegneva Giovanni VIII. Il momento della sua dipartita era atteso da tempo, ed infatti la presenza dei suoi fratelli nella capitale o nelle sue vicinanze costrinse Elena Dragaš, allora monaca con il nome di Epomena, ad assumere il controllo della Città in attesa dell’arrivo di colui che era già deciso da tempo che avrebbe dovuto succedere a Giovanni.
Gli emissari giunti da Costantinopoli con le insegne imperiali, accompagnati dal fratello Tommaso, raggiunsero Costantino a Mistrà, dove il 6 gennaio del 1449 il Metropolita lo elesse imperatore. Qualche tempo dopo, il 12 marzo del 1449, Costantino Dragazes era accolto dalla madre e dagli arconti a Costantinopoli.

Si è discusso molto circa la mancata incoronazione di Costantino Dragazes. L’amico Sfranze nega che questa sia mai avvenuta, e lo storico Ducas definisce Giovanni VIII l’ultimo Basileus. Gli stessi Turchi s’appellavano a ciò per negare la legittimità di Costantino. Tuttavia, al di là del fatto che nessun patriarca avrebbe potuto effettuare la cerimonia, dal momento che Gregorio III era in esilio a Roma, a causa dei problemi sorti con l’unione, pare certo che già dalla metà del secolo precedente l’incoronazione non fosse ritenuta essenziale quale elemento di legittimità della sovranità, e non mancò chi preferì rimandare la cerimonia ed unirla con la cerimonia nuziale: fu il caso di Manuele II, che attese oltre un anno l’incoronazione, dopo la salita al trono, e la combinò con le nozze. Infatti Sfranze ebbe il suo bel da fare per cercare una sposa a Costantino, ma, per vari motivi, né ebbe fortuna con una figlia del re di Georgia né con Mara Brankovic, tra le vedove presenti nell’harem di Murad II -scelta, quest’ultima, che comunque aveva messo a subbuglio la corte costantinopolitana. Nessuno, comunque, pensò mai di contestare il titolo di basileus autokrator attribuito a Costantino.
Le prime azioni del nuovo imperatore vennero dirette ad aumentare i gettiti fiscale dell’esausto impero. Così impose dazi sulle merci importate anche alla già esente Venezia, che rispose piccata, costringendo Costantino a ritornare progressivamente sui suoi passi. Anche perché la grave situazione in cui versava la Città non si prestava ad imposizioni d’alcun genere: Murad II era morto, e del successore, il giovane Mehmet II, nulla si sapeva di certo. Il nuovo sultano rinnovò senz’altro il trattato di pace con Costantinopoli, e accettò persino di versare 300.000 aspri per il mantenimento del pretendente Orkhan, che i Romei trattenevano, ma a scanso d’equivoci Costantino inviò ben presto a Ferrara, Venezia e Roma l’ambasciatore Leontari Briennio a chiedere aiuti. Come al solito, le risposte furono abbastanza evasive, ma Venezia, pur avendo rinnovato un trattato di pace con il sultano, concesse a Costantinopoli di reclutare degli armati su Creta. Mentre il papa Niccolò V, pur esprimendo tutta la sua sensibilità, richiese quale conditio sine qua non il reintegro del patriarca Gregorio e l’intensificazione dell’unione. Argomento, quest’ultimo, non semplice: la calma dei primi tempi aveva lasciato il posto a tensioni piuttosto accese, e se la corte ed i maggiori arconti parevano favorevoli agli unionisti, nettamente contrari erano molti, in particolare il mesazon Luca Notaras ed il giudice dei Romani Giorgio Scolario.
Il problema è che per Costantinopoli gli eventi precipitavano. Costantino venne informato dal visir Chalil Pasha che Mehmet aveva intenzione di erigere una fortezza sulla parte occidentale del Bosforo, in aperta violazione dei patti. Il sultano, di fronte alle vibrate proteste romee, cui s’unirono anche i Genovesi di Pera, negò l’intenzione, sostenendo tuttavia che qualora avesse sentito l’esigenza di tale opera, essa sarebbe sorta su terre in suo potere. E tanto accadde, in spregio alle dichiarazioni del sultano, poiché il 16 marzo del 1452, con gran dispiego di uomini e mezzi, venne iniziata la costruzione della fortezza di Boghaz-kesen, l’odierna Rumeli Hisar. I Turchi si diedero al saccheggio delle terre circostanti, a requisizioni forzate ed a prelievi forzosi di mano d’opera, tanto che le popolazioni residenti giunsero ad una aperta rivolta, cui Mehmet rispose con un feroce massacro, ad Epibation. Era un vero e proprio atto di guerra: in luglio Costantino impose l’arresto dei Turchi risiedenti in Città ed ordinò la chiusura delle porte di Costantinopoli.

L’assedio e la caduta 

ConstantinoXIMentre nella Città era atteso il patriarca latino inviato da Roma per far rispettare gli impegni assunti con l’unione, Isidoro di Kiev, che sarebbe giunto ad ottobre, e mentre Costantino moltiplicava gli appelli d’aiuto, Mehmet in agosto terminava la costruzione della sua fortezza, nata per controllare il passaggio delle forze lungo il Bosforo e per impedire il passaggio di navi nello stretto, e si affrettava ad espugnare le città sul Mar Nero ancora romee e, nel contempo, ad isolare la Morea, affidata ai fratelli dell’imperatore, Tommaso e Demetrio. A novembre la grande fortezza ebbe il suo battesimo, ed a farne le spese fu la nave del veneziano Antonio Rizzo, affondata. Egli venne impalato, e quelli dell’equipaggio che non vennero fatti schiavi vennero segati in due. Nel frattempo finalmente Isidoro di Kiev, accompagnato dall’arcivescovo e cronista Leonardo di Chio, nonché da un manipolo d’armati, arrivava a Costantinopoli: il 12 dicembre a Santa Sofia veniva solennemente proclamata l’unione, in una Città divisa e preoccupata. Sicuro dell’imminenza dell’attacco turco, Costantino decise di bloccare nei porti le navi occidentali presenti, di far chiedere anche ai Veneziani presenti in città aiuto alla madrepatria, e di rafforzare le mura. Ed era il momento: nel gennaio del 1453 Mehmet iniziò la mobilitazione delle truppe e provò la spaventosa bombarda fusa dal celebre Urban. I mesi successivi videro un climax di tensione. Costantinopoli quale aiuto ricevette i soli uomini del capitano Giovanni Giustiniani Longo, mentre alle richieste di pace Mehmet rispose chiedendo la resa della Città. La proposta venne ovviamente rifiutata, e tra il 4 ed il 7 di aprile il sultano schierò il suo esercito: aveva inizio l’assedio. La flotta turca apparve qualche giorno dopo, il 12, quando già era stata tirata la catena lungo il Corno d’Oro. Le forze in campo erano terribilmente impari: per quanto le fonti siano molto dissimili, è probabile che Costantino, tra Latini e Greci, potesse disporre di non più di 17.000 armati e circa 35 navi, mentre il Turco poteva schierare oltre 250 navi e 160.000 uomini!

Sull’assedio molto s’è scritto, non è questo il momento di riassumerlo nuovamente. Basterà ricordare i tre terribili attacchi turchi, rintuzzati da eroici difensori sempre più deboli ma mai domi; il trasporto della flotta turca dietro le colline di Galata ed il tentativo di incendiare le navi nemiche, fallito grazie al tradimento d’un genovese; la processione dell’Icona della Vergine e l’ultima processione delle reliquie dei Santi, occasione che vide finalmente, uniti, Greci e Latini a fianco del loro Imperatore. Era la sera del 28 maggio. Si sapeva che il giorno successivo sarebbe stato quello decisivo, le posizioni dei difensori sulle mura erano affidate da tempo, il basileus e Giustiniani Longo presidiavano la zona dalla porta di S. Romano a quella di Charision. L’imperatore decise di parlare ai difensori, ed il testo del discorso, sia pur senz’altro enfatizzato, ci è pervenuto, nobile e coraggioso:”Miei signori, miei fratelli, miei figli, l’ultimo onore dei Cristiani è nelle vostre mani!”
Alle 3 del mattino del 29 maggio si scatenò l’ultimo attacco turco: i difensori resistettero con valore indicibile per ore, dietro le mura sbrecciate dai terribili colpi delle bombarde, ma dopo le 5 torme di armati turchi riuscirono a penetrare attraverso aperture praticate nella Kerkoporta e poi nella Charision, riuscendo a prendere alle spalle i Romei che combattevano accanitamente presso la Porta di S. Romano. Come è noto, Giustiniani Longo, ferito, si allontanò dalla battaglia, presto seguito dai suoi, e questo avvenimento, creduto una fuga, provocò il cedimento dei difensori e lo scompiglio. Anche la porta di S. Romano cedette, e l’imperatore ed i suoi si videro costretti a fronteggiare una fiumana turca.

La morte e l’epica 

385px-Constantine_PalaiologosSono numerose e talora circostanziate le fonti relative alla morte dell’ultimo basileus di Costantinopoli, tuttavia spesso discordanti, mai -ovviamente- di testimoni diretti, e talora lontane nel tempo. Il più fedele testimone, colui che tanto era stato vicino a Costantino, l’amico, il suo Gran Logoteta, Sfranze, in quel momento era lontano da lui, e si limita a raccontare:”Il mio signore e Imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso.”**  In genere i cronisti sono concordi nel sostenere che l’imperatore si sia gettato nella mischia e, combattendo con valore, abbia perso la vita presso la porta di S. Romano: taluni, ad esempio Critobulo di Imbro e Laonico Calcondila, sostengono che il basileus si sarebbe spogliato delle sue insegne imperiali, per non esser riconosciuto. C’è comunque anche chi sostiene che sarebbe caduto mentre si dirigeva verso la porta Aurea, e perfino nei pressi di Santa Sofia. Qualcuno arriva a sostenere che si sarebbe salvato, o fuggendo o per evento miracoloso, ma la fuga pare ipotesi del tutto improbabile. Altrettanto discussa è la sorte che il sultano avrebbe riservato alle spoglie del basileus. Taluni sbrigativamente non trattano tale argomento, come lo stesso Sfranze; lo pseudo-Sfranze sostiene che il corpo di Costantino sarebbe stato riconosciuto, a fine battaglia, dai pedila purpurei che indossava, segno irrininciabile della dignità imperiale. Molti, come Ducas o Calcondila, affermano che il sultano, ricercato e trovato il corpo, ne avrebbe deciso la decapitazione e che la testa, fatta riconoscere a dignitari al basileus vicini -ma le fonti discordano moltissimo su chi abbia riconosciuto il macabro trofeo- fosse stata esposta e quindi inviata nei territori ottomani e financo, secondo alcuni, in Egitto!

Comunque mai sepolcro venne innalzato o venerato, e con la sua morte Costantino Dragazes si assicurò l’immortalità. Colui che “era stato in vita sua saggio ed equilibrato, che aveva praticato la sapienza e la virtù in sommo grado, intelligente e non inferiore in alcun modo a nessuno dei più colti imperatori che l’hanno preceduto”*** , rifiutandosi d’abbandonare la Città assediata, decidendo di combattere e morire a fianco dei suoi amici, dei suoi fratelli, dei suoi sudditi, divenne un simbolo glorioso della lotta della Cristianità contro l’Infedele, un’icona della lotta eterna del Bene contro il Male, della Luce contro le Tenebre. Negli anni, nei secoli, la memoria di Costantino Dragazes venne mantenuta e vivificata, egli divenne martire, e la Chiesa Ortodossa lo chiamò benedetto e santo. Icone mostravano il suo volto, ed egli era venerato quale Santo liberatore. Un simbolo per chi combatté in Grecia per la libertà dall’oppressione turca, egli divenne la bandiera della Grande Idea, ed una statua al martire campeggia ancora oggi di fronte alla cattedrale di Atene. Si narrava che l’antico imperatore, dormiente, si sarebbe ridestato ed avrebbe liberato la Capitale, restituendola alla Cristianità, e circolavano poemi e canzoni popolari. Il Nichols, nel suo The immortal Emperor, ne riporta alcuni, ad esempio un brano del poeta Kostis Palamas:
“Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
Per spalancare la murata porta d’Oro;
E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
Dopo averli ricacciati oltre l’Albero della Mela Rossa,
Cercherò riposo sui miei antichi confini.”
Si diceva, dopo la Prima guerra mondiale, a proposito di Istanbul: “un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”. Il fallimento delle ambizioni greche non fu il crollo della memoria dell’ultimo basileus, simbolo immutabile della grecità, della libertà, della Cristianità invitta, e le leggende persistettero e si moltiplicarono, come le tradizioni e le canzoni popolari. La Chiesa Ortodossa persiste a vederne la santità e desidererebbe vederlo riconosciuto anche dalla Chiesa di Roma, poiché egli morì in piena Comunione con Roma. E così prega: O santo Martire, benedetto Costantino XI, intercedi Con Cristo Dio affinché Egli salvi le nostre anime!

autore: SERGIO BERRUTI

* Niccolò Sagundino, in La caduta di Costantinopoli, Fond. Lorenzo Valla
** Sfranze, idem
***Critobulo di Imbro, ibidem

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