Introduzione

Correva l’anno 527 quando Giustiniano cinse la corona imperiale a Costantinopoli. L’augusto ora aveva la possibilità di portare a compimento il suo programma di renovatio imperii. Un programma vasto e che doveva coinvolgere la società nella sua totalità: dalla finanza alla giustizia e dalla cultura all’edilizia lo Stato doveva essere rinnovato in ogni sua articolazione. Il grande sogno dell’Imperatore era quello di rigenerare la Pars Orientis al fine di far riaffermare a questa con forza il suo ruolo di superpotenza mondiale. Il perno di una tale politica, pertanto, doveva essere la riconquista delle terre che, un tempo appartenute a Roma, ora erano occupate, in maniera illecita dalla prospettiva bizantina, da popolazioni barbare. Così nel 535 ,dopo aver rapidamente sottomesso il regno dei Vandali, Belisario attraccò a Catania con un esercito di diecimila uomini; questo fu l’evento con cui iniziò una guerra lunga e terribile, dalle alterne vicende, che deturpò irrimediabilmente il volto della penisola italica. Il fattore sorpresa e l’incapacità di comando dei sovrani goti agevolarono le operazioni dei bizantini; essi, occupata rapidamente la Sicilia, attraversarono lo stretto sbarcando nella Penisola. La risalita di questa fu relativamente rapida e facile: l’unico evento di rilievo fu l’assedio che Belisario dovette sostenere trincerato a Roma contro il goto Vitige. Assedio duro ma da cui ne uscì vincitore. Successivamente il comandante bizantino si mosse alla volta di Ravenna che ottenne grazie all’inganno.

Non tutti i goti, tuttavia, si erano arresi. Il comandante di Verona, Ildibado, riuscì a coalizzare sotto la propria guida quanti erano delusi dal ritorno dell’amministrazione imperiale e i goti in cui ancora forte era la voglia di combattere. In tal modo radunò un esercito che, nel 540, sconfisse sanguinosamente i bizantini nella battaglia di Treviso. La ribellione si andava diffondendo sempre più quando Ildibado venne ucciso nel corso di un banchetto; a sua volta aveva assassinato il suo compagno di guerra Uraja e l’episodio sembrava legato ad una vendetta dei fedelissimi di questo. Quanti volevano proseguire la lotta contro gli Imperiali si radunarono per eleggere il nuovo re. Una piccola fazione, quella dei Rugi, propose Erarico mentre la maggioranza si espresse in favore di Totila. Quest’ultimo accettò la corona solo dopo essersi sincerato della morte del rivale.

È con questo atto, con la presa del potere da parte di Totila, che ci possiamo addentrare nel nucleo del presente lavoro. Qui si vuole di fatto analizzare la figura di questo sovrano. Figura eroica, ma contemporaneamente tragica, che seppe ridare fiducia ad un popolo demoralizzato e vinto fin troppo facilmente ma che, nel perseverare nella lotta contro Bisanzio, lo condannò ad atroci conseguenze e infine alla propria autodistruzione. Raffinato politico e capace guerriero Totila fu un sovrano che combatté accanitamente per difendere una terra che oramai considerava come la patria propria e del suo popolo dinanzi ad una potenza che veniva percependosi sempre più come straniera, ostile ed aggressiva.

Totila

Totila, o Baduila, fin da subito segnò marcatamente la distanza dai suoi predecessori: si presentò nella maniera più rispettabile possibile. Con cura non si lasciò andare a cruente manifestazioni di furor barbaricus ma anzi, spesso con il fine di ottenere la resa delle piazze fortificate, offrì condizioni vantaggiose per gli assediati. Amministrò con cura i territori che via via andava riconquistando tanto che la sua giustizia divenne proverbiale. Il suo intento, infatti, era quello di spezzare il fronte nemico e, nel perseguire tale obbiettivo, avviò una politica sociale che colpì duramente gli interessi dei grandi aristocratici romani, naturali alleati di Bisanzio. Il sovrano, infatti, ordinò ai servi di questi di versare le rendite che dovevano loro direttamente al fisco regio affrancandoli, infine, con la possibilità di essere reclutati nel suo dissanguato esercito. Se probabilmente non fu una politica socialmente rivoluzionaria essa ambiva apertamente ad espropriare l’aristocrazia romana espellendola dall’Italia. Un indirizzo del genere colpiva alle fondamenta il sistema sul quale si reggeva il potere dei grandi latifondisti romani ed è, inoltre, indicativo dello sconvolgimento che la guerra aveva portato: sconvolgimento tale da rompere equilibri solidificatisi nel corso dei decenni. E questa politica ebbe sicuramente gli effetti sperati. Se, infatti, all’inizio della guerra l’esercito ostrogoto si presentava con un profilo decisamente omogeneo lo stesso non si può dire di quello che offrirà alla fine dello scontro. Nella compagine guidata da Totila e schierata nella battaglia di Busta Gallorum nel 552, infatti, la componente etnica ostrogota era sicuramente quella preponderante ma a fianco di essa vi si possono trovare un gran numero di disertori imperiali e di servi affrancati.

Il sovrano germanico, inoltre, ebbe l’intuizione di realizzare una flotta con la quale combattere quella bizantina. Gli era chiaro che il dominio imperiale sui mari lo poneva in una situazione di gravissima inferiorità strategica. La flotta che Totila riunì riuscì, pertanto, ad ottenere qualche isolato successo, come nella battaglia di Laureate dinanzi a Salona o nel blocco dei rifornimenti che erano diretti verso una Roma nuovamente assediata, ma nonostante ciò non fu mai in grado di contendere ai bizantini il controllo totale delle acque.

Il re ostrogoto, inoltre, fu il fautore di un radicale cambiamento nel modo di condurre la guerra. Constatando che il suo esercito non era in grado di condurre efficacemente degli assedi ogniqualvolta conquistava una città o un insediamento si prodigava nell’abbatterne le mura, come avevano già fatto i Vandali in Africa, ricercando evidentemente uno scontro campale. Scontro campale nel quale successo egli confidava dato che il suo popolo era essenzialmente una potenza terrestre.

E l’avanzata di Totila, inizialmente, parve davvero inarrestabile; i bizantini furono ripetutamente sconfitti a Verona, Faenza e nella valli del Mugello. Quest’ultima battaglia fu particolarmente significativa poiché, dopo la rotta subita, le forze di Bisanzio decisero di trincerarsi nelle fortezze che ancora erano nelle loro mani e non si opposero più all’iniziativa del nemico. Il sovrano germanico pertanto, una volta caduta Firenze, si spostò in Campania per porre l’assedio a Napoli; centro che rapidamente cadde. Fu quindi la volta di Roma, la cui conquista stava particolarmente a cuore a Totila. Egli, infatti, voleva presentarsi come il legittimo successore di Teodorico il Grande e, per raggiungere tale fine, la presa della città eterna era un obbiettivo imprescindibile: l’assedio, quindi, fu posto agli inizi del 546. Assedio che si rivelò presto essere durissimo e che fu ulteriormente rafforzato dal blocco che Totila, grazie alla sua nuova flotta, imponeva a quanti cercarono di rifornire la città. A nulla valse l’operazione con la quale Belisario, che nel frattempo con pochissime risorse a disposizione era rimasto a difendere Ravenna, cercò di forzare la presa gota. Piano geniale il suo ma che fallì miseramente per l’insubordinazione di un suo ufficiale, Isace posto al comando di Porto, e per la mancata coordinazione nell’attacco del comandante di Roma, Bessa. Fallito ogni tentativo di soccorso, per Roma era giunta la fine. Il 17 dicembre, pertanto, l’esercito goto entrò nella città dei cesari segnando l’apogeo della potenza di Totila. La città sarebbe stata ripresa, poco dopo, grazie ad una sortita di Belisario; sortita che, tuttavia, non cambiò l’andamento generale delle operazioni. Totila sembrava allora il padrone incontrastato dell’Italia intera. Con la sua flotta si accingeva ad invadere la Sicilia, rimasta sotto il controllo di Bisanzio per tutta la durata del conflitto, mentre Indulf, un traditore bizantino, riusciva a sconfiggere sanguinosamente quella imperiale nella battaglia di Laureate, sopra ricordata. I pochi centri ancora in mano a Bisanzio cadevano uno dopo l’altro: Taranto, Rossano, Rimini per non tacere della stessa Roma si consegnavano al sovrano germanico.

Questa serie di disastri, tuttavia, ebbe l’effetto di destare Giustiniano dal torpore in cui versava. Presa coscienza del pericolo concreto di perdere tutta l’Italia l’augusto si decise a riunire un vasto esercito alla guida di Narsete per dare il colpo di grazia a Totila. Le forze così riunite, entrate nella penisola dai valichi settentrionali, marciarono velocemente verso il sovrano germanico e lo affrontarono nella battaglia di Busta Gallorum. Era il 552 e questo scontro segnò la fine di Totila. L’esercito bizantino sfruttò appieno i suoi temibili arcieri a cavallo, i più formidabili dell’epoca, e nello schieramento dei due eserciti si palesò la maggiore competenza degli imperiali in materia bellica: l’estremità sinistra delle forze di Narsete, posta al suo diretto comando, si agganciava ad angolo con lo schieramento centrale. Egli, infatti, intendeva, nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno, portare soccorso a quanti, posizionati centralmente, dovevano reggere l’urto dei nemici con il grosso delle forze, mentre Totila sarebbe stato sbilanciato in avanti per attaccare, avrebbe circondato l’esercito nemico massacrandolo.

Il sovrano germanico non si rivelò all’altezza della situazione. Egli, infatti, ordinò a tutta la cavalleria di porsi davanti ai fanti e di servirsi delle sole lance per caricare gli avversari. Il piano di Totila era semplice: gettare avanti la sua formidabile cavalleria tentando di rompere lo schieramento nemico e di raggiungere lo scontro fisico prima che le sue forze fossero state logorate dal tiro degli arcieri nemici. I reparti di fanteria, nelle sue intenzioni, dovevano costituire solo un utile riparo all’interno del quale la cavalleria doveva volgersi nel caso in cui fosse stata respinta al primo assalto. La battaglia, tuttavia, prese una piega del tutto sfavorevole a Totila. I suoi cavalieri vennero respinti dalla pioggia di frecce che incombeva da ogni direzione e nella fuga generalizzata travolsero i reparti di fanti che li seguivano a breve distanza. La ritirata si trasformò in una rotta generale e lo stesso Totila fu costretto a scappare assieme al suo seguito più fedele. Esso verrà raggiunto e trafitto da un ufficiale bizantino che però non riuscirà ad ucciderlo per via della strenua difesa opposta dalla guardia del re. Totila, gravemente ferito, si spostò quindi nella notte fino a Caprara dove esalò il suo ultimo respiro. La morte di Totila non segnò il crollo del regno Ostrogoto, i superstiti della battaglia elessero Teia a nuovo re, ma dopo la sua scomparsa risultò evidente oramai a tutti che la guerra era persa. Di lì a breve, infatti, anche il nuovo re sarebbe caduto e con lui lo Stato che egli rappresentava.

autore: GIAN LUCA GONZATO

Bibliografia

RAVEGNANI G., I bizantini in Italia, Bologna 2004.

COGNASSO F., Bisanzio. Storia di una civiltà, Bologna 2017.

GALLINA M., Bisanzio. Storia di un impero (secoli IV-XII), Roma 2015.

NORWICH J.J., A Short History of Byzantium, New York 1999.

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Di Nicola

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