Una normanna a Costantinopoli: Maria di Antiochia

La notte di Natale del 1161, nella grande chiesa della Divina Sapienza di Costantinopoli, il basileus Manuele I Comneno (1143-1180) prese in moglie la giovane principessa normanna Maria, figlia di Costanza di Antiochia e del principe franco Raimondo di Poitiers. Queste nozze, fortemente volute dal sovrano di Bisanzio, erano in realtà frutto di un’attenta analisi strategica che mirava a più scopi, legati sia alla politica di potenza internazionale perseguita dai Comneni, sia alla risoluzione dello spinoso problema dinastico, che Manuele I intendeva risolvere al più presto.

Prima di addentrarci in queste complesse questioni di politica e successione, sarà tuttavia opportuno chiarire chi fosse la giovane dama che, dalla “bella città di Antiochia […] in cui spira il vento Zefiro”[1], era giunta nella capitale imperiale, quale fosse il suo aspetto e soprattutto in cosa si differenziasse dalla prima, sfortunata, moglie di Manuele I.

Maria, dunque, era figlia di Costanza, erede dei principi normanni di Antiochia, e di Raimondo di Poitiers (1136-1149), personaggio, questo, di notevole spessore politico, capace di conservare il suo stato nonostante le pressioni bizantine, turche e occidentali di quegli anni ma anche, secondo le fonti dell’epoca, uomo spregiudicato e disinvolto. Egli infatti “era di stirpe latina, cavaliere incrollabile, dalla lancia gloriosa più del famoso Priamo”[2], ma anche abile e astuto come quando, nel 1137, rintuzzò la pretesa del basileus Giovanni II Comneno, presentatosi con un esercito davanti alle mura di Antiochia reclamando la consegna della città[3]. Né esitò ad utilizzare qualsiasi mezzo a sua disposizione, anche il più illecito, come suggerisce lo storico Guglielmo di Tiro[4], con la nipote Eleonora d’Aquitania, perché convincesse il re suo marito a condurre la seconda crociata contro i Turchi di Aleppo e non verso Damasco.

Quando però Raimondo cadde in battaglia a Fons Murez (1149), la situazione del principato divenne molto più caotica e il nuovo basileus Manuele I Comneno cercò subito di approfittarne; Costanza tuttavia lo anticipò, risposandosi con un cavaliere francese di nome Rinaldo di Châtillon il quale, a causa della sua turbolenza, entrò più volte in contrasto con il sovrano di Bisanzio. Quest’ultimo, infine, decise di recarsi ad Antiochia nel 1159 per ridurre all’obbedienza quello che considerava come un vassallo ribelle; Rinaldo fu costretto ad andargli incontro “a piedi nudi, vestito di lana, con le maniche tagliate fino al gomito, con una corda annodata intorno al collo, e portando in mano una spada nuda, che teneva per la punta offrendo l’impugnatura a monsignore l’imperatore”[5] e, come se non bastasse, dovette poi reggere le redini del cavallo del basileus. Tale situazione divenne ancora più favorevole due anni dopo, quando lo stesso Rinaldo venne fatto prigioniero dai Turchi: Antiochia aveva perso di nuovo il suo principe e questa volta Manuele I non si fece sfuggire l’occasione.

Rimasto vedevo pochi tempo prima, infatti, il sovrano di Bisanzio aveva inviato i suoi ambasciatori nel regno di Gerusalemme per cercare una nuova sposa: i legami matrimoniali con la corte latina erano d’altronde ben consolidati, in quanto il re Baldovino III aveva preso in moglie Teodora Comnena, nipote dello stesso imperatore bizantino (1158). Considerando tali premesse, le trattative erano procedute velocemente individuando in Melisanda di Tripoli, sorella del conte Raimondo III, la nuova imperatrice; a questo punto, tuttavia, i messi imperiali interruppero i negoziati e lo stesso imperatore fece sapere che la sua scelta era caduta su Maria di Antiochia. L’improvvisa decisione scaturiva, evidentemente, dall’evoluzione della situazione siriana: Costanza, rimasta nuovamente sola al governo, temeva la nobiltà antiochena e non era disposta a cedere il potere al suo giovane figlio Boemondo III, per questo motivo aveva cercato supporto nel basileus, il quale non aveva mai perso le speranze di esercitare una maggiore influenza sul principato normanno.

L’azione di Manuele I, per quanto vantaggiosa per la sua politica orientale, destò enorme scandalo nel regno di Gerusalemme: è ancora Guglielmo di Tiro a narrare, in un lungo passo, l’amareggiata reazione di Baldovino III e soprattutto del conte Raimondo III, fratello della dama respinta, che non esitò a far saccheggiare l’isola di Cipro per rifarsi delle enormi spese della dote[6].

Maria di Antiochia, dunque, giunse a Costantinopoli a seguito di una chiara scelta politica; tuttavia ad impressionare gli autori contemporanei non fu il successo diplomatico ottenuto del basileus, quanto invece l’aspetto e il carattere della giovane principessa normanna. Il celebre ritratto offerto da Niceta Coniata, non certo un sostenitore della politica di Manuele I, esprime in modo evidente l’effetto che la bionda imperatrice doveva provocare sulla corte imperiale. Ella dunque “era bella, molto bella, davvero bellissima, di una tale imparagonabile bellezza, che al suo confronto erano null’altro che fole Afrodite dal bel sorriso ed aurea, Era dalle bianche braccia e dallo sguardo bovino, la Spartana dal lungo collo e dalle belle caviglie, che gli antichi divinizzarono per la loro bellezza, e tutte quante le altre che libri e racconti hanno tramandato come splendide a vedersi”[7]; a questo si aggiungevano altre qualità, come la radiosità del volto e l’estrema eleganza nei discorsi[8].

Queste caratteristiche, sicuramente apprezzate nella raffinata corte dei Comneni, rendevano Maria del tutto diversa dalla prima moglie di Manuele I, la tedesca Berta di Sulzbach: nonostante le sue nobili ascendenze (era infatti cognata del re di Germania Corrado III), quest’ultima non era mai riuscita a farsi apprezzare dalla nobiltà bizantina, né tanto meno dal marito. Il carattere di Berta, che assunse il nome greco di Irene al momento delle nozze, è descritto dalla fonti come inflessibile e supponente, ella poi non dava peso alla bellezza fisica e rifiutava “le polveri cinerine, il trucco intorno agli occhi, il busto, il rosso artificiale, non naturale; lasciando queste cose alle donne prive di senno, si dedicava alle virtù e se ne adornava”[9]; Berta infatti era anche una donna con diversi interessi, primo fra tutti quello per la letteratura greca.

Tutto questo, in ogni caso, non aveva assolutamente affascinato Manuele I: tralasciando l’origine latina della consorte, che non doveva ormai costituire un problema per le consuetudini matrimoniali del XII secolo[10], l’unione tra il basileus e la principessa tedesca fu contrassegnato, fin dall’inizio, da un atteggiamento poco entusiasta del sovrano. Il matrimonio infatti era stato organizzato da Giovanni II, padre di Manuele I, con una evidente funzione anti-normanna; così Berta era giunta a Bisanzio già nel 1142, tuttavia l’improvvisa morte di Giovanni II aveva spinto il nuovo basileus ad attendere ben quattro anni prima di celebrare le nozze, le quali furono accolte con sollievo dalla corte tedesca[11].

Le fonti poi non ricordano alcun intervento di rilievo di Berta nella politica del marito; se si esclude infatti il caso dell’ambasceria bizantina a Federico I Barbarossa (1156), nella quale si chiedeva che il giovane cugino del sovrano fosse fatto cavaliere per espressa volontà della moglie del basileus[12], non vi sono altri segnali che indichino un intervento diretto dell’imperatrice.

Pare infine che anche dal punto di vista fisico Manuele I fosse poco interessato alla prima moglie: è ancora Niceta Coniata ad informare, in modo decisamente malizioso, che il sovrano aveva molte amanti e che addirittura “infilzò empiamente anche un buco consanguineo”[13] unendosi alla nipote Teodora Comnena[14], la quale gli diede un figlio e fu tenuta sempre in grande considerazione da Manuele I. Nonostante questo, Berta apprezzò sempre le doti cavalleresche del marito, dilettandosi nel guardarlo giostrare alla maniera occidentale; ella comunque diede due figlie a Manuele I, Maria Porfirogenita (1152-1182), che ebbe un ruolo importante nella politica dell’impero, e Anna, che morì a soli quattro anni.

Quando dunque Berta morì, nel 1159 o nel 1160[15], Manuele I si ritrovava ancora privo di un figlio maschio legittimo e dunque impossibilitato a garantire una successione tranquilla e sicura al suo impero; anche se Niceta Coniata afferma che l’imperatore “urlò e si lamentò come un leone”[16] alla notizia della morte della prima moglie, celebrandole fastosi funerali e facendo costruire una grande tomba, è evidente che la scelta di una nuova sposa doveva servire allo scopo di dargli un erede.

In effetti, dal punto di vista politico, l’unione con Maria di Antiochia non diede i risultati sperati dal basileus: fermamente ostile al dominio bizantino, infatti, la nobiltà crociata si oppose alle decisioni di Costanza e riuscì a far eleggere il giovane Boemondo III come principe già nel 1164. Nonostante questo fallimento, la nuova imperatrice non si fece mettere da parte: pur non conoscendo quali fossero i suoi interessi, è ben nota la sua partecipazione alla vita di corte e soprattutto alle udienze presiedute dal marito, alle quali, come affermano le fonti, ella poteva assistere ed essere di grande aiuto a Manuele I, ad esempio quando fu proprio lei a far cadere in disgrazia Isacco Aaronne.

Durante un’udienza con alcuni ambasciatori occidentali, infatti, Aaronne[17], che aveva il compito di tradurre i messaggi stranieri, si rivolse ai legati nella loro lingua invitandoli ad essere maggiormente intraprendenti nelle trattative con il sovrano e ad opporsi alle sue decisioni; una volta che il colloquio fu sciolto, Maria, che aveva capito perfettamente quanto era stato detto, lo riferì in privato al marito, che immediatamente fece arrestare e accecare il funzionario.

Il matrimonio con Maria di Antiochia, dunque, offriva a Manuele I notevoli vantaggi nei rapporti diplomatici con i Latini; questo è dimostrato anche dalle lettere che il basileus inviò al re di Francia Luigi VII, in cui il sovrano bizantino insisteva sui legami di parentela con il suo collega francese proprio per merito del suo matrimonio con la principessa normanna.

Ciò che tuttavia premeva di più a Manuele I era la nascita di un figlio maschio: fu solo nel 1169, dopo un aborto, che Maria rimase finalmente incinta e in settembre partorì il sospirato erede, a cui fu dato il nome di Alessio. L’evento fu accolto dal sovrano come un trionfo: l’imperatrice fu portata nella stanza della Porphyra, addobbata per l’occasione con sete e pesanti tessuti porpora ricamati dai tessitori del Palazzo e collocati in modo complesso sul soffitto della stanza; essa poi fu posta su un grande letto a baldacchino dorato, le cui cortine erano ricamate d’oro e adornate di perle, mentre il nascituro sarebbe stato accolto da un ricco divano posizionato accanto al letto. Quando infine giunse la notizia della nascita, essa fu salutata dallo squillo di trombe suonate da Latini ed Etiopi[18].

Da questo momento, la vita e il destino di Maria di Antiochia furono irrimediabilmente legati al piccolo Alessio e alla lotta per il potere: il 24 marzo 1171, infatti, Manuele I convocò la nobiltà facendole giurare che, in caso lui fosse morto prima che il figlio avesse raggiunto l’età adulta, essa avrebbe dovuto riconoscere Maria come reggente; d’altra parte all’imperatrice era imposto di prendere il velo monastico alla morte del marito e di condividere il potere con il patriarca.

Le fonti non dicono quale fu la reazione della sovrana, anche se è facile immaginare che non sia stata del tutto positiva[19]; in ogni caso era chiara la volontà dell’imperatore, il quale cercava di salvaguardare la successione del figlio impedendo la presenza di pericolosi tutori e la nascita di fratellastri.

Le paure di Manuele I si rivelarono in realtà fondate: egli infatti morì il 24 settembre 1180, quando il figlio Alessio aveva solo undici anni ed era “di senno inadeguato alle necessità”[20]. A questo punto la situazione a Palazzo divenne del tutto caotica a causa del vuoto di potere: se da un lato, infatti, sembra certo che l’imperatrice prese il velo, assumendo l’ormai consolidato nome di Xene[21], d’altra parte la sua presenza a corte non venne mai meno in quanto reggente del figlio. Questa situazione, racconta Niceta Coniata, assunse ben presto toni grotteschi poiché molti “aspiravano all’imperatrice e cercavano di conquistarla agghindandosi con eleganza, si profumavano come degli sciocchi sperando di farsi riamare da lei si cingevano, come fanno le donne, di collane conteste di pietre preziose, tenevano lo sguardo fisso su di lei”[22].

Presto, in ogni caso, Maria dovette rendersi conto di non essere in grado di gestire la situazione con le sue sole forze, una situazione che  diveniva ogni giorno più incandescente. Da una lato, infatti, la popolazione di Costantinopoli, istigata dalla principessa Maria Porfirogenita, si mostrava sempre più insofferente nei confronti di una reggente di origine latina, d’altra parte la minorità di Alessio e le voci di una cattiva gestione della sua educazione avevano dato ad Andronico Comneno, il turbolento cugino di Manuele I, il pretesto per muoversi verso la capitale; l’assenza, infine, di una rete di familiari interna all’impero[23] costrinsero Maria di Antiochia a cercare un protettore.

La scelta, che si rivelerà disastrosa, cadde sul protosebastos Alessio, parente del defunto Manuele I; di questo personaggio, dei suoi vizi e della sua mollezza, lo storico Niceta Coniata ha lasciato un suggestivo ritratto[24], in ogni caso è innegabile che il protosebastos riuscì a divenire l’uomo più influenze della corte: le voci maliziose di una sua presunta relazione con Maria di Antiochia, infatti, divennero sempre più frequenti e infine si rivelarono fondate, quando egli impose che tutti i documenti firmati da Alessio II, il giovane basileus, dovessero essere convalidati da lui.

Il nuovo corso dato dalla reggente Maria alla politica dell’impero, in ogni caso, non fermò le trame e le azioni dei suoi avversari: la prima a reagire fu proprio la principessa Maria Porfirogenita che, spinta dall’ambizione ma anche da un odio personale verso la matrigna, tentò di mettere in atto una congiura ai danni del protosebastos. L’azione tuttavia fu scoperta e mentre la reggente presiedeva il processo contro alcuni membri, tra cui spiccavano diversi appartenenti alla famiglia dei Comneni, la principessa, temendo per la sua vita, si rifugiò nella chiesa di Santa Sofia con il marito Ranieri di Monferrato e il suo seguito di armati.

Quello che avvenne in seguito (2 maggio 1181) fu una vera e propria guerra civile, combattuta tra le strade e persino sulla soglia della grande chiesa della Divina Sapienza tra le truppe della reggente e i fedelissimi della principessa[25]; infine, poiché Maria Porfirogenita non intendeva cedere, la reggente e il protosebastos furono costretti a perdonarla e a riaccoglierla a Palazzo.

Tali scontri non potevano che favorire Andronico Comneno il quale, radunato ormai un consistente esercito, era giunto presso la costa asiatica davanti a Costantinopoli presentandosi come l’unico in grado di proteggere il giovane Alessio II e opporsi all’arroganza dei Latini. Quanto avvenne dopo è noto e, in ogni caso, Maria di Antiochia non poté che avere un ruolo del tutto passivo: la flotta inviata dal protosebastos per combattere contro Andronico tradì in massa, passando dalla parte del ribelle e garantendogli il sicuro accesso alla capitale, che fu preceduto dal selvaggio massacro dei Latini da parte della popolazione[26].

Con l’entrata in scena di Andronico, la sorte di Maria di Antiochia, ma anche del figlio Alessio II, fu segnata: dopo aver fatto accecare Alessio protosebastos, Andronico fece allontanare la reggente e il giovane sovrano dalla corte, ponendoli nel palazzo di Filopatio. Lì, egli andò a salutare il nipote, rendendogli omaggio come al legittimo imperatore, ma riservando a Maria un trattamento molto più freddo e del tutto irriverente[27]; questo costituiva, in realtà, il preliminare di quanto si sarebbe presto compiuto.

Eliminati Maria Porfirogenita e Ranieri di Monferrato con il veleno, convinto il patriarca Teodosio con lusinghe e velate minacce, Andronico diede avvio ad una spietata campagna diffamatoria contro la reggente, accusandola di non guardare al bene dello stato; probabilmente disperata, e in ogni caso impossibilitata a ricevere aiuti a causa dell’assenza di supporti nella corte[28], Maria si decise infine a inviare delle lettere al re di Ungheria perché attaccasse l’impero; con questa mossa, subito scoperta da Andronico, la reggente si condannò con le proprie mani.

Senza attende oltre, infatti, Andronico allestì un processo in cui i giudici, tutti suoi fedelissimi, condannarono la reggente alla pena capitale; Maria “fu ignominiosamente condotta al monastero di San Diomede, in una prigione molto angusta che si trovava nei paraggi; lì a lungo oltraggiata dalle guardie che la schernivano, sfinita dalla fame e dalla sete, si figurava in continuazione il brando assassino ritto sulla destra, affilatissimo”[29]. Ella, in ogni caso, non dovette attendere molto perché questo accadesse: nel settembre 1182 fu fatto firmare allo stesso imperatore Alessio II l’ordine di condanna della madre, la cui esecuzione fu affidata inizialmente ad uno dei figli e al cognato di Andronico. Essi tuttavia, considerando l’ordine abominevole poiché ritenevano la reggente del tutto innocente, si opposero fermamente alla decisione, scatenando le ire di Andronico, il quale dovette cercare altrove.

Maria di Antiochia, infine, morì il 6 settembre, forse strangolata, per mano di due sicari, Costantino Tripsico e l’eunuco Pterigeonita, quest’ultimo già autore dell’omicidio di Maria Porfirogenita. Non si conosce quale sia stato il destino del corpo della sovrana, tuttavia è lecito ritenere che esso sia gettato in un oscuro luogo della costa, lontano da occhi indiscreti e coperto solo dalla sabbia.

Non è certo facile dare un giudizio sulla figura di Maria di Antiochia, ciò che si può fare è invece cercare le cause del suo fallimento politico, che vanno identificate sostanzialmente nell’assenza di una forte rete familiare all’interno della corte e nella sua origine latina[30]. Divenuta reggente, infatti, Maria dovette scontrarsi con l’odio crescente del popolo e della nobiltà verso gli Occidentali; tale sentimento, cavalcato abilmente dagli altri aspiranti al trono, la mise subito in cattiva luce, facendola apparire come una donna ambiziosa che non guardava al bene dello stato e del figlio imperatore. Il fatto poi che Manuele I le avesse imposto di non risposarsi, tolse a Maria qualsiasi possibilità di rafforzare la sua posizione con un matrimonio, essa invece, essendo impossibilitata ad entrare nei meandri più complessi della politica bizantina, fu costretta a cercare un protettore con altri sistemi, favorendo in questo modo i suoi detrattori. La figura dell’imperatrice, comunque, non può essere sbrigativamente condannata: senza appoggi e costantemente soggetta a congiure, essa dovette affrontare una situazione certamente difficile. Il fatto stesso che Niceta Coniata, pur non condividendo la politica della sovrana, le dedichi una lunga lamentazione e che Andronico I, pur divenuto imperatore, decidesse di far sfigurare le immagini pubbliche dell’imperatrice, facendola apparire come una vecchia grinzosa[31], dimostrano che il ricordo di Maria, sia nel popolo che in alcuni ambienti colti, era ancora presente e poteva rispecchiarsi, con le dovute precauzioni, nella splendida raffigurazione miniata che ancora oggi noi ammiriamo.

autore: LUCA MEZZAROBA

Manuele e Maria

 

 

 

 

 

 

 

 

Manuele I Comneno e Maria di Antiochia, miniatura del secolo XII (1125 ca.), Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica, cod. Vat. gr. 1176, f. IIr.

FONTI

Guglielmo di Tiro, Cronaca, a cura di E. Burgio, in Crociate, testi storici e poetici, a cura di G. Zaganelli, Milano 2012.

Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe di Bisanzio I, a cura di R. Maisano, Milano 1994.

Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe di Bisanzio II, a cura di J. L. Van Dieten e A. Pontani, Milano 2014.

 

BIBLIOGRAFIA

 

  1. Garland, Byzantine empresses, women and power in Byzantium, Routledge, 1999.

 

  1. Lamma, Comneni e Staufer ricerche sui rapporti tra Bisanzio e l’Occidente nel secolo XII, Roma 1955-1957 (due volumi).

 

  1. Ostrogorsky, Storia dell’Impero Bizantino, Torino 1968.

 

  1. Ravegnani, Imperatori di Bisanzio, Bologna 2008.

 

  1. Richard, La grande storia delle crociate I, Roma 1999.

[1] Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe di Bisanzio I, a cura di R. Maisano, Milano 1994, p. 65.

[2] Ibid., p. 263.

[3] La campagna orientale di Giovanni II Comneno si aprì effettivamente con l’entrata ad Antiochia del basileus e il giuramento di fedeltà da parte di Raimondo di Poitiers, che in seguito accompagnò l’esercito bizantino alla conquista di alcuni castelli. In seguito però Giovanni II trovò un accordo con i Turchi e, rientrato in territorio cristiano, pretese la consegna della città. Raimondo tuttavia riuscì a protrarre le trattative fine a quando il sovrano bizantino fu costretto a rientrare nella capitale. (cfr. J. Richard, La grande storia delle crociate I, Roma 1999, pp. 244-246).

[4] All’arrivo di Luigi VII in Siria, infatti, Raimondo era convinto  che il re di Francia lo avrebbe aiutato nella sua lotta contro i Turchi, presto tuttavia si accorse che i progetti della crociata erano ben altri. A questo punto, abbandonata l’iniziale affabilità, egli si mise ad ostacolare il re e nel farlo coinvolse anche la regina che “donna stolta qual era, fu consenziente al piano. Costei […] indifferente alla dignità del suo rango regale […] non rispettava i vincoli imposti dal matrimonio, e dimenticava la fedeltà che doveva al talamo coniugale” (Guglielmo di Tiro, Cronaca, a cura di E. Burgio, in Crociate, testi storici e poetici, a cura di G. Zaganelli, Milano 2012, p. 959).

[5] Ibid., p. 1006.

[6] “[Raimondo III] spinto dal dolore ordinò che venissero armate le galee che aveva predisposto per altre funzioni [accompagnare la sorella], fece convocare dei pirati e dei criminali responsabili di orrendi delitti, affidò loro le navi, e diede ordine di compiere delle scorrerie nelle terre dell’imperatore: che non risparmiassero nessuno, senza distinzione per età, sesso o rango” (ibid., p. 1012).

[7] Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe, I, op. cit., p. 263.

[8] Cfr. L. Garland, Byzantine empresses, women and power in Byzantium, Routledge, 1999, p. 201.

[9] Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe, I, op. cit., p. 125.

[10] I sovrani di Bisanzio, per molti secoli, ritennero sconveniente unirsi con donne straniere; dall’XI secolo, tuttavia, tale pratica iniziò ad essere accettata e, proprio dall’età comnena, essa divenne la norma e costituì un importante strumento politico. Il padre di Manuele I, Giovanni II, sposò infatti Piroska d’Ungheria mentre il fratello maggiore Alessio si unì prima con Irene di Kiev e in seguito con la georgiana Eudocia. Al riguardo si veda G. Ravegnani, Imperatori di Bisanzio, Bologna 2008, p. 91.

[11] L’inconsueto temporeggiamento di Manuele I aveva scatenato infatti le proteste di Corrado III, che non aveva esitato ad inviare, nel 1145, una lettera in cui esprimeva tutta la sua irritazione per la mancata celebrazione del matrimonio. Al riguardo cfr. P. Lamma, Comneni e Staufer ricerche sui rapporti tra Bisanzio e l’Occidente nel secolo XII, I, Roma 1955-1957, pp. 50-51.

[12] Si tratta di una delle ambascerie che Manuele I inviò a Würzburg per tentare di riallacciare i rapporti con Federico I, guastati a seguito della fallita campagna bizantina in Italia. La richiesta di Berta, zia del giovane figlio di Corrado III, aveva un sottile significato politico, in quanto cercava di intromettersi nelle questioni dinastiche della casa di Svevia (cfr. ibid., p. 252).

[13] Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe, I, op. cit., p. 126. Tale pratica, fortemente criticata da Niceta Coniata, era però frequente nella famiglia dei Comneni: Andronico, cugino di Manuele I e futuro imperatore, ebbe relazioni dello stesso tipo con Eudocia Comnena e Teodora, vedova del re di Gerusalemme, con cui fuggì nei territori arabi e da cui ebbe diversi figli.

[14] Questa Teodora, figlia del fratello di Manuele I, è un’omonima della Teodora che andò in sposa a re Baldovino III di Gerusalemme. Su di lei e sulla sua famiglia si veda ibid., pp. 235-236.

[15] Sulla data della morte di Berta di Sulzbach non vi è sicurezza; al riguardo si veda L. Garland, Byzantine empresses, op. cit., p. 201.

[16] Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe, I, op. cit., p. 261.

[17] Su questo personaggio e sulle sue innumerevoli azioni malvagie si veda ibid., pp. 327-337.

[18] L’intera descrizione dell’evento è riportata in L. Garland, Byzantine empresses, op. cit., pp. 204-205.

[19] Cfr. ibid., p. 205.

[20] Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe di Bisanzio II, a cura di J. L. Van Dieten e A. Pontani, Milano 2014, p. 7.

[21] Lo stesso nome fu infatti assunto da Piroska d’Ungheria, moglie dell’imperatore Giovanni II, quando anch’ella si ritirò in convento (cfr. L. Garland, Byzantine empresses, op. cit., p. 205).

[22] Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe, II, op. cit., pp. 7-9.

[23] Oltre al già citato principe Boemondo III, Maria aveva un altro fratello, che tuttavia morì nel disastro di Miriocefalo (1176), e una sorella, Filippa, che divenne l’amante di Andronico Comneno quando egli giunse in visita ad Antiochia. Maria di Antiochia non aveva dunque alcun appoggio familiare all’interno della corte imperiale. (al riguardo si veda Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe, I, op. cit., p. 317).

[24] “[Alessio] benché fosse un uomo effeminato e dissipasse in sonni profondi non solo la mattina, ma scialacquasse così anche molta parte del giorno, e oscurasse con spesse cortine la stanza in cui dormiva […] pur sbiancandosi i denti guasti e riempiendo con la pece i vuoti lasciati da quelli che il passar del tempo aveva fatto cadere, pur essendo effeminato e pigro, aveva legato a sé in modo insolito la maggior parte dei nobili del tempo” Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe, II, op. cit., pp. 53-55.

[25] La descrizione dei cruenti scontri avvenuti davanti alla chiesa di Santa Sofia si ritrova ibid., pp. 35-39.

[26] Le cause del massacro dei Latini (maggio 1182) e il loro legame con la figura di Andronico Comneno sono descritte in G. Ostrogorsky, Storia dell’Impero Bizantino, Torino 1968, pp. 357-358.

[27] “[Andronico] rende invece ossequio formale a sua madre Xene, come fosse assente, e le tributa, dal momento che era presente, non più che un incidentale saluto” (Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe, II, op. cit., p. 79).

[28] Cfr. L. Garland, Byzantine empresses, op. cit., p. 209.

[29] Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe, II, op. cit., p. 109.

[30] Per un’analisi accurata dei vari motivi che portarono al fallimento la politica di Maria di Antiochia si rinvia a L. Garland, Byzantine empresses, op. cit., p. 209.

[31] Cfr. ibid.

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Di Nicola

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