Considerazione sull’età Comnena

Di fronte alla vexata quaestio relativa all’età comnena e, in particolare, al regno del suo più illustre e dibattuto rappresentante, Manuele, riporto la traduzione dell’interessante Epilogo del volume che Paul Magdalino a quest’ultimo ha dedicato. 

“Bisanzio alla svolta del suo destino”, così Paul Lemerle caratterizzò l’Impero ereditato dai Comneni.  Nel saggio che egli pubblicò sotto questo titolo, Lemerle mise in dubbio la nozione incoraggiata dagli storici di Bisanzio del periodo e adottata dai moderni Bizantinisti, secondo la quale l’XI secolo era stato un periodo di decadenza della società bizantina, in cui le imprese dell’”età d’oro” della dinastia macedone, culminate dai trionfi di Basilio II, erano state annullate dalla politica irresponsabile dei successori di Basilio, più particolarmente da Costantino IX Monomaco. Per quanto l’attività culturale dell’XI secolo abbia ricevuto l’apprezzamento dovuto, e l’idea che il periodo sia stato di declino economico non resti incontestata, Lemerle fu il primo a puntualizzare che la politica discreditata degli Imperatori civili ebbe i suoi meriti, e potrebbe essere vista come la risposta a processi di espansione economica, sociale e culturale. Con la sua analisi, Lemerle rese possibile ai bizantinisti il considerare gli insuccessi  e le crisi del periodo alla stregua di sintomi dei cambiamenti strutturali in opera nella civiltà bizantina. Benché egli non facesse alcun paragone con l’Occidente, postulò con chiarezza un modello di sviluppo paragonabile a quello che i medievisti occidentali avevano sempre dato per scontato: un progresso in direzione di società civile più complessa, mobile, professionalmente articolata e politicamente aperta. In particolare, il ruolo politico delle corporazioni e della Chiesa nella metà dell’XI secolo sarebbero stati considerati come un progresso, in un contesto occidentale.
In altre parole, Bisanzio dava segni di uno sviluppo interno verso qualcosa di più “moderno”. Ma fallì in questa transizione e, secondo Lemerle, ritornò al modello, dal momento che l’Impero cadde nelle mani dell’aristocrazia militare di mentalità ristretta e conservatrice, che “ridusse l’Impero alle dimensione del suo proprio orizzonte”. Alessio Comneno può anche aver salvato l’Impero, ma al prezzo di ricondurlo in “una società bloccata”.
Questo libro ha cercato di mostrare che quali fossero state le personali intenzioni e limitazioni di Alessio, l’Impero che emerse dal suo duro intervento in ogni aspetto della vita pubblica mise d’accordo tutte le forze che avevano operato prima del 1081.  L’impero di Manuele Comneno fu una sintesi tra la società civile che era fiorita nell’XI secolo ed il militarismo aristocratico che era stato necessario per mantenere intatto l’Impero. Manuele stesso fu uno dei prodotti più impressionanti di questa sintesi. Egli fu anche il prodotto dell’importante decisione di Alessio di coinvolgere l’Occidente nella rinascenza dell’Impero. Infatti la società bizantina si stava espandendo non solo in parallelo con l’Occidente, ma anche in risposta all’espansione dell’Europa latina nel Mediterraneo orientale. Manuele fu l’Imperatore che portò questa risposta alla sua logica, necessaria conseguenza, adattando la politica imperiale alle attese latine preservando, nel contempo, una dignità imperiale che i suoi soggetti avrebbero potuto rispettare.
Manuele fallì perché la sua impresa era troppo dipendente dalla sua sopravvivenza. La minore età di suo figlio finì nelle mani di suo cugino Andronico che, nella sua breve, violenta ascesa, a causa della sua lunga esclusione dal potere distrusse ogni cosa che Manuele aveva sostenuto. All’interno egli rovinò la delicata continuità della successione dinastica e la precaria coesione del gruppo della stirpe dei Comneni. All’estero, il massacro dei Latini che accompagnò la sua salita al potere, l’esodo dei nobili rifugiati dal suo regno di terrore verso le corti straniere, la sua alleanza con il Saladino ed il suo assassinio del giovane Alessio II, tutto servì a distruggere la rete di buone relazioni che Manuele aveva coltivato con tanta attenzione e tanta spesa. Quando Andronico venne rovesciato era troppo tardi per riparare al danno; l’istituto della dipendenza all’Imperatore era stato infranto, ed Isacco II Angelo non era l’uomo per riportare lo stile di governo di Manuele.
Si può pensare che c’erano falle fatali in un sistema e in un insieme di azioni che dipendevano dall’azione equilibrata d’un uomo solo, ma le falle erano in larga misura proprie all’istituzione della monarchia stessa, ed erano presenti in differente misura nelle vicine monarchie del Regno di Sicilia, dell’impero degli Hohenstaufen e del Regno di Gerusalemme. Probabilmente è fantasioso proporre che queste politiche erano tutte variazioni su uno stesso tema, e che necessitavano del loro difficile equilibrio per sostenersi a vicenda, come le potenze europee che entrarono in guerra nel 1914. Ma è un fatto che le tre monarchie in questione erano, al pari dell’impero dei Comneni, creazioni del XII secolo, e che dopo il declino dell’Impero essi rapidamente ne seguirono l’esempio. Non è certamente una mera coincidenza che il primo Regno latino di Gerusalemme, il risultato dell’appello di Alessio I a papa Urbano II, sopravvisse per soli sette anni alla morte di Manuele.
Non c’è dubbio che ci sia una massa di connessioni tra la politica di Manuele e gli eventi che condussero alla diversione della quarta Crociata ed all’incapacità dell’Impero a respingere le forze crociate o a mandarle per la propria strada in pace. Manuele aveva la responsabilità d’aver creato le attese con cui i crociati di Francia, Monferrato e Venezia salparono per Costantinopoli nel 1203, e la sua amministrazione giocò una parte nella creazione delle tensioni centrifughe che, a quel tempo, facevano sì che le province sfuggissero al controllo centrale. In un certo senso, egli aveva fatto troppo bene il suo lavoro. I crociati furono deviati a Costantinopoli perché la maggioranza dei crociati era convinta che il giovane pretendente Alessio, figlio di Isacco II,  fosse davvero il legittimo erede al trono di Costantinopoli, e che, non appena intronizzato, egli sarebbe stato in grado di ottemperare alle sue promesse di fornire denaro e truppe, e di condurre Costantinopoli all’obbedienza a Roma. Questa fiducia non corrispondeva alla realtà contemporanea dell’Impero bizantino successivo al 1200, ma corrispondeva alla memoria dell’impero di Manuele Comneno, quando il figlio succedeva al padre sul trono, denaro si riversava nelle casse degli stati crociati e l’Imperatore si spingeva verso la cooperazione con il papa. Innocenzo III disse ad Alessio III che era necessario che egli imitasse “il tuo eminente predecessore di illustre memoria, l’Imperatore Manuele… devoto alla Sede apostolica tanto in parole quanto in opere”, ed infatti Manuele fu l’ultimo Imperatore che si meritò il supporto papale per l’aver lavorato “per l’unità della Chiesa e per l’aiuto della terra di Gerusalemme”.
La disintegrazione territoriale dell’Impero di Manuele portò come conseguenza la secessione di aree che erano etnicamente separate (Serbia, Bulgaria, Cilicia armena), o geograficamente parzialmente distaccate (Cipro, Attalia, Trebisonda). Ma provocò anche l’affermazione di signorie locali più vicine al cuore greco dell’Impero, basate sulle città di Filadelfia, Monemvasia e Nauplio-Argo-Corinto. I signori in questioni erano indubbiamente aiutati dalla geografia –Teodoro Mancafa dalla prossimità di Filadelfia alla frontiera turca, Leone Sguro nell’Argolide e Leone Camareto a Monemvasia dal relativo isolamento del Peloponneso. Ma ciò che quelle aree avevano in comune era il loro ruolo chiave nel sistema difensivo comneno. Filadelfia, la capitale del thema Thrakesion, era la chiave della difesa della sezione centrale della frontiera orientale. L’ orion * di Corinto-Nauplio.Argo e la privilegiata città marittima di Monemvasia avrebbero dovuto contribuire massicciamente alla grande marina di Manuele, ed i locali magnati coinvolti sarebbero stati favoriti dalla elezione di uno di loro, Teodoro Mavrozome, a “primo ministro”, negli ultimi anni di Manuele. E’ perciò plausibile suggerire che questi tre “dinasti” greci basassero il loro potere sulla loro importanza all’interno della locale struttura di comando militare. E’ rimarchevole che nessuno di loro emerse in regioni con estesi dominî appartenenti ai grandi oikoi di Costantinopoli. Lo stesso si può dire di un altro magnate provinciale (Tarona?) che tenne il potere nella Tessaglia occidentale, che sembra essere stato una terra di reclutamento per la cavalleria Valacca. Le principali regioni continentali dell’Impero in Europa dove i proprietari terrieri “della Corona” dominavano, restarono fedeli a Costantinopoli, o quantomeno a signori le cui ambizioni erano dirette al centro.
La disintegrazione territoriale dell’Impero fu, perciò, il decadimento dell’altamente centralizzata organizzazione governativa dei Comneni; ancora, a dispetto di questa disintegrazione, Costantinopoli mantenne il controllo di quelle aree territoriali provinciali europee –Tracia, Macedonia, Tessaglia ed Epiro- dalle quali il sistema comneno aveva tratto le sue maggiori risorse. Questo fatto è attestato nel XIV secolo dal Cantacuzeno quando egli giustifica la riconquista imperiale del “Despotato” d’Epiro proclamando che la dinastia regnante, gli Angeli, avevano governato grazie a licenza annuale dell’Imperatore di Costantinopoli. Evidentemente con ciò il Cantacuzeno voleva dire che il fondatore del “Despotato” era stato insediato in Epiro come suo dux su base annuale.
Perciò il governo di Alessio III dominava su una solida base territoriale che, forse, avrebbe potuta essere usata per recuperare le terre perdute dopo il 1202, quando ebbe finalmente stabilizzato la sua condizione interna. Fu la quarta Crociata a rendere vana qualunque possibilità del genere, ed è perciò giusto concludere che la più seria debolezza dell’Impero dopo la morte di Manuele fu la divergenza che emerse tra le attese occidentali e la compiacenza di Bisanzio o la sua abilità nell’esaudirle. Il prezzo che Manuele aveva pagato per chiudere questa divergenza era stato alto, ma era stato molto meno costoso del danno fatto nel 1204.
In una celebre invettiva contro i Latini Coniata esclamò: “… Infatti la terra che è giunta a noi perché la abitassimo e la mettessimo a frutto è paragonabile ad un Paradiso tra i maledettissimi Latini, e dal momento che bramano le nostre buone cose essi sempre pensano male della nostra razza e fanno sempre piani malvagi”.
Questa nota racchiude il complesso d’emozioni sentite dall’educato bizantino che contemplava il collasso dell’Impero dei Comneni. Abbiamo conosciuto bene l’amarezza e l’orgoglio, ma non dovremmo trascurare la delusione, delusione che la tradizione romana e la cultura ellenica in definitiva contavano così poco agli occhi dei falsi amici che l’Imperatore dal nome divino aveva invitato nel suo paradiso. Erano le attese create da entrambe le parti che avevano reso così grande l’odio, ed il paradiso così impossibile da recuperare. Ciò che non dobbiamo dimenticare è che poiché il paradiso era stato perduto, esso in qualche modo era esistito.

a cura di : SERGIO BERRUTI

Trad. da: Magdalino PThe Empire of Manuel I Komnenos, Cambridge  University Press, pp 489 sgg.

*provincia marittima dell’Impero

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Di Nicola

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