La battaglia di Tagina (Romanzo)

Questo articolo è arrivato secondo al premio Philobiblon (Associazione Italia Medievale) nel 2009. Ne vado particolarmente fiero perché è la prima volta che viene utilizzato un sistema di narrazione interpretativa (come fece in maniera eccelsa Barrico con l’Illiade) di una fonte primaria bizantina: “La Guerra Gotica” di Procopio.
Ringrazio l’amico e Presidente Maurizio Calì per avermi dato il permesso di pubblicare l’articolo su questo portale e Chiara Chinellato che, al tempo, mi aiutò con la correzione delle bozze.

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La battaglia di Tagina

 Il giorno prima…

Italia. È una calda notte presso Tagina. La luna con il suo debole bagliore illumina l’accampamento romano. È tardi, i turni di guardia sono stati istituiti, il controllo è massimo, i Goti sono nelle vicinanze. Nulla può essere lasciato al caso. Al centro di questa selva di piccole e grandi tende da campo, si erge la più lussuosa, quella di Narsete. La luce fuoriesce dall’ampio ingresso, controllato da due guardie. L’olio arde crepitando all’interno della lampada e le sottili fiammelle illuminano la figura di un uomo seduto su di una sedia. La sua pelle è scura, i suoi capelli sono tagliati alla moda di Costantinopoli e il suo fisico imponente è appena segnato da una vita agiata. Indossa una lunga tunica bianchissima orlata solamente all’estremità da piccoli motivi di color sanguigno. Una croce d’oro è appesa al robusto collo e l’armatura, poco distante da lui, riflette il rosso del fuoco.

Narsete

“Maledetti barbari, sono anni che combattiamo questa guerra. Eppure dovrebbero capire che la forza dell’Impero dei Romani è illimitata. Si ostinano a resistere alle nostre truppe da ormai quasi vent’anni. Dovrò decidermi a colpire in maniera definitiva; distruggerli! Mozzare loro la testa, come si fa con un serpente, così che anche il corpo non abbia più volontà di esistere. Quel maledetto Totila; si fa chiamare l’immortale, ma non è altro che un vigliacco, uno che fugge ed evita la battaglia in campo aperto. Per questo motivo è ancora in vita. Altro che immortale! Sarei pure io immortale se rimanessi a corte a banchettare e a discutere di teologia con l’Imperatore e il suo seguito. Ma Dio ha altri piani per me, mi vuole generale, ed è per questo che combatto, sia fatta la sua volontà!

Se mi vedesse ora mio padre non crederebbe ai suoi occhi. Io Narsete, Magister Militum Autokrator, il più potente generale dell’Impero dei Romani, sto per riconquistare definitivamente l’Italia. Egli aveva scelto per me un’altra vita, mi voleva cortigiano; è per questo che mi fece evirare in tenerissima età. Eppure, anche se l’ho detestato per tutta la vita, adesso lo dovrei ringraziare, perché è grazie alla mia condizione di eunuco che posso godere di così ampie libertà. La mia maledetta realtà mutilata viene vista come un freno alle mie ambizioni. È chiaro, non è mai esistito un Imperatore dei Romani senza gli attributi che possano generare prole per il futuro dell’Impero. E così eccomi, un involucro di uomo potente, ma con una realtà umana nulla… ma lasciamo stare i cattivi pensieri, domani sarà un grande giorno.

Stanerò Totila, lo costringerò a combattere in campo aperto; la mia fanteria così avrà mano libera su quella marmaglia. Domani il sangue barbaro scorrerà su queste colline. Mai un luogo fu più profetico! Gli antichi lo chiamavano Busta Gallorum proprio perché su questa terra le armate dei senatori romani fecero strage di Galli.

Dio proteggerà i nostri corpi, guiderà le nostre armi, scaglierà le nostre frecce; affinché gli eretici Goti siano definitivamente sconfitti.”

Totila

“Perché non sono ancora arrivati i rinforzi che avevo chiesto?” chiedo al mio attendente, senza ottenere alcuna risposta. Sono nervoso questa sera, io Totila, re dei Goti. Domani sarò costretto ad affrontare l’esercito romano al gran completo senza la cavalleria che aspettavo da giorni. “Maledizione! Domani i Romani faranno di tutto per venire allo scontro con noi. Però non glielo permetterò. Ho molti uomini e cavalli veloci, vedrò di architettare qualcosa prima della battaglia così da guadagnare tempo, spero solamente che i miei cavalieri possano arrivare giusto prima dello scontro” penso tra me e me. Mi tocco la barba con la mano destra, mentre istintivamente con la sinistra accarezzo il freddo metallo che compone il pomello della mia spada. Chiamo Scipuar, che accorre subito. “Domani è un gran giorno amico mio, vinceremo i Romani e li cacceremo dalla nostra terra per sempre. Dovremo però creare un po’ di confusione e tu dovrai darmi una mano.” Scipuar annuisce e sparisce poco dopo.

Dall’accampamento romano parte un drappello di uomini a cavallo, tutti nobilmente vestiti e sfarzosamente ingioiellati. Assieme a loro è inviato anche un attendente di Narsete; le insegne dell’Autokrator e quelle dell’Impero garriscono così al vento, fino all’arrivo al campo dei Goti, dove vengono ricevuti immediatamente da Totila.

Totila

“Cosa vorranno questi Romani, proporci una tregua?” penso, quasi facendomi scappare un sorriso. Vedo i quattro nobili scendere dalle loro cavalcatura e uno di loro, forse il capo, mi pone un rotolo di papiro con notizie da parte di Narsete. “Il generale ci crede degli stolti” penso. La mia rabbia mi fa ribollire il sangue, ma infine sibilo “Ebbene nobil uomo, stabilisci un tempo determinato pel conflitto”. E il capo delle delegazione mi risponde che attenderanno otto giorni. Così dicono, e li vedo sparire subito dopo. “Poveri stolti. Vediamo se sono all’altezza dei nostri guerrieri Goti. Li attaccherò domani, così da prenderli di sorpresa”, e urlo gli ordini a tutti i miei sottoposti, affinché si preparino per la guerra.

Narsete

“Non voglio essere disturbato mentre sto pregando!” urlo, scocciato. Appena finisco esco dalla tenda, e le guardie mi fanno il saluto. “Bene, qual è la risposta da parte dei barbari?”, e guardo mio cugino ancora impolverato dalla lunga cavalcata. Accettano quello che hai proposto, aspetteranno otto giorni, come hai saggiamente richiesto, caro cugino” mi dice. “Bene, attaccheremo domani, e se quello sprovveduto di Totila crede di poterci colpire di sorpresa si sbaglia di grosso. Mandate a chiamare Paolo”

Paolo

“Accidenti, chi mi disturba a quest’ora della notte?” Vedo un messaggero di Narsete. Lascio immediatamente la mia branda e mi vesto velocemente. “Chissà cosa vorrà il generalissimo a quest’ora, e poi cosa vorrà da me, che sono solo un povero soldato. Forse ho infranto qualche regola, forse mi sono comportato male in qualche frangente. Accidenti alla mia memoria!” penso, ma non mi viene in mente proprio nulla.

Mentre cammino verso la tenda del generale, penso continuamente al motivo per il quale Narsete mi vuole al suo cospetto, e la mia mente viaggia e scandaglia ogni possibile azione compiuta in questi giorni. Nulla, non riesco a pensare a cosa sia accaduto. Arrivo finalmente davanti alla tenda, e con una fortissima emozione entro. Vedo Narsete, vestito con la sua tunica bianca. Faccio subito il saluto e il generale contraccambia. “Mi ha fatto chiamare, generale?”

Ascolto il lungo discorso di Narsete. Devo guidare un gruppo composto da 50 soldati con il compito di conquistare un piccolo tumulo, vicino al campo nemico. Ascolto, acconsento e parto subito. “A cosa servirà presidiare quel cumulo di sassi? E poi, mentre i miei commilitoni combatteranno, io sarò a fare la guardia all’erba e al vento..”, impreco più volte. Poi arrivo alla mia tenda, indosso l’armatura e sveglio l’amico Ausila. “Dai svegliati, notizie dal capo, partiamo subito. Dobbiamo conquistare un tumulo di sassi questa notte e dobbiamo mantenerlo a qualsiasi costo. Narsete mi ha dato il comando di 50 uomini”. Mentre il mio compagno inizia a prepararsi, la mia mente continua a divagare e a chiedersi il perché di tale strano ordine: “Non ne capisco davvero il motivo. Io che volevo essere in prima linea ad uccidere quei barbari, a tagliar loro testa e gambe e a farne gran strage, ora sono ridotto a fare da custode all’erba”. Impreco ancora una volta. Sono davvero nervoso, perché non comprendo quell’ordine. “Dai sbrigati, ti aspetto fuori, dobbiamo partire subito, gli altri sono stati già avvisati”. Aspetto così il gruppo e lo guido come mi era stato ordinato. Giungiamo fino al cumulo vicino al campo nemico. E lì aspetto l’alba.

Il giorno della battaglia…

L’esercito goto e quello romano si trovano ben presto uno di fronte l’altro, non più distanti di due tiri d’arco. Nessuno dei capi ha creduto alla parola dell’avversario, e muovono subito guerra.

Paolo

“Maledetti porci, sono già così vicini!” Vedo l’esercito goto vicino alla nostra posizione, solamente un piccolo fiume ci divide. A un tratto un battaglione di cavalieri arriva verso di noi a gran velocità, allungando le lance per colpirci. “In formazione! Schieratevi, arrivano!” urlo con tutta l’aria che ho in corpo. I miei soldati seguono perfettamente i miei ordini e anch’io serro lo scudo formando così una barriera. “Usate le lance! Colpite! Ora!!!” L’impeto dei cavalli mi investe, ma tengo duro. I miei muscoli si irrigidiscono per  l’impatto, poi mi la mia mente si muove rapidamente pensando così a una nuova strategia, e utilizzo una tecnica già usata in altre battaglie con ottimi esiti. “Appena i cavalieri si allontanano, colpite il vostro scudo, fate più rumore possibile!!” Il rumore crea non pochi problemi ai cavalli che, nitrendo, disarcionano diversi cavalieri. Li finiamo subito dopo, e vibrando le nostre aste facciamo strage di nemici. Quelli tornano subito dopo, ancora più baldanzosi, ma fanno la stessa fine. Così per ben tre volte. Ne arrivano altri, ma il mio gruppo di soldati riesce a ricacciare il nemico ogni volta. Poi, preso dall’impeto della battaglia, lascio la mia daga a terra e prendo l’arco per colpire i nemici in fuga. Così fa pure il mio amico d’infanzia Ausila. In poco tempo siamo seguiti da altri; e così, dopo aver scacciato i barbari, ne uccidiamo altri in gran quantità. “Venite, se ne avete il coraggio, qui troverete Romani che non hanno paura dei barbari!” urlo, ormai preso dall’esaltazione della battaglia e dell’odore del sangue che mi inebria le narici. Tornano nuovamente, più forti che mai, come se avessero udito le mie concitate grida. Così rimango fermo proteggendomi con lo scudo, mentre con la daga taglio di netto le lance che tentavano invano di colpirmi, tranciandone molte e rendendole inutilizzabili altre. Finché, colpendo una grossa lancia, la mia daga si spezza; sono costretto così a lanciarmi verso la prima asta che mi si para davanti e, a mani nude, l’agguanto per utilizzarla a mio piacere. Mi muovo velocemente e utilizzo la lancia al meglio. Lo faccio per quattro volte, finché quei maledetti barbari prendono la via della fuga. Alla fine della battaglia mi è chiaro il disegno del generalissimo: quel tumolo è diventato l’epicentro dello scontro.

Narsete

Vedo la mia armatura. La più bella, creata dalle capaci mani del miglior fabbro di Costantinopoli. I miei inservienti mi aiutano a vestirmi di freddo metallo, mi portano il grande scudo con le iniziali del Salvatore, mi portano la spada lunga e il mio grande elmo con le piume di pavone. Sono pronto per il gran giorno e, come avevo previsto, Totila lo è altrettanto. Non ha mantenuto la parola, come pensavo; l’esercito goto è lì che attacca il gruppo di Paolo, speranzoso di guadagnare quell’avamposto, all’apparenza così insignificante, ma invece così strategico. Ora salgo sul mio cavallo così da ergermi maestoso tra le fila del mio esercito e affinché tutti mi possano vedere e sentire: “Valenti uomini! Se l’esercito nemico fosse anche minimamente paragonabile al nostro, vi esalterei con frasi ed esortazioni degni del miglior generale romano. Ma, così non è. I Goti che affronteremo oggi sono inferiori a noi, sotto ogni punto di vista. Quindi non posso che mettervi col favore di Dio in questa pugna. Imploriamo l’aiuto divino contro questa feccia, composta da ladroni che, prima schiavi dell’Imperatore, ebbero la baldanza di eleggere un tiranno che creò non pochi problemi all’Impero. Essi sono temerari, perché vogliono scontrarsi con noi, anche se sanno di perire sotto il nostro ferro. Voi qui siete i rappresentanti di un legittimo governo, mentre costoro recalcitrano contro le nostre leggi e sono figli di un tiranno. Quindi meritano di essere uccisi, poiché ogni virtù vien meno a coloro che non sono retti da legge e da buon governo, e da essi rimane naturalmente lontana la vittoria, che non è solita tener via opposta a quella della virtù!”. Appena l’ultima frase sgorga dalla mia gola, l’intero esercito d’Italia, sotto la mia arringa, esplode in un tripudio di felicità. Si! Siamo i rappresentanti dell’Impero Romano, i portatori sani di ideali e delle virtù! Con l’aiuto di Dio, scacceremo i barbari e riporteremo le leggi dell’Impero nuovamente sul suolo italico. Mi metto l’elmo e mi muovo con il mio cavallo bianco, mentre dò ordini di prepararsi alla battaglia.

Totila

“Come pensavo, Narsete non ha rispettato la sua stessa parola. Ha già fatto proteggere quel tumulo e ha messo alla testa del gruppo dei difensori, due valenti guerrieri. I miei prodi cavalieri, anche se caparbi e abili nell’arte della guerra, non sono riusciti a conquistarlo; ora dovrò decidere come agire”. Entro nuovamente nella tenda, indosso la mia splendida armatura dorata, quella che da generazioni è destinata al capo del nostro popolo, ed esco. Chiamo il mio esercito all’adunata, così da poterlo arringare con tutta la forza che ho in corpo. Dobbiamo vincere questa battaglia a tutti i costi. “Vi ho raccolto qui, o miei commilitoni, perché oggi sarà deciso il nostro destino. Non ci saranno più battaglie, più guerre, ma solamente pace dopo questa vittoria. Sia loro che noi siamo fiaccati da anni di guerra, quindi chi vincerà questa pugna sarà il vincitore definitivo. Fate dunque ogni sforzo per agire da prodi, esponetevi da forti a ogni durezza, delle armi e dei cavalli non fate economia, perché mai più potranno servirvi. Siate quindi animosi e pronti all’ardire, poiché coloro la cui speranza, come ora per noi, sta sul fil d’un capello, non conviene esitino neppure un istante. Dovete scegliere opportunamente i momenti propizi per lo scontro, perché possiate anche valervi del bene che ne può venire. E ricordatevi che nulla è più ignominioso e pericoloso della fuga! Perché oltre a rischiare la vostra vita, mettete in serio pericolo quella degli altri! Quindi combattete e non preoccupatevi per il numero dei nemici. Essi sono formati da una moltitudini di razze eterogenee, che provengono da ogni parte dell’Impero. Non hanno alcuna fedeltà, ma seguono le tradizioni delle loro stirpi. Non penserete che Eruli, Unni, Longobardi, comprati al soldo dell’Imperatore, possano cimentarsi fino alla morte? Quando la battaglia arriderà alle nostre fila, saranno i primi a scappare, perché la vita è più importante del denaro. Tanto tenendo in mente, con tutto l’animo marciamo uniti contro i nemici!” urlo, scandendo l’ultima frase, e tutto l’esercito goto alza le lance e inizia a intonare canti di battaglia, arringato dalle mie parole di guerra.

Valeriano

Ecco, di nuovo la battaglia. Non riesco più a sopportare il fetore della morte. L’odore acre del sangue mescolato al sudore, agli escrementi dei cavalli e a quelli degli uomini. Eppure sono un generale; questa guerra è ahimè troppo lunga, troppo logorante e io non sono più giovane e baldanzoso come un tempo. Il mio spirito è logorato dalla cupa e triste nebbia che porta la guerra. Morte e distruzione sono le due compagne con le quali mi confronto ogni giorno. Non riesco più a contare i giorni trascorsi senza vedere la mia famiglia, i miei figli, la mia dolce moglie. Si, è vero sono fortunato, guido l’ala destra dello schieramento, l’armata dei Romani. Eppure spero, con tutto il cuore e con l’aiuto di Dio, che questa sia l’ultima volta che combattiamo. Come mi manca la mia casa, l’odore del pane, del vino, dei dolci al miele e dei fichi… E come mi manca Costantinopoli, la città delle Città. Il camminare nella Mesè, i bagni caldi, il felice rumore del foro di Costantino… Accidenti, grazie Dio di avermi salvato la vita ancora una volta. Devo smetterla di pensare e devo agire, ho rischiato di farmi uccidere da quella freccia… “Romani, pronti allo scontro!!”

Totila

“Ecco il giorno della verità, popoli dei Goti, l’ora è giunta” grido, mentre continuo a percorrere le fila delle mie truppe correndo sul mio cavallo.

Narsete

“Romani, pronti per la battaglia! E ricordatevi, voi siete gli eletti che combattono per l’Impero legittimo, quelli invece sono feccia barbara, comandanti da un tiranno!” grido come ultimo avviso, levo in alto le aste e mostro loro braccialetti, monili e freni d’oro. Così se almeno non crederanno alle mie parole, crederanno all’oro.

Coca

“Arrhhhh!”, urlo con tutto il fiato che ho in gola, e mi lancio contro l’intero esercito romano spronando a sangue il mio cavallo. Vado contro la mia stessa stirpe, sangue del mio sangue, che avevo ormai rinnegato da molto tempo. Certe scelte si fanno nella vita, anche se a volte è il destino che prende il soppravvento su di te. L’importante è non guardarsi più indietro, il passato è passato. C’è solo il futuro che mi aspetta, sperando che sia glorioso, e che sia dannatamente ricco. Il mio cavallo corre velocissimo, spronato dai miei talloni piantati nel suo ventre. Sto per raggiungere quegli scudi ovali maledetti, quando mi si pone di fronte un soldato.

Anzala

“Vedo che sei temerario, sporco traditore!”, gli dico sputando per terra. “Assaggerai il ferro della mia lama e poi morirai da verme, come tutti i traditori!”. Non riesco neppure a finire la frase che mi piomba addosso con la lancia, con l’intento di colpire il ventre del mio cavallo. Sposto di scatto la mia cavalcatura, proteggendola così dal colpo mortale, e allo stesso tempo, sbilanciando quel traditore. Scopro così il lato libero di quel bastardo e lo trapasso con freddezza. La mia lancia squarcia l’armatura leggera e lo passa da parte a parte. Il sangue sgorga scuro, e così pure la sua vita. Gli occhi si spengono ed egli precipita da cavallo. Odo, mentre le orecchie mi ronzano ancora per l’eccitazione e per la paura, un grandissimo fermento di gioia provenire dall’esercito romano, che mi proclama come un vero eroe. I Goti invece rimangono ammutoliti. Tutti, tranne Totila l’Immortale! Galoppa verso di me, indossando un’armatura laminata d’oro e tutta ornata, dal berretto alla lancia, di bendoni e pendagli e di porpora. Quei segni che ha sono i segni della regalità, almeno così credo. Non conosco le usanze barbare, ma il colore purpureo è di proprietà dell’Imperatore, nell’Impero dei Romani.

Poi lo vedo volteggiare con una maestria degna di un vero atleta sul suo bellissimo cavallo. Lancia in aria la sua lancia per poi riprenderla, la passa tra la mano destra e quella sinistra, orgoglioso della sua bravura. Si mette supino, per poi spostarsi da un lato e dall’altro del cavallo. Rimango esterrefatto di questo gesto atletico, degno dei più grandi campioni olimpionici degli antichi pagani. Vedo quell’uomo, che corre con il suo cavallo davanti a una moltitudine di armati, con la sua forza ginnica espansa al massimo. Capisco che questo è l’ultimo ballo, l’ultima grande fiammata di un re barbaro, consapevole che la sua fine giungerà presto. E l’oro che indossa luccicava e risplende alla luce calda del sole. Mentre sono ancora estasiato da tale bellezza e bravura, vengo richiamato da Narsete e torno tra le mie fila.

Grazie alla danza, il re goto guadagna tempo prezioso. I due eserciti dopo i primi scontri sembrano studiarsi, la situazione è in stallo, nessuno dei due eroi comandanti vuole passare all’azione…

Narsete

“Ottimo lavoro Anzala, il nostro popolo dovrebbe essere felice di dare così tanti gaudenti figli all’Impero di Giustiniano. L’Armenia è un grande paese. Complimenti ancora!” e lo saluto. È stato davvero bravo, con un sol colpo ha trafitto quel pazzo di Coca che si è avventurato da solo contro l’intero esercito dei Romani! Che fosse attanagliato dai sensi di colpa? Non ci penso poi molto, alla fine abbiamo iniziato bene lo scontro. Dopo aver conquistato quella posizione strategica, abbiamo pure vinto il primo scontro tra gli eroi.

È già l’ora del pranzo, ma non mi fido di Totila, per me quel gesto è servito solamente per tergiversare. Sta sicuramente aspettando rinforzi. “Non toglietevi le armature e nessuno, dico nessuno, approfitti della relativa calma per risposarsi. Mangeremo vestiti da soldato, così che se quei maledetti attaccheranno, troveranno i Romani pronti per la battaglia”. E così fanno tutti. Mi siedo sulla mia sedia e mangio anch’io, assieme a Giovanni, Valeriano, Anzala, Paolo e tutti i miei più stretti collaboratori. Finito il frugale banchetto, ritorniamo in formazione. Dispiego l’esercito intero, che conta più di 30mila anime, in formazione a mezzaluna, così da poter schierare gli arcieri ai lati. Sistemo i Longobardi e gli Eruli al centro, dopo averli precedentemente fatti scendere da cavallo. Lo so che vivono sulle loro bestie, ma non vorrei che la paura fosse preferita all’oro romano; che provino a scappare, quei cani! La ricchezza e i gioielli attraggono quella gente come api sul miele, ma per quanto riguarda la fedeltà, valgono meno delle prostitute del porto di Costantinopoli! Sull’ala sinistra invece rimarrò io, assieme al mio fido Giovanni e alle mie migliori truppe, così da poter controllare meglio la situazione. Mi posizionerò proprio sul quel tumulo che i miei uomini hanno così fieramente difeso. Sulla parte destra metterò Valeriano, un valente generale. Mi preoccupa un po’. Lo vedo serio e triste, ma come biasimarlo, ha famiglia, ha qualcuno che lo aspetta quando tutto questo sarà finito. Vinceremo anche per lui, allora.

L’esercito romano si dispone a mezzaluna sotto l’abile guida di Narsete. Lo stesso generale prende posizione sul tumulo, così da avere una posizione strategica invidiabile e da non essere attaccato alle spalle.

Asbade

Odo il corno e le urla concitate di guerra. E poi come un terremoto di montagna, ecco che l’intera cavalleria gota si precipita contro la prima linea romana. Ma sono pazzi quei Goti? Perché hanno solo le lance? E le spade e gli archi? Cosa pensano di fare? Vincere sbaragliando la prima linea formata da lancieri longobardi? Poveri pazzi, noi Gepidi conosciamo bene quella razza, sono di una ferocia unica!

Valeriano

Ecco che arrivano. “Arcieri, scoccare!!!” Un nugolo di frecce parte dalle retrovie e dai lati, dove si trovano tutti gli arcieri. Narsete mi ha confidato di averne schierati su tutta la linea, nel numero di 8mila. Infatti, ecco che stramazzano al suolo. “Arcieri, scoccare!!!”, e un’altra nuvola di frecce parte, togliendo vite, trapassando scudi, armature ed elmi. Gran parte della prima carica della fanteria e della cavalleria nemica è già un brutto ricordo. “Arcieri scoccare!!!”, il comando si propaga nuovamente in fretta e il cielo torna ad oscurarsi dalla frecce romane. Se continuano così questi pazzi di Goti, finiranno per farsi distruggere.

La carica gota sulla prima linea romana pare non abbia alcun effetto. Scipuar, amico e sottoposto di Totila, sprona i suoi affinché continuino a combattere, non ottenendo però esisto positivo. Il re goto sperava forse in una rapida rotta da parte dei Longobardi, che invece mantengono la loro posizione e combattono degnamente a fianco di Eruli e Romani.

Scipuar

            “Avanti, soldati, combattete!” urlo, mentre nella bolgia della prima linea la mia lama saetta veloce e toglie vite. Il sangue zampilla ovunque, la mia armatura ne è ricoperta. L’odore è insopportabile. Il mio braccio destro stanco, ma ancora forte, continua a colpire i corpi dei nemici, che muoiono sotto il mio cavallo. Accidenti, sono quasi tutti Longobardi, ma non scappano e neppure indietreggiano. Eppure la nostra carica dovrebbe averli messi in seria difficoltà. Mi giro, ma vedo che la prima linea romana era pressoché intatta, mentre la nostra fanteria poco aiutata dalla cavalleria, sta subendo perdite enormi. “Cosa, fate, combattete!! Non scappate, non vi è altro che morte e schiavitù, sotto i Romani! Rimanete a combattere!” La situazione ormai sembra irrimediabilmente compromessa. Molti contingenti si sono dati alla fuga, incalzati dai Romani. Corro con il cavallo con l’intento di recuperane qualcuno e così riesco a riportare un po’ di speranza in quegli occhi disperati e stanchi. Proviamo nuovamente a colpire la prima linea, ma dai lati piovono frecce lasciandoci pochissimo spazio di manovra. Ma cosa succede, cosa fanno le due ali dell’esercito romano…?

Valeriano

“In marcia, uomini, ora è il vostro turno! Fanteria muoversi!” La mossa a tenaglia. Funziona spesso con questi barbari, soprattutto quando hanno la superbia di affrontarci in campo aperto. I miei uomini, freschi e riposati, hanno la meglio sui stanchi Goti; ne fanno gran strage.

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La morte di Totila, l’Immortale…

Totila

“Maledetti Romani, come hanno comprato quei Longobardi. E poi Narsete, accidenti! Se avessi conquistato quella collina, sarei riuscito ad aggirare l’esercito romano”. Sento un forte colpo sullo scudo, e di risposta colpisco il corpo che mi aveva colpito, togliendogli subito la vita. Uccido molti Romani, la mia spada non mi ha tradito e fa egregiamente il suo triste lavoro. Dò subito ordine di far giungere la seconda linea, ma non credo ai miei occhi. La ritirata è ormai una rotta, i miei uomini scappano come impazziti e senza alcun ordine si fanno calpestare dalla cavalleria. “Idioti, cosa fate? Combattete!” Sento urlare il mio nome, è Scipuar che corre a gran velocità verso di me.

Scipuar

“Comandante, gli uomini sono terrorizzati, scappano come se fossero seguiti da spettri, non so cosa succeda, ma abbiamo perso la battaglia, la prego comandante, si metta in salvo. Torneremo, come abbiamo sempre fatto, e vinceremo contro i Romani. Ma ora è impossibile fare altro, ho qui con me i miei uomini, quelli che mi sono rimasti…” Guardo gli ultimi cinque cavalieri, ammutoliti e con il terrore sul viso sporco di sangue. “Totila, re dei Goti, mi segua, subito, altrimenti morirà per mano romana!”. Guardo negli occhi sconsolati del re, ma vedo solo miseria. “Andiamo!!” prendo le redini del suo cavallo e lo costringo alla fuga. Il re, mentre sta cavalcando, è cupo in volto e silenzioso. Ormai si è fatto buio. Siamo solamente noi cinque cavalieri, il re e il suo giovanissimo attendente, l’unico rimasto in vita. Dobbiamo correre più veloce possibile visto che ci stanno inseguendo.

Asbade

         “Forza, dai, che li prendiamo!” Colpisco con i talloni il mio cavallo che corre subito all’inseguimento di quel piccolo gruppo di Goti in fuga. “Ecco, sono a portata di tiro”. Prendo la lancia e sto per colpire, quando il giovane Goto si gira verso di me e mi urla: “E come, o cane, ti avventi tu così a ferire il tuo signore?” Quello stupido bamboccio mi ha scambiato per uno di loro! Così capisco che quel cavaliere di spalle è Totila, re dei Goti. Se lo uccido riceverò sicuramente un’ottima ricompensa da Narsete, è un’occasione davvero unica! Scaglio così, con tutta la mia forza, la lancia, e colpisco il re, ma non mi sono accorto che nello stesso istante quell’altro Goto mi ha piantato una lancia sul piede, costringendomi a terra con lui. Lo stramaledico, mentre Totila, ferito, continua a scappare. I soldati che sono giunti con me uccidono Scipuar tagliandogli di netto la testa e poi si arrestano per curarmi e per riportarmi all’accampamento. L’ho colpito però, e sono sicuro di averlo ucciso, quel maledetto re goto! Gli immortali sono altri, magari gli dei che abitano il gran monte! Ma non uno sporco Goto!” Mi faccio trasportare con il sorriso sulle labbra. La ricompensa arriverà di certo.

Totila

Vedo le trecce bionde di mia madre e il volto serio di mio padre. Tanti, tantissimi cavalli che corrono! E luce da ogni parte. Poi a un tratto, sento freddo e la luce svanisce di colpo. “Mio re”, mi sento chiamare, e avverto un dolore lancinante al costato. Non riesco a muovermi, ho freddo, penso di avere la febbre. Ho paura, le mie labbra sono secche e incrostate di sangue. Non riesco neppure a parlare. Vengo messo a terra. Pulito, lavato. Cercano di curarmi con delle erbe. Il mio giovane attendente mi segue con gli occhi sbarrati dalla tristezza. Io vedo, ma non posso fare altro. Poi, il buio. “Ecco”, penso, “è la fine della vita di Totila, re dei Goti, l’Immortale!” Invece mi risveglio, anche se la vita ormai sta scivolando via dal mio corpo. Lo sento, il male ormai si è impossessato di me e non riesco più a respirare, poi a un tratto la mia vista si annebbia. All’improvviso ritorna la luce, rivedo le trecce bionde di mia madre, una distesa, un prato verde dove corre una moltitudine di cavalli. Mio padre è al mio fianco: “Bravo figlio mio, sono fiero di te, hai combattuto come un vero re”.

autore: NICOLA BERGAMO

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Di Nicola

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