John Lascaratos†, MD(*), PhD(**), Constantine Tsiamis, MD, Gerassimos Lascaratos, MD  e Nicholas G. Stavrianeas, MD, PhD.

 Dipartimenti di Storia della medicina e Dermatologia, Facoltà di medicina, Università nazionale di Atene, Atene, Grecia.

Traduzione a cura di Emanuela Iolis

Bisanzio, la  naturale continuazione dell’impero romano, rappresentò il più importante polo politico, culturale e scientifico a partire dal 324, quando Costantino il Grande trasferì la capitale da Roma al Bosforo, fino al 1453, quanto cadde sotto il Turchi (1).

Nel nuovo impero romano d’Oriente, si stabilì un gruppo di medici talentuosi tra cui Oribasio di Pergamo, il più eminente (IV secolo), Ezio di Amida (VI secolo), Alessandro di Tralles (VI secolo) e Paolo di Egina (VII secolo). Questi uomini studiarono medicina ad Alessandria sulle orme della tradizione ippocratica, ellenica e romana, e poi  galenica, e arricchirono la scienza medica con la loro grande esperienza. Questa tradizione fu portata avanti da diversi medici illustri fino alla caduta  di Costantinopoli, tra gli altri ricordiamo Teofano (X secolo), Michele Psello (XI secolo), Giovanni Actuario (XIV secolo).

Un’analisi della conoscenza medica dei bizantini è di significativo interesse anche perché la maggior parte di loro, attraverso gli scritti che ci hanno lasciato, ha trasmesso le conoscenze degli antichi medici greci, le cui opere sono oggi andate perdute, con l’aggiunta della loro esperienza personale (2). I medici bizantini si cimentarono in special modo nel ramo della dermatologia, dedicando nei loro lavori lunghi capitoli alle varie malattie della pelle, come l’alopecia, l’herpes, la lebbra, il cancro della pelle, la forfora, la vitiligine e così via. Si dedicarono attivamente alla cosmesi, con particlare riguardo all’eliminazione delle rughe e dei peli sul mento, alla pulizia, al nutrimento e all’idratazione della pelle del volto, a coprire graffi e macchie e a colorare, conservare e infoltire i capelli e i peli delle sopracciglie,  e più  in generale a donare  un bell’aspetto al viso.

 

Sostanze usate per la caduta dei capelli.

Il testo di Oribasio contiene la descrizione di un interessante miscuglio per la restaurazione dei capelli perduti (3). Cera di candela, catrame e colla (lithocolla) venivano miscelati con una cannula metallica (mylotis), la cui estremità era fortemente riscaldata e con la quale si  prelevava una piccola quantità di composto ancora morbido per riattaccare i capelli. Per la caduta progressiva, lo stesso medico bizantino raccomandava molte preparazioni, per la maggior parte contenenti un’erba chiamata “adiantum” o “polytrichon” (capelvenere; polytrichon in greco significa folta capigliatura; forse anche per un richiamo etimologico alle sue proprietà omeopatiche) (4). Un’altra preparazione conteneva ladano (una resina aromatica del cisto cretese, già conosciuta da Teofrasto e ingrediente necessario della mirra fino ai nostri giorni) (5), vino, olio di mirto  e capelvenere. Era usato per impacco dopo il bagno. Altre preparazioni contenevano aloe, con vino rosso forte, o mirra e ladano nel vino, e olio di mirto; un’altra conteneva escrementi di capra arrostiti in olio in un guscio di conchiglia. Gli impacchi venivano applicati dopo aver rasato la pelle. L’autore suggeriva inoltre una varietà di preparazioni contenenti diverse sostanze vegetali e animali, tipo nocciole, olio delle lucerne, aceto, miele, pepe, escrementi secchi di pecora e topi, elleboro bianco, erisimo (erba dei cantanti), rucola, bile di toro o di capra, grasso di orso, canne e simili (4).

Anche Ezio raccomandava dei preparati per prevenire la perdita di capelli (5); questi contenevano ingredienti simili a quelli usati da Oribasio e specialmente il capelvenere. Suggeriva anche il ladano che ferma la caduta dei capelli perché neutralizza i liquidi dannosi che si depositano nelle radici,  grazie alle sue qualità astringenti ed essiccanti, così come una qualità di verbena (peristereon orthos) bollita nell’olio; tutte erano usate come impacchi sulla testa.

Alessadro di Tralles credeva che le cause della caduta dei capelli fossero numerose (mancanza di sostanze nutritive dei capelli, troppi o pochi pori) (6): suggeriva bagni e uno speciale regime dietetico, con proibizione del sale e cibo grasso, eccesso di vino o sesso. Inoltre prescriveva impacchi di varie erbe simili a quelle prescritte da Oribasio ed Ezio.

Paolo di Egina considerava la calvizie dovuta ad assenza di liquidi, esattamente come accade per le piante che seccano per mancanza di acqua e l’alopecia (un termine derivante da alopex, che in greco significa volpe, perché tali animali soffrono spesso di questa problema) dovute all’alterazione degli umori (7).  Per infoltire i capelli, specialmente in caso di calvizie, Paolo cita un medicamento dall’opera di Critone, questo contiene stomaco essiccato di lepre e di varie erbe (foglie apicali di mirto, rovo, capelvenere e acacia) tutto finemente spezzettato e filtrato, con aggiunta di grasso di orso o di foca.La mistura era conservata in contenitori di piombo e usata per impacchi. Per evitare la perdita dei capelli, consigliava impacchi di capelvenere, ladano, vino e olio di mirto o fiori di anemone pestati in olio di oliva. Questa preparazione nello stesso tempo scuriva i capelli. Un altro impacco  era composto da erba colombaia (una qualità di verbena – peristereon orthos), completa di radici, essiccata, triturata, setacciata e mischiata con olio di oliva. Questa mistura densa e vischiosa era tenuta  in contenitori di rame finché non diventava omogenea ed era pronta per l’uso. Gli stessi risultati si ottenevano massaggiando con un bagno di semi di altea officinale o con olio di oliva in cui questi semi erano immersi o bolliti.

Teofane Crisobalante (erroneamente conosciuto come Nonno), medico del dotto imperatore Costantino VII Porfirogeneto, inizia il  suo libro “Epitome”  con un capitolo intitolato “Sulla caduta dei capelli” (8). Egli segue le ricette dei medici Oribasio, Ezio e Alessandro, inoltre cita una preparazione dell’antico medico Archigene (I secolo A.D.) che consisteva di ladano e menta in uguale quantità. Un altro medicamento che era utilizzato come lozione sulla testa era preparato con dieci mele dell’albero di Giove, avvolte in panni e annaffiate  di  olio d’oliva per 5 giorni. L’autore conferma che i capelli cessavano di cadere e e la forfora scompariva.

Altri cosmetici per i capelli

Per infoltire e nello stesso tempo scurire i capelli, Paolo di Egina usava un preparazione che ci ricorda le tinture odierne che utilizzano gel (7).Il medico prescriveva di mettere  in un contenitore di vetro capelvenere, ruta di Alessandria, mirto, erba sabina, zucchine secche e  ladano, e spruzzare con acqua piovana per 20 giorni, la mistura era mescolata due volte al giorno con una spatola di legno. Per le applicazioni il pettine veniva immerso nel succo e i capelli, trattati ogni giorno, ne risultavano nutriti e scuriti. Lo stesso autore fa riferimento a sostanze per rendere i capelli più belli e tra le altre suggerisce una mistura di foglie di fico, corteccia di vite bianca selvatica, pietra pomice, gesso e gusci di conchiglia, tutto questo era messo in forno in una pentola sigillata con la creta. Il contenuto veniva poi sbriciolato con  aggiunta di schiuma di nitrato di sodio e sciolto con succo d’acini d’uva acerba. Per combattere la caduta dei capelli, il medico raccomandava inoltre impacchi di aloe con vino rosso secco o altre misture simili a quelle utilizzate da Oribasio.

Cosmetici per peli facciali.

Per le donne che avevano peli sul mento, Metrodora (VI secolo AD) utilizzava impacchi di un miscuglio di erba selvatica buphthalmum (occhio di bue in greco), feci di capra e nitrato di sodio in uguale quantità (9) (10). La  preparazione aveva risultati immediati, dopo ogni applicazione, “la donna deve rimanere immersa nell’acqua per un certo tempo e alla fine del bagno vedrà che i peli sono caduti e non ricresceranno più”. Metrodora confermava di aver usato con successo questo trattamento su se stessa.

Ezio scrisse un capitolo speciale intitolato: “Per l’abbellimento delle sopracciglie” che (11) inizia proprio con un impacco che infoltisce e scurisce le sopracciglie. Conteneva noci del Ponto (nocciole) che erano grattugiate in un contenitore di ceramica con grasso di capra. In particolare per la perdita delle sopracciglie, Ezio raccomandava impacchi di “fiori di finocchio” (nigella sativa)  bruciati mescolati ad acqua oppure una cospicua quantità di api bruciate immerse nell’olio d’oliva (5). Il medico era così sicuro dell’efficacia  della sua preparazione che raccomandava ai pazienti di non strofinarla sulla pelle, ma soltanto sulle sopracciglie. Inoltre suggeriva terra d’Armenia o un tipo di pietra polverizzata (da una montagna chiamata Baganana) da applicarsi sulle sopracciglie (5) (8). Ezio usava anche fumo chiuso in un contenitore di argilla posto su una lampada che funzionava a catrame liquido (11). Lo stesso autore scrisse un capitolo speciale su “A proposito della distruzione del pelo”, dove classificava le sostanze attive in tre categorie: per ridurre, rinforzare o eliminare i peli (11). Egli avvertiva che nell’ultimo caso i medicamenti dovevano essere utilizzati con cautela perché non solo le parti del corpo trattate avrebbero perso definitivamente i peli, ma anche la testa, la barba, le sopracciglie e le ciglia.

Il letterato bizantino, Niceforo Blemmyda (XIII secolo A.D.), sebbene non fosse medico, ma figlio di un medico,  scrisse opere di su tale argomento (12). Per prevenire la forfora e la perdita di capelli e sopracciglie, raccomandava alcune preparazioni per massaggiare le aree interessate. Per infoltire i capelli e le sopracciglie, utilizzava ladano bollito nel vino come shampoo o una preparazione a base di capelvenere, ladano e parti essiccate di zucchina, che era lasciata a macerare in acqua piovana al sole per diversi giorni, mescolando due volte al giorno. Per l’applicazione veniva un pettine immerso nella mistura e passato sulle aree interessate.

Tinture

Alessandro di Tralles raccomandava un composto per scurire i capelli fatto di acacia, bacche di cipresso, allume, “fiori di rame” e limatura  di ferro in uguali quantità cosparsa per un giorno con urina di ragazzo (6). La mistura era utilizzata come impacco sulla testa per 3 giorni. Alessandro confermava di averla usato con successo. Egli descrive anche un’altra preparazione consistente di gusci di noci acerbe, bacche di quercia coccifera e vino scuro, il tutto cotto finché non ne rimaneva che un terzo. La soluzione era filtrata con l’aggiunta di olio di mirra, le applicazioni erano quotidiane. Un’altra preparazione, “che il Re Seleuco utilizzava, era preparata mettendo in un contenitore di piombo limatura di piombo in vino molto invecchiato”, poi annaffiato con acqua per 15 giorni. I capelli venivano prima trattati con olio di prima qualità, quindi massaggiati con un po’ di questo preparato. Era usato principalmente dagli uomini, conclude l’autore (!). Alessandro suggeriva inoltre impacchi di pigne di cipresso arrostite da tenersi sul capo un giorno e una notte, al risveglio i capelli andavano lavati con acqua fredda. Per tingere i capelli di biondo e di rosso, suggeriva molte preparati, tra cui mirra e fiore di sale marino mescolati fino ad ottenere una consistenza collosa (6); il composto  era applicato in testa per un giorno e una notte, dopo di che i capelli venivano lavati. Un’altra mistura era fatta di litargirio, calce e terra di Creta con aggiunta di acqua fino ad ottenere un composto denso, veniva fatto un  impacco, quindi la testa veniva coperta di foglie di barbabietola rossa e lavata dopo 2 o 3 giorni. Un’altra miscela aveva rapido effetto: conteneva depositi di vino (feccia) mischiati alle sostanze grasse residue nell’acqua del bagno fino a raggiungere un consistenza cerosa. Questo era frizionato sulla cute la sera e “la mattina dopo la chioma scura era divenuta bionda”. Per tingere i capelli biondo dorato, Alessandro usava una miscela di allume, sandracca, zafferano e firrastrina (thapsia).

Alessandro terminava il suo capitolo  sulle tinture proponendo un colore particolare, quello che rendeva capelli grigi o bianchi. La preparazione conteneva semi di verbasco, allume e scorza di rafano finemente tagliuzzata mescolata con taurocolla (collante ricavato dalla pelle del toro). Un’altra tintura, molto semplice, conteneva fiori bruciati di verbasco (verbasco thapsus). Alessandro osservava che “molte grandi personalità desiderano tingere i capelli non solo di bruno  ma anche di rosso e biondo, o bianco e talvolta ci obbligano (i medici) a fornire la tintura: per tali motivi è necessario rendere noti questi metodi a coloro che vogliono imparare” (6).

Per  colorare i capelli, Paolo di Egina utilizzava impacchi la cui formula era mutuata dalle opere scomparse degli antichi, con particolare riferimento alla regina Cleopatra (7). Tutti i preparati dovevano essere applicati dopo aver lavato accuratamente o rasato i capelli. Gli ingredienti includevano ceneri di coni di pino, con l’aggiunta di aroma di mirto fino a che la mistura non raggiungeva la consistenza del miele; veniva quindi frizionato sulla cute come una crema. Altre ricette includevano barbabietola rossa, urina, acqua di mare, mirra e capelvenere. Per combattere i capelli grigi, egli utilizzava erbe diverse, come petali di rosa aromatici (ungues rosarum) fiori di lentisco, succo d’acacia e valeriana, il tutto mescolato con olio di oliva e vino, e veniva applicato tutti i giorni. Paolo dava anche la composizione di un’altra tintura, da lui chiamata “l’acqua che scurisce i capelli”, da usare dopo il bagno. Conteneva varie erbe, tra cui la ruta usata dai conciatori, bacche nere di mirto, legno bruciato, foglie  dell’albero di Cipro (henna), pezzi di funghi carbonizzati, barbabietola rossa arrostita e simili. Se si desiderava un colore biondo dorato, Paolo offriva molte preparazioni, come il sapone gallico con cui i capelli venivano lavati durante il bagno. Suggeriva anche altre misture con numerosi ingredienti, il principale era la thapsia (T. Asclepium) o “erba dorata” che i romani chiamavano “robia” ed era comunemente usata dai tintori. L’impacco, conosciuto anche da Alessandro, era preparato tostando la “polvere usata dai fabbricanti di cappelli” insieme alla thapsia sminuzzata, e quando il composto si era ritirato della metà, veniva pressato e nel liquido che se ne ricavavano  veniva disciolti allume, sandracca e zafferano. La preparazione era quindi conservata  in un contenitore di vetro, ed applicata e massaggiata sui capelli fino a che questi non risultavano ben imbevuti. Era poi lasciata seccare e sciacquata con sapone e acqua tiepida in cui erano stati bolliti orzo, tiglio e cumino. Se però nello stesso tempo, si desiderava infoltire e scurire i capelli, l’aautore suggeriva impacchi di fiori di anemoni sminuzzati in olio di oliva. Paolo cita anche delle preparazioni per rendere i capelli scuri, rossi o biondi, già note dall’opera di Alessandro (7).

Il secondo capitolo del libro di Teofane è intitolato “Sostanze nere per capelli” e alle sostanze suggerite sopra, aggiunge un’impacco di radici di cappero in latte di donna o di asina, da applicarsi la notte (8). L’autore dedicò il  terzo capitolo alle preparazioni per colorare i capelli di biondo tra i cui ingredienti figuravano la chelidonia, la rosa d’Egitto e la menta. Un altro medico, Costantino Melitiniotis (XIV secolo A.D.), che importò anche preparazioni farmaceutiche dalla Persia, raccomandava, nella sua opera “Antodoti”, uno speciale elisir, chiamato “manjun paladur”, che impediva ai capelli di diventare grigi (13). Niceforo Blemmyda fornisce ricette per la tintura dei capelli (12): per ottenere capelli biondi, egli usava lupini crudi bagnati per una notte e un giorno, con il liquido ricavato bagnava i capelli e li pettinava.

Per la colorazione  della barba Ezio suggeriva impacchi per scurire i peli della barba con una soluzione di ferro e piombo immersi nell’aceto, il tutto bollito finché non rimaneva che un terzo di liquido (l’aggiunta di olio di oliva era proibita) (11). Teofane proponeva a tale scopo sughero secco e piombo bruciato (8).

Discussione.

L’utilizzo di cosmetici risale a tempi molti antichi. Le giovani donne dell’antico Egitto (XVII dinastia, 1570-1293 B.C.) li conoscevano bene, come molti affreschi illustrano (14). Questa usanza continuò durante l’età classica della Grecia come appare dalle figure dipinte sui vasi (15).Alcuni cosmetici per il viso compaiono nel  libro del Corpus Hippocraticum: “Sulle malattie delle donne. Libro II”. Vi si trovano ricette per eliminare lentiggini, eczemi, e caduta dei capelli. Per quest’ultimo problema, si suggerivano impacchi di olio di rose e gigli, vino, olio di olive acerbe, succo d’acacia e una speciale terra contenente argilla che si usava per la pulizia degli abiti. Per i calvi, era previsto un preparato a base di “cumino, feci di piccione o ravanello sminuzzato, o cipolla o barbabietola o ortica”. E ancora nel libro “Sulle malattie delle donne. Libro I”, si indicava qualche precrizione  contenente uva e olio o alcyonium sminuzzato e bruciato mescolato a vino, utilizzato come impacco per eliminare i peli (16).

L’uso dei cosmetici comunque sembra aver raggiunto il picco durante il periodo romano. La regina Cleopatra stessa si dedicava alla loro preparazione con medici che ne avrebbero poi riferito nelle loro opere. Il medico romano Critone sviluppò un interesse particolare per la materia: è così che si è guadagnato la qualifica di “padre della medicina cosmetica”. Egli era il medico personale dell’imperatore Traiano e scrisse, tra l’altro, un’opera in quattro libri intitolata: “Cosmetici” (17).  Questo libro, secondo le notizie fornite da Galeno (II secolo A.D.) (18) era così popolare che a quel tempo poteva essere trovato in tutte le case. Sfortunatamente questa opera è oggi andata perduta e le notizie ci pervengono dall’opera di Galeno che riferisce del contenuto di ogni libro dettagliamente. Molte misture proposte dai medici bizantini avevano origine dal lavoro di Critone. Alcune erano direttamente attribuite a lui dagli stessi medici; anche altre preparazioni sembrano originare dal suo lavoro, come si può dedurre da alcune comparazioni fatte con le informazioni tratte da Galeno. Dai lavori di quest’ultimo, appare comunque evidente che altri medici si erano occupati di cosmetici, come Eracleide di Taranto (III secolo A.D.), Andromaco il giovane (I secolo A.D.), Rufo di Efeso (I secolo A.D.) e Archigene  (I secolo A.D.) (18). Quest’ultimo è anche menzionato dai medici bizantini che sembra fossero a conoscenza dei suoi scritti oggi andati perduti. La semplice comparazione di molte preparazioni che si trovano nelle opere di medici bizantini con quelle attribuite da Galeno (18)  ai suddetti medici dell’antichità evidenzia che un gran numero di cosmetici trae origine proprio da loro.

Galeno descrive molte preparazioni cosmetiche, principalmente utilizzate per ripristinare l’aspetto fisico compromesso da malattie, per esempio  reintegrare i capelli perduti a seguito di alopecia o la perdita di ciglia o sopracciglia dovuta ad altre patologie (18). Sosteneva che l’intervento medico fosse molto importante in  caso di psoriasi, lebbra, ezema, verruche e così via: in queste circostanze la salute del paziente doveva essere ristabilita; ma che “ottenere un colorito pallido o l’applicazione di rosso sulle guance era compito che non doveva riguardare il medico” (18). Analogamente, Galeno riteneva che tingere i capelli o farli diventare da ricci a lisci, fosse “un compito umiliante dell’arte del parrucchiere volto a  far durare una  bellezza ‘artificiale’ ottenuta attraverso la medicina, al contrario lo scopo dell’arte medica era di mantenere ed esaltare la  bellezza ‘naturale’ della persona”. Scrisse che era vergognoso per un medico come lui scrivere di tale soggetto, ma dato che re e regine spesso ordinavano ai medici di occuparsene, questi erano obbligati ad inserire tali argomenti nella medicina cosmetica. Tuttavia i medici bizantini non sembravano aver sposato la posizione di Galeno, infatti copiarono molte preparazioni non solo per la cura del  corpo, ma anche un gran  numero di cosmetici puramente per il viso, per profumare il corpo, per tingere i capelli e perfino per profumare la casa (seguendo i dettami degli antichi medici del Corpus Hippocraticum e, in special modo, quelli dell’epoca romana, quali Archigene, Rufo e soprattutto Critone e la regina Cleopatra). Sembra che la vanità e il desiderio di bellezza delle aristocratiche  bizantine le portasse a consultare i medici per ottenere preparazioni, specialmente per il viso.

Bisanzio non era soltanto uno Stato religioso con monaci, aveva anche un vita sociale e le donne patrizie bizantine prestavano particolare attenzione al loro aspetto e alla loro bellezza. Un esempio esagerato è quello dell’imperatrice Zoe Porfirogeneta (XI secolo A.D.) che si sposò tre volte (l’ultima lei aveva più di cinquant’anni e lo sposino era sotto i venti!). Ella impegnava  dozzine di ragazze a Palazzo, che giorno e notte bollivano calderoni contenenti erbe (autoctone e importate dall’Oriente) per preparare profumi e cosmetici per suo uso personale. Il filosofo e cortigiano Michele Psello, che fu testimone oculare di queste curiosa attività del Palazzo, la chiamò “un vero myrepseion” (laboratorio per la produzione  di preparati  medicinali), esattamente come quelli del mercato di Costantinopoli” (19). Il largo uso e  l’importanza dei cosmetici a Bisanzio si può cogliere dal lavoro di Teofane che, nel suo “Epitome”, dedicò i primi tre capitoli alla cosmetica per i capelli, ignorando il monito di Galeno (8), infatti solo il quarto capitolo concernente il trattamento della forfora è compatibile con i principi di Galeno su “La medicina cosmetica”. Questa priorità data ai cosmetici è ancora più sorprendente perché il libro di Teofane, un vademecum per medici generici, consiste di 297 capitoli che si occupano di tutte le patologie  più serie della medicina interna!

Conclusioni.

Infine, lo studio dei testi degli illustri medici bizantini dimostra che la medicina cosmetica costituì una parte significativa dei contenuti di soggetto sanitario dell’epoca. Il fenomeno  può essere attribuito alla grande richiesta di consigli in materia cosmetica da parte sia di donne che uomini bizantini, e i medici furono obbligati a venire incontro a queste esigenze. I dottori bizantini, la maggioranza dei quali aveva studiato ad Alessandria e sul concetto di bellezza del corpo seguiva l’estetica pagana, non ebbero difficoltà a includere nelle proprie opere il cospicuo contributo di  conoscenza che si trovava negli antichi testi medici del tempo di Ippocrate, ellenistico e romano (molti dei quali andati perduti), arricchendo poi molte branche della medicina con la loro esperienza personale (20). Di conseguenza, il loro contributo alla conservazione delle antiche tradizioni di medicina cosmetica, soprattutto sui capelli, è particolarmente valido. Dal tempo dell’Antico Egitto, e via via ellenistico, ippocratico, romano e bizantino, uomini e donne si sono preoccupati di modificare il loro aspetto usando preparazioni cosmetiche per capelli, per esempio per la cura, la colorazione, il taglio e le parrucche. Il miglioramento nella produzione della cosmetica applicata ai capelli è stato notevole ed è diventato un grosso business nei paesi occidentali. I dermatologi hanno tratto beneficio da questa industria, grazie ai risultati avanzati ottenuti dai laboratori di ricerca cosmetica.

Note

(*) Dottore in medicina

(**) Titolare di dottorato di ricerca

(1) Ostrogorsky G. History of the Byzantine State . London: Blackwell, 1986: 44–50.

(2) Castiglioni A. A History of Medicine . New York: Knopf, 1947: 247–255.

(3) Raeder I. Oribasii Synopsis ad Eustathium. Libri ad Eunapium. Amsterdam: Hakkert, 1964: 105–108, 162.

(4) Raeder I. Oribasii Collectionum Medicarum Reliquiae , Vol. 4. Lipsiae et Berolini: Teubner, 1933: 187.

(5) Olivieri A. Aetii Amideni Libri Medicinales I–IV. Lipsiae et Berolini: Teubner, 1935: 89–123, 159–160.

(6) Puschmann T. Alexander von Tralles, I. Band. Amsterdam: Hakkert, 1963: 446–451.

(7) Heiberg IL. Paulus Aegineta, 1. Lipsiae et Berolini: Teubner, 1921: 129–134.

(8) Bernard IOS. Theophanis Nonni Epitome de Curatione Morborum, 1. Gothae: Ettinger, 1794: 8–33.

(9) Kousis AP. Metrodora’s work “on the feminine diseases of the womb” according to the Greek codex 75.3 of the Laurentian Library. Proc Athens Acad 1945; 20 : 46–68.

(1)0 Congourdeau M-H. “Mètrodôra” et son oeuvre. In: Patlagean E, ed. Maladie et Société a Byzance. Spoleto: Centro Italiano di Studi sull’ Alto Medioevo, 1993: 57–96. (11) Olivieri A. Aetii Amideni Libri Medicinales V–VIII. Berolini: Teubner, 1950: 204–213, 403–412.

(12) Kousis AP. Les oeuvres médicales de Nicéphore Blémmydès celon les manuscrits existants. Proc Athens Acad 1944; 19 : 56–75.

(13) Kousis AP. Quelques considérations sur les traductions en grec des oeuvres médicales orientales et principalement, sur les deux manuscrits de la traduction d’un traité persan par Constantin Melitiniotis. Proc Athens Acad 1939;

(14) : 205– 220. 14 Thorwald J. Science and Secrets of Early Medicine . New York: Harcourt, Brace and World, 1963: 64–66.

(15) Boardman J. Athenian Black Figure Vases . New York: Thames and Hudson, 1991: 38–192.

(16) Purnaropoulos GK. Hippocrates. All His Works , Vol. 5. Athens: Martinos, 1971: 160–161, 254–257.

(17) Jacoby F. Die Fragmente der Griechischen Historiker. Berlin: Weidmann, 1930: 39–40.

(18) Kühn CG. Claudii Galeni Opera Omnia , Vol. 12. Lipsiae: Cnobloch, 1826: 379–463.

(19) Renauld È. Michel Psellos, Chronographie, ou Histoire d’un Siécle de Byzance (976–1077), Tome I. Paris: Les Belles Lettres, 1927: 148.

(20) Neuburger M. History of Medicine , Vol. 1. London: Frowde, Hodder and Stoughton, 1910: 301–305.

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