Quando Michele nacque, nel 1277, sul trono di una Costantinopoli da poco ritornata ai suoi legittimi occupanti sedeva ancora suo nonno, Michele VIII, impegnato come non mai a difendere ed espandere i domini imperiali minacciati in particolar modo dall’Occidente, e gli anni della sua infanzia furono segnati dai tentativi, falliti, per dare un senso al Concilio di Lione ed alle lotte vittoriose contro gli Angioini.

Nel 1282 suo padre, Andronico II, salì a sua volta al trono ma, nella realtà, era già da molti anni che condivideva a tutti gli effetti il potere imperiale con il padre, grazie ad una vasta estensione dell’istituzione coimperiale che Michele VIII aveva voluto e che del resto anche Andronico II seguirà nel suo lungo regno. Rimasto vedovo di Agnese d’Ungheria, ribattezzata Anna, figlia di re Stefano V, che aveva dato alla luce Michele, Andronico si sposò con Violante, chiamata Irene, del Monferrato, assicurandosi così i suoi diritti sulla contesa Tessalonica. Per Michele non fu una scelta felice, poiché la matrigna fece il possibile e l’impossibile per far sì che il marito assicurasse anche ai suoi figli quei diritti che riteneva spettassero non al solo Michele, e ciò causò negli anni fratture insanabili cui non vennero neppure lasciate estranee potenze straniere come la Serbia. Dal 1311 fino alla sua morte, nel 1317, Irene resterà confinata in volontario esilio a Tessalonica, dove tra l’altro in quel periodo risiedeva anche Michele.

In realtà, seguendo le tracce paterne, Andronico ben presto investì il figlio di alte prerogative ed importanti incarichi, fino ad incoronarlo coimperatore nel 1295, con poteri e competenze pari a quelle del primo imperatore. Il giovane era tutt’altro che uno sprovveduto: aveva una alta considerazione della dignità imperiale e dello stato, pur molto religioso non era un mistico come il padre, era un decisionista ed era un soldato coraggioso e valoroso. Tuttavia nelle mani si trovò uno strumento del tutto inadeguato alle emergenze che, insieme al padre, si trovò negli anni a dover fronteggiare. Spesso i due furono in aspro contrasto sulle scelte da adottare, e Michele cercò di affrontare di petto le situazioni, ma sempre venne frenato dalla mancanza di mezzi finanziari, da un esercito limitato nella quantità e nella qualità e dal padre stesso, cosciente di tali difficoltà.

Turchi e Catalani

Mentre Andronico II affrontava i problemi legati alle potenze occidentali ed ai popoli slavi in particolar modo con metodi diplomatici -e lo stesso Michele fu coinvolto in tali trattative, rischiando un matrimonio con Caterina Courtenay, imperatrice titolare dell’Impero latino di Costantinopoli, progetto che fallì, tanto che nel 1296 il coimperatore sposò la figlia del re d’Armenia Leone III, Rita, chiamata Maria-, Michele tentò con la forza di affrontare la situazione estremamente pericolosa in cui versavano i confini orientali dell’Impero.

Durante il XIII secolo la dissoluzione del sultanato selgiuchide, in particolare per gli attacchi mongoli, aveva spinto molte tribù turcomanne ad occidente, mettendole dunque in contatto con i confini romei. Ovviamente la spinta ad occidente dell’Anatolia non fu solo determinata da tali pressioni, ma anche da necessità economiche. Vi era la tribù di Osman, figlio di Ertogrul, in Bitinia, ma vi erano anche i Turcomanni di Melek Mansur, i Ghermiani e molti altri, eternamente in conflitto tra di loro. Le frontiere tra i vari emirati turcomanni e Bisanzio vennero ristrutturate, ma con il tempo divennero estremamente labili e permeabili, caratterizzate dalla presenza di turchi cristianizzati in territorio romeo e viceversa, e dal fatto che le città bizantine erano sede di mercati nei quali i Turchi scambiavano le loro merci. Per lungo tempo tale situazione restò sotto controllo, ma tra la fine del XIII e l’inizio del XIV quella frontiera che era il fiume Sangario, l’attuale Sakarya, divenne sempre più teatro di scontri, tanto da necessitare dell’intervento armato. Andronico II e Michele IX avevano cercato di profittare degli scontri tra i vari emiri e di cercare di comprarne la pace, ma ritennero di dover intervenire in armi decisamente. Andronico II aveva promosso l’immigrazione nel territorio imperiale di popolazioni alane, al fine di insediarli come coloni in Asia minore. Gli Alani giunsero in almeno diecimila, uomini, donne e bambini, e con essi Michele IX nella primavera del 1302 decise di affrontare i Turcomanni, scendendo fino a Magnesia. L’impresa parve partire con il piede giusto, e Pachimere racconta che i Turchi al vedere l’imperatore vennero presi dal terrore. Tuttavia Michele presto si rese conto di non poter fare affidamento sugli Alani, indisciplinati ed ingovernabili, dal momento che non avevano ancora ottenuto nulla di quanto pattuito, ed i Turchi, resisi conto della situazione, attaccarono battaglia sconfiggendo duramente il coimperatore, che dovette rinchiudersi in Magnesia.
Nello stesso anno, il 27 di luglio, a Bapheus, presso Nicomedia, la cavalleria leggera di Osman sconfisse duramente i duemila fanti pesantemente armati dell’ eteriarca Muzalon, cui era pure mancato l’appoggio alano, costringendolo a rifugiarsi nella stessa Nicomedia. A questo punto Andronico e Michele si rivolsero ancora al mongolo Ghazan Khan, affinché mettesse sotto pressione gli emiri, ma ormai la situazione non pareva più governabile: in breve tempo i territori bizantini in Asia minore si ridussero alle città maggiori, che gli emiri turcomanni isolavano sempre di più per costringerle alla resa, non possedendo sofisticate tecniche obsidionali.

Alla fine del 1303 il mercenario Ruggero de Flor, con circa 6.500 catalani, venne assoldato da Andronico II affinché, dietro lauto compenso, la carica di megaduca e la mano della nipote Maria Asen, liberasse dai Turchi l’Asia minore romea. L’avventura partì bene, nonostante le perplessità di Michele, e, dopo aver respinto il nemico a Cizico, i catalani distrussero l’esercito del ghermiano Ali Sir a Filadelfia. Purtroppo divenne chiaro assai presto che i mercenari combattevano esclusivamente per il proprio tornaconto, e si diedero al saccheggio di territori ancora romei, giungendo ad assediare l’ancora cristiana Magnesia. A quel punto Costantinopoli cercò di richiamare Ruggero, con la scusa di spingerlo contro i Bulgari, ma bloccandolo a Gallipoli per qualche tempo. Risolte temporaneamente le questioni di competenza e –soprattutto- finanziarie, a Ruggero venne data l’Asia minore e la carica di cesare, e nell’aprile del 1305 Michele invitò il capitano almogavaro nel suo palazzo di Adrianopoli, così da festeggiare la soluzione della crisi. Era una trappola, e Ruggero e molti dei suoi soldati di ventura vennero massacrati. La reazione non si fece attendere, ed i Catalani, nel frattempo rafforzati da truppe turche, scatenarono la loro vendetta sulla Tracia, riducendola ad un deserto. Michele tentò d’intervenire, ma a Rodosto venne sonoramente battuto, salvandosi miracolosamente e rifugiandosi a Didimotikon. Tessalonica riuscì a fronteggiare gli attacchi, ma il monte Athos venne devastato.

Mentre il ciclone catalano si spostava nella Grecia continentale, allontanandosi da Bisanzio ma lasciando diedro di sé la devastazione, ad Oriente la situazione si faceva vieppiù drammatica. Nel 1305 il generale Siuro si faceva battere a Koyunhisar da Orkhan, il successore di Osman, il quale tre anni dopo era a Calcedonia… Michele chiese al padre rinforzi, senza ottenere risposta. Forse perché una risposta non poteva esser data…

Nel frattempo tuttavia la politica diplomatica d’Andronico qualche successo lo otteneva. Teodoro Svetoslav di Bulgaria, pur con ampie concessioni territoriali, venne tacitato concedendogli Teodora, figlia di Michele, in isposa; i tentativi d’aggressione di Filippo di Taranto e Carlo di Valois si esaurirono nel nulla; il conflitto con la Serbia venne concluso con un ennesimo legame matrimoniale; la Tracia venne pacificata definitivamente, nel 1311, con il massacro dei Turchi di Menteše e Karasi che avevano seguito a suo tempo i Catalani, avvenimento che fece inorridire Niceforo Gregora. Qualche anno dopo anche parte della Tessaglia rientrò tra i domini di Costantinopoli, e l’Epiro dal 1318, grazie alle nozze tra il nuovo despota, Nicola Orsini, ed Anna, altra figlia di Michele IX, ne subì la decisa influenza.

In quegli anni Michele, la cui salute stava declinando rapidamente, nonostante la giovane età, risiedeva a Tessalonica, Qui attendeva, dedicandosi ad opere pie, e son testimoniati suoi interventi nel ripristino di edifici sacri, come il celebre santuario di San Demetrio, e nella concessione di benefici a monasteri ed istituzioni pie, in ossequio alla politica religiosa paterna. Pareva che a lui, come a suo padre, fossero destinati i pensieri di Teodoro Metochite, il quale scriveva a quei tempi che la cieca Tyche dava la palma della vittoria ora ad un popolo, ora ad un altro, ed ora l’impero dei Cesari era prossimo alla vecchiaia ed alla morte, convinto, come sottolinea Hans Beck, che non esistevano altre alternative se non la stoica rassegnazione e la fatalistica inerzia. Nel 1316 Andronico III, rampollo di Michele, era stato nominato secondo coimperatore. Era un ragazzo pieno di vita e di progetti, ed il padre ed il nonno lo adoravano. Tuttavia era un ribelle, amante della bella vita e troppo impulsivo. Nel 1320 alcuni suoi accoliti, scambiandolo per un altro, uccisero il fratello, Manuele. Fu un colpo durissimo, per Michele, che già per tutta la sua vita aveva dovuto subire umiliazioni, delusioni e tragedie, ed un’emorragia cerebrale lo uccise. Era il 12 ottobre, e l’elogio funebre venne composto dal sacellario di santa Sofia, Michele Gabras. L’anziano Andronico II venne duramente colpito da tale tragedia e, non senza motivazioni più squisitamente politiche, diseredò il nipote.
Si apriva così la guerra civile.

Bombaci A., La Turchia dall’epoca preottomana, Torino, UTET
Beck H., Il millennio bizantino, Roma, Salerno ed

autore: SERGIO BERRUTI

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Di Nicola

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