L'Ultimo Paleologo

L’ultimo Paleologo di Emanuele Rizzardi

 

 

 

 

 

 

 

 

[Estratto]

Assalto del 12 maggio a Costantinopoli

I giorni passarono e i Turchi non si decisero a compiere un nuovo attacco né a cercare di forare ulteriormente le mura.

Restarono rintanati come ratti nel campo a leccarsi le ferite e meditare vendetta.

La sera del dodici maggio, quando la notte era già fonda, divenne chiaro quale fosse l’intento di Maometto dopo un’attesa così lunga.

Ci aveva messo molto tempo per studiare le fortificazioni nemiche ed individuare i punti più vulnerabili, ora era pronto a colpire con durezza, sicuro di ottenere la vittoria.

Con i primi assalti aveva sperato di disperdere i difensori obbligandoli a combattere su tutta la linea delle mura, contando sulla loro inferiorità numerica ma aveva fallito, sottovalutandone la resistenza.

Questa volta la strategia usata sarebbe stata sostanzialmente opposta.

Individuò nel tratto occidentale delle Blacherne il punto migliore per scagliarvi tutto il fuoco dell’artiglieria e poi un assalto concentrato delle truppe di terra. Una volta fatta una breccia la città sarebbe caduta.

Il basileus se ne accorse e dedicò tutte le sue energie a rendere quella posizione invalicabile.

La sua fortezza doveva essere difesa fino all’ultimo respiro; su quel piccolo tratto fortificato si sarebbe deciso il destino dell’impero.

Il vantaggio principale che aveva era di riuscire a tenere i nemici in un punto relativamente ristretto, in questo modo sarebbe stato più facile resistente e portare le munizioni, senza dover badare a miglia e miglia di mura.

Raccolse tutte le truppe che riuscì a portare, fece lavorare i civili anche la notte per riparare alla meno peggio i tratti più danneggiati e fece caricare tutto ciò di infiammabile che era rimasto in città, usando perfino l’olio delle lanterne.

La visione delle armate turche era sempre uno spettacolo terribile che gli devastava il cuore ma sapeva bene di non poter esitare. Sarebbe bastato un tentennamento, un momento di debolezza o di paura e le difese avrebbero ceduto di schianto.

Lui era il talismano dei difensori, l’icona sacra dietro alla quale i soldati cercavano ispirazione e coraggio, non poteva essere umano, non durante la battaglia.

Rivestito della porpora imperiale, brandendo la scimitarra, doveva fare coraggio agli uomini esponendosi direttamente al fuoco nemico, rischiando la vita. Se fosse stato nascosto, nessuno avrebbe avuto il cuore di combattere.

 

Preparativi per l’ultima resistenza

«Dov’è la mia polvere da sparo? Avevo chiesto della polvere da sparo a San Romano due ore fa! I Turchi stanno arrivando e le nostre mine sono a secco! Sia maledetto quel lebbroso che non l’ha portata!»

Giustiniani si stava facendo prendere dal panico.

I Turchi avevano appena cominciato un nuovo assalto e questa volta era il momento decisivo. Presto sarebbero piombati sul suo bastione.

Maometto aveva ordinato un attacco generale in cui si giocava il tutto per tutto, dove metteva in campo direttamente la sua guardia personale, tenuta nelle retrovie fino a quel momento.

Non poteva continuare oltre, il morale degli uomini non avrebbe retto altre sconfitte, da irrequieti stavano diventando insubordinati e sempre di più lamentavano la durata dell’assedio e il numero spropositato dei morti.

Molti si scoraggiavano sapendo che la città non era mai stata conquistata da un musulmano e cominciavano e far circolare leggende e fatti storici mescolati a fantasia sulle sue mura, i suoi difensori e strani oggetti magici in possesso del basileus.

 

Breccia a San Romano

Il cielo notturno si era colorato di rosso, mentre i fumi della guerra coprivano la luna e le stelle addensando tutto in una cappa bruna.

Gli Ottomani avevano azionato tutte le armi d’assedio disponibili.

Catapulte, trabucchi, baliste, bombarde, colubrine, cannoni caricavano e sputavano fuoco a ciclo infinito.

«Non c’è altro Dio che Allah e Maometto è il suo Profeta! Allah Akbar!» Urlavano gli ufficiali e le truppe mentre caricavano le ultime difese dei Romani.

Dopo due ore di incessanti combattimenti San Romano era stata violata come Giustiniani aveva predetto.

Inizialmente sembrò che si potesse resistere con la sola forza delle armi tradizionali ma quando i Turchi lanciarono una serie di assalti frontali sui punti più esposti la mancanza di polvere da sparo fu una rovina e non ci fu modo di sopperirvi.

Le mine di Giustiniani non fecero abbastanza danno, sicché stormi di invasori entrarono cercando di impossessarsi delle mura esterne mentre con violenza spingevano sulla breccia appena aperta.

Non tutto però era ancora perduto. I Genovesi stavano resistendo, stanchi, quasi accerchiati e in netta inferiorità numerica ma resistevano.

Il quadrato di alabarde era impenetrabile e chi cercava di aggirarlo veniva bersagliato da una fitta pioggia di quadrelli di balestra.

I Turchi si lanciavano in continuazione in disperate cariche che finivano per schiantarsi sulle lame degli Italici, creando un tappeto di sangue grumoso sulle rovine delle mura.

I difensori erano una sfera d’acciaio acuminata, impossibile da aggirare o forzare, l’ultimo scudo di Costantinopoli prima del baratro.

«Mio signore, i Turchi hanno fatto breccia! Il capitano Longo chiede immediatamente rinforzi!» Urlò un soldato latino con l’elmo sfondato da un colpo di archibugio.

Costantino staccò la scimitarra dalla testa di un nemico. «Digli che stiamo arrivando.» Rispose con determinazione.

Si voltò verso Sfranze. «Giorgio, prendi dieci uomini e vai ai moli ad est a controllare che non ci attacchino dal mare, se vedi qualcuno torna a riferire, altrimenti rimani a fare la guardia. Tutti gli altri vengano con me!»

«Mio signore, non credo che tenteranno un attacco anfibio, stanno concentrando tutto a nord, il loro esercito non è stato diviso.» Gli rispose contrariato.

Costantino lo spinse con rabbia. «Questo è un ordine Giorgio Sfranze! Vai a rendere sicuro il perimetro del Corno d’Oro!»

Sapeva in cuor suo che la difesa a San Romano era senza ritorno.

L'ultimo Paleologo retro

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Di Nicola

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