TEODOSIO I IL GRANDE

 “Vedendo lo stato decaduto e quasi in rovina, con la stessa preveggenza con la quale in altro tempo Nerva aveva scelto lo spagnolo Traiano, che restaurò lo stato, anche Graziano scelse Teodosio, pure spagnolo, e nell’urgenza di rimettere ordine nello stato lo vestì della porpora a Sirmio, e lo mise a capo dell’Oriente e della Tracia. Con preveggenza in questo superiore: che se Teodosio in tutte le virtù umane fu pari a Traiano, nella fedeltà a Cristo e nel culto della religione lo superò senza possibilità di confronto; tant’è vero che quello fu un persecutore, questo un propagatore della Chiesa. Così a quello non fu concesso nemmeno un figlio della cui successione potesse compiacersi; la gloriosa discendenza di questo, invece, di generazione in generazione domina ancora sull’Oriente e sull’Occidente”.

(Paolo Orosio, Storie contro i pagani, VII, 34, 1-4).

Egli si ricordò della vita precedente, partecipando a lauti banchetti, dedicandosi ai piaceri e rammollendosi nei teatri e negli ippodromi […]. Per natura, infatti, era dissoluto, molto pigro ed incline ai vizi di cui ho parlato. Quando non aveva guai o timori cedeva alla sua indole; ma quando si trovava in una necessità che lasciava intravedere qualche sconvolgimento nella situazione, metteva da parte la pigrizia, abbandonava ogni mollezza e ritornava ad una vita più virile, tollerante delle fatiche e delle sofferenze. Dopo aver dato simili prove di sé, come hanno mostrato i fatti, non avendo alcuna preoccupazione, ritornava ad essere schiavo delle sue naturali dissolutezze”.

(Zosimo, Storia Nuova, V, 50).

Le origini (347 – 379 d.C.)

Flavio Teodosio nacque l’11 Gennaio del 347 d.C. a Cauca (in Galizia, Spagna nord-occidentale) da Flavio Teodosio, detto il Vecchio, e da Termanzia, aveva un fratello maggiore di nome Onorio. Della sua giovinezza sappiamo poco: suo padre ebbe il grado di comes e nel 368 fu inviato in Britannia per domare le invasioni di Pitti e Scotti che devastavano l’isola, ottenne quindi il grado di magister equitum alla corte di Valentiniano I e, nel 369, fu spedito in Africa per domare la rivolta di Firmo in Mauritania; il figlio, invece, dopo avere partecipato alla campagna in Britannia, fu inviato a combattere gli Alamanni.

Mentre suo padre riuscì a domare la rivolta di Firmo, Teodosio fu nominato governatore della Mesia Prima che amministrò in modo esemplare: il suo incarico lo portò ad affrontare i Sarmati che, nel 374, distrussero due sue legioni, l’evento spinse l’imperatore Valentiniano I ad esonerarlo dal suo incarico. Come se non bastasse, l’anno dopo, il comes Teodosio fu arrestato per alto tradimento, condotto a Cartagine e giustiziato per ordine dell’imperatore Graziano. Il disastro in Mesia e la morte di suo padre stroncarono la carriera di Teodosio che si ritirò a vita privata nella natia Spagna e, nel 376, sposò Elia Flavia Flaccilla (a volte chiamata Placcilla) la quale, nel 377, gli partorì il suo primo figlio, Flavio Arcadio.

La vita di Teodosio sarebbe potuta scorrere in disparte, ma accadde un evento che mutò la storia di Roma e di Teodosio stesso: il 9 Agosto del 378 l’imperatore d’Oriente, Valente, fu vinto e ucciso dai Goti nella battaglia di Adrianopoli. Questo evento gettò l’Impero nel caos (le migliori truppe della Parte Orientale morirono nello scontro, lasciando i Goti liberi di devastare i Balcani fino a Costantinopoli); Graziano (divenuto Augusto anziano), insieme al giovane fratello Valentiniano II, dovette correre ai ripari e, per arginare le scorrerie dei Goti, senza controllo dopo la loro grande vittoria, richiamò dalla Spagna Teodosio affidandogli il settore danubiano con l’ordine di contrastare i barbari e, forse, il grado di magister militum. Teodosio non riuscì a ricacciare i Goti oltre il Danubio ma ottenne comunque buoni risultati: la sua bravura convinse Graziano ad associarlo al trono e così, il 19 Gennaio del 379, a Sirmio, Graziano nominò Flavio Teodosio Augusto e gli affidò la Parte Orientale dell’Impero.

Il regno (379 – 395 d.C.)

La questione gotica

Il primo compito che Teodosio dovette affrontare fu porre termine alle scorrerie dei Goti, mai cessate dal loro ingresso nell’Impero nel 376. Dopo la vittoria di Adrianopoli i Goti continuarono a lungo le loro razzie: sebbene le città fossero al sicuro dai loro attacchi (i Goti, infatti, ignoravano l’arte d’assedio), le campagne e i ricchi latifondi rimasero a loro disposizione, il clima era quindi molto teso. Teodosio trascorse i primi mesi di regno ad addestrare nuove truppe, richiamò in servizio i veterani e fece giungere truppe pure dall’Egitto; nell’estate del 380 le nuove armate furono pronte e affrontarono i Goti in campo aperto. La scarsezza di fonti storiche ci impedisce di seguire gli eventi in modo dettagliato, è certo però che le truppe di Teodosio furono vinte in Macedonia. Il disastro non fu pari a quello di Adrianopoli ma Teodosio fu costretto a chiedere aiuto a Graziano che, in autunno, inviò dei rinforzi guidati da Arbogaste e Bautone e decise di assegnare il territorio dell’Illirico a Teodosio affinché potesse agire più incisivamente sui Goti; ma ormai l’espulsione dei barbari non era più possibile, i Goti di Fritigerno attaccarono la Macedonia, quelli di Alateo e Safrace la Pannonia.

L’11 Gennaio del 381, comunque, i Goti di Atanarico (che era avversario di Fritigerno) stipularono la pace con Teodosio, Atanarico stesso ricevette grandiosi onori a Bisanzio dove morì il 25 Gennaio di quello stesso anno e ricevette una sontuosa sepoltura. La pace con Atanarico, però, non fu sufficiente, e così la guerra proseguì; nell’estate del 381 le truppe di Arbogaste e Bautone riuscirono ad allontanare i Goti dalla Tessaglia.

Dopo questi successi, però, la guerra si protrasse stancamente per un altro anno senza che i Romani riuscissero a cacciare i Goti e senza che i barbari riuscissero a insediarsi in qualche posto. Visto lo stallo nelle operazioni militari si decise di giungere ad un trattato.

Il 3 Ottobre del 382 Teodosio stipulò un foedus con i Goti (sia i Tervingi sia i Greutungi): grazie ad esso i barbari si poterono insediare nella diocesi di Tracia divenendo federati dell’Impero con ampia autonomia. Per la prima volta un popolo non soggetto alla legge romana si stanziò dentro i confini imperiali: i Goti, infatti, ebbero il permesso di farsi governare dalle loro leggi e dai loro capi a patto di fornire soldati e contadini all’Impero; questo evento segnò l’inizio di una forte e inarrestabile barbarizzazione delle forze armate (comunque Teodosio pensò bene di spedire molti contingenti di federati goti in Egitto per prevenire possibili sommosse, questo però non impedì ai Goti di comportarsi in maniera violenta compiendo soprusi lungo il viaggio finché alcune delle loro unità non furono massacrate dalle truppe imperiali a Filadelfia di Lidia; questo dimostrò come la convivenza sarebbe stata molto difficile). Erano trascorsi sei anni dall’ingresso dei profughi Goti nel territorio romano.

C’è incertezza sulla fine dei capi che avevano guidato i Goti contro l’Impero, di sicuro Fritigerno, Alateo e Safrace non compaiono dopo la stipula del patto e, recentemente, sono state avanzate due ipotesi sul loro destino: o i tre caddero in qualche scontro con i Romani oppure furono sacrificati dai Goti per giungere all’accordo con l’Impero e salvare la faccia dei Romani che non potevano accettare che i vincitori di Adrianopoli cogliessero i frutti della loro azione [1].

Sugli eventi della guerra gotica c‘è, in effetti, molta incertezza: la narrazione di Ammiano Marcellino, com’è noto, giunge fino alla battaglia di Adrianopoli, per gli eventi seguenti bisogna affidarsi ad altri storici antichi (Zosimo o gli storici ecclesiastici) che non sono per niente al livello di Marcellino (Zosimo ad esempio fa molta confusione e spesso rende gli eventi poco chiari). Questo fa sì che gli storici moderni divergano sugli eventi conclusivi della guerra, esempio lampante è la stipula del foedus tra l’Impero e i Goti che il Mazzarino colloca nel 381 (ma ormai gli storici convergono sul 382) [2].

Dopo la conclusione della guerra gotica, Teodosio riuscì a respingere le incursioni di Sciri e Carpi che premevano sul Danubio, il confine fu così ripristinato in qualche modo.

La questione religiosa e l’Editto di Tessalonica (27 Febbraio 380 d.C.)

Un altro problema che il nuovo imperatore dovette affrontare fu quello religioso. Da quando Costantino aveva proclamato il Cristianesimo “religio licita” il numero dei convertiti era andato aumentando, con esso erano aumentate anche le eresie che dividevano i fedeli in gruppi ostili e contrapposti. Mentre la Parte Occidentale era totalmente seguace del Credo Niceno, forte era, nella Parte Orientale, la presenza degli Ariani che avevano goduto, fino a quel momento, della protezione dei loro imperatori (sia Costanzo II sia Valente erano stati, infatti, Ariani). La situazione mutò con l’avvento di Teodosio: essendo oriundo della Spagna, il nuovo sovrano era di fede Nicena e si univa così a Graziano e Valentiniano II che, essendo sovrani della Parte Occidentale, professavano anche loro il Credo di Nicea. Per la prima volta tutti i sovrani romani erano anti-ariani, questo evento segnò la fine del predominio ariano in Oriente; per combattere tutte le eresie e i culti pagani (ancora molto forti in alcune zone dell’Impero, tipo Roma, dove le antiche cerimonie continuavano ad essere celebrate), i tre imperatori promulgarono da Tessalonica, il 27 Febbraio del 380, il seguente editto:

“EDITTO DEGLI AUGUSTI IMPERATORI GRAZIANO, VALENTINIANO E TEODOSIO AL POPOLO DELLA CITTÀ DI COSTANTINOPOLI. Vogliamo che tutte le nazioni che sono sotto il nostro dominio, grazie alla nostra carità, rimangano fedeli a questa religione, che è stata trasmessa da Dio a Pietro apostolo, e che egli ha trasmesso personalmente ai Romani, e che ovviamente è mantenuta dal pontefice Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria, persona con la santità apostolica; cioè dobbiamo credere conformemente con l’insegnamento apostolico e del Vangelo nell’unità della natura divina di Padre, Figlio e Spirito Santo, che sono uguali nella maestà e nella Santa Trinità. Ordiniamo che il nome di Cristiani Cattolici avranno coloro i quali non violino le affermazioni di questa legge. Gli altri li consideriamo come persone senza intelletto e ordiniamo di condannarli alla pena dell’infamia come eretici, e alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa; costoro devono essere condannati dalla vendetta divina prima, e poi dalle nostre pene, alle quali siamo stati autorizzati dal Giudice Celeste. Tessalonica, terzo giorno prima delle Calende di Marzo, durante il quinto consolato di Graziano Augusto e il primo di Teodosio Augusto” [3].

L’Editto di Tessalonica, ad ogni modo, non segnò la fine delle eresie, ma, riconoscendo il Cristianesimo unica religione ufficiale dell’Impero, fu il primo segnale della sua vittoria sugli altri culti.

Nel Novembre del 380 Teodosio, ancora a Tessalonica, si ammalò gravemente e rischiò la vita. Pensando di essere in punto di morte si fece battezzare, secondo il rito niceno, dal vescovo di Tessalonica Acolio. Fortunatamente l’imperatore guarì e così, il 24 Novembre, Teodosio entrò per la prima volta a Costantinopoli. Giunto nella Città, scoprì che il vescovo, Demofilo di Costantinopoli, era di fede ariana; trascorsi due giorni dal suo arrivo, l’imperatore espulse Demofilo dalla capitale e lo sostituì con Gregorio di Nazianzo, cattolico, a cui affidò tutte le chiese cittadine, l’operazione suscitò forti reazioni da parte ariana.

Il 381 vide la convocazione del Primo Concilio Ecumenico di Costantinopoli, secondo della storia della Chiesa. Teodosio lo indisse per far condannare varie eresie: i 150 vescovi che si riunirono nella Città scagliarono l’anatema sull’Arianesimo, l’Apollinaresimo e lo Pneumatomachesimo. Inoltre fu accolta la formula del vescovo Epifanio di Salamina di Cipro che, contro le teorie dei Macedoniani, riconosceva che lo Spirito Santo “ex Patre procedit, cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur, locutus est per prophetas”. Questa formula fu unita al Credo di Nicea (che divenne, così, il Credo Niceno-costantinopolitano) ed è recitata ancora oggi. Durante il concilio si decise pure di riconoscere una posizione eminente al vescovo di Costantinopoli (al “secondo posto d’onore” dopo Roma) e la nomina del nuovo vescovo di Costantinopoli (Gregorio di Nazianzo aveva, infatti, lasciato l’incarico); la scelta cadde sul senatore Nettario che fu battezzato e insediato nel suo seggio.

Il 21 Dicembre del 381 Teodosio emanò un editto che proibì ai pagani di frequentare i templi, nel 382 un secondo editto (emanato il 30 Novembre) limitò l’accesso nei templi solo per passeggiare ed ammirare le opere d’arte [4].

Mentre in Oriente si combattevano le eresie, in Occidente Graziano, appoggiato da Ambrogio, vescovo di Milano dal 374 (e che aveva dedicato al sovrano il De Fide), iniziò una dura lotta contro il paganesimo.

Nel 379 l’imperatore d’Occidente rinunciò (a favore del papa) al titolo di pontefice massimo che gli imperatori tenevano fin dai tempi di Augusto (seguito poco dopo dallo stesso Teodosio), nel 382 revocò le immunità alle Vestali e ai collegi sacerdotali pagani. Inoltre, su pressione di Ambrogio fu rimosso l’altare della dea Vittoria dalla Curia del Senato di Roma (fino a quel momento i senatori pagani erano soliti giurare sull’altare prima di iniziare le sedute); una delegazione del Senato, guidata dal pagano Quinto Aurelio Simmaco, il più illustre oratore del periodo, non fu neppure ricevuta dall’imperatore. L’Impero iniziò ad essere sempre più cristiano e meno tollerante verso le altre religioni (solo l’ebraismo, per il momento, fu risparmiato).

Nel 380 un concilio riunito a Saragozza lanciò l’anatema contro il vescovo Priscilliano di Avila e sei suoi compagni, colpevoli di eresia. Nel 385 l’imperatore Magno Massimo fece giustiziare Priscilliano e i sei, e questa fu la prima condanna a morte di eretici. Il 3 Novembre del 383 fu deciso che il settimo giorno della settimana, il dies Solis, che già Costantino, nel 321, aveva dedicato al riposo dalle attività pubbliche, divenisse dies dominicus; nacque così la Domenica [5].

La questione monetaria

Il 383 vide l’inizio dell’emissione di una nuova moneta d’oro, il tremisses, di circa 1 grammo e mezzo. Questa coniazione riprese la politica di agevolazione fiscale iniziata da Giuliano l’Apostata: secondo gli antichi, infatti, l’emissione di monete auree ridotte si accompagnava naturalmente con una politica di agevolazioni fiscali. Oltre alle nuove emissioni, Teodosio emanò leggi che cercarono d’impedire che s’imponessero ai sudditi alti prezzi di aderazione, ciò sempre nel solco delle scelte economiche di Giuliano. Queste scelte erano tanto più necessarie perché, per le continue ed ingenti spese affrontate dallo stato, le tasse andavano sempre più aumentando, rendendo insostenibile la situazione in varie parti dell’Impero (e la rivolta di Antiochia mostrò, pochi anni dopo, quanto il popolo fosse insofferente della situazione).

La questione armena

Il 383 vide, pure, salire al trono di Persia Sapore III, che sostituì il suo deposto zio Artaserse II. Il nuovo Re dei Re volle giungere ad un accomodamento con l’Impero per quanto riguardava la situazione armena. Da sempre l’Armenia era stata contesa tra Romani e Persiani, da quando poi il paese aveva accolto il Cristianesimo la situazione si era andata complicando (re Tiridate III proclamò il Cristianesimo religione di stato nel 305 d.C.). La sconfitta di Giuliano lasciò il regno in balia dei Persiani che cercarono di imporre il Mazdeismo come religione, suscitando una forte opposizione nel popolo. L’imperatore Valente pose sul trono il filo-romano Pab che poi, divenuto sospetto per alcuni suoi atteggiamenti, fu eliminato gettando il paese nell’anarchia. Di questo approfittò Sapore II che unì l’Iberia alla Persia (378 d.C.). Dopo la sua morte (379 d.C.) e il breve regno di Artaserse II, fu il momento di Sapore III. Questi decise di giungere ad un accomodamento con Teodosio e propose la divisione del paese in due regni, uno cristiano e protettorato romano, l’altro mazdeista e suddito della Persia. L’accordo fu firmato, Sapore diede vita al regno di Persarmenia (che fu annesso dalla Persia nel 428), ma il trattato non fu risolutivo giacché l’intera zona si stava andando rapidamente cristianizzando e ben presto nuove tensioni sarebbero esplose tra Roma ed i Sassanidi. Alla morte di Sapore III, comunque, suo fratello e successore Bahram IV continuò nella politica d’amicizia con Teodosio firmando un trattato che previde il non aumento delle forze armate lungo i confini dei due stati. Nel 390 (mentre Teodosio annetteva la sua parte d’Armenia unendola all’Impero), Bahram pose l’arsacide Cosroe III sul trono persarmeno, ma lo depose dopo poco perché troppo filo-romano (il sovrano armeno decise, infatti, di pagare il tributo non solo alla Persia ma pure a Roma); la frontiera orientale, comunque, ottenne circa cento anni di pace e stabilità (anche se con alcune interruzioni) che permise all’Impero di dedicarsi alle nuove sfide provenienti da Occidente.

La rivolta di Magno Massimo e l’altare della Vittoria (383 – 388)

Nel 383 Teodosio associò al trono suo figlio Arcadio (di sei anni), mentre sua moglie Flaccilla diede alla luce il secondogenito, Flavio Onorio (il 9 Settembre). Questi eventi furono turbati dalle notizie provenienti da Occidente; il governatore della Britannia, Magno Massimo si ribellò a Graziano e, trasferito l’esercito in Gallia, marciò contro l’imperatore. Massimo era oriundo della Spagna, aveva militato in Britannia e contro Firmo sotto Teodosio il Vecchio e conosceva l’imperatore Teodosio. Come comes della Britannia respinse le invasioni di Pitti e Scotti e, appoggiato dai suoi uomini, decise di farsi proclamare Augusto. Graziano gli si fece incontro ma, prima di giungere a Lutezia, i suoi uomini, gelosi dei privilegi accordati ai mercenari Alani, disertarono passando a Massimo. Graziano fuggì con pochi amici verso le Alpi ma, giunto a Lugdunum, fu assassinato dal magister equitum Andragazio (25 Agosto 383); l’usurpatore, con l’appoggio del magister militum Merobaude, estese il suo potere sulla Spagna e le province renane ponendo la capitale a Treviri. Quindi, per nulla intimorito, intavolò trattative con Valentiniano II e Teodosio; i due Augusti lo riconobbero loro collega lasciandogli il controllo di tutte le province transalpine; Teodosio ordinò al prefetto del Pretorio Cinegio di erigere una statua al nuovo sovrano ad Alessandria d’Egitto.

La situazione si stabilizzò per qualche tempo, Valentiniano II, influenzato da sua madre Giustina, fervente ariana, fece concessioni a favore dei seguaci di Ario, ciò fece infuriare Ambrogio e ne indebolì la posizione a corte; in questo contesto ritornò in vita la questione dell’altare della Vittoria. Giustina, timorosa di Massimo, fervente cattolico, cercò l’appoggio della classe pagana e già nel 384 le posizioni più importanti furono assunte da gentili: Bautone e Rumorido ebbero il comando delle forze armate, Agorio Pretestato fu eletto prefetto del Pretorio, Simmaco divenne prefetto dell’Urbe. Proprio in quell’anno Valentiniano II promulgò un decreto imperiale (ispirato dal prefetto del Pretorio d’Italia, il pagano Pretestato), contro chi rubava materiale da costruzione ed oggetti dai templi pagani. In estate Simmaco, forte della sua carica, si recò a Milano e presentò a Valentiniano una relazione (la famosa Relatio III) che richiedeva che l’altare della Vittoria fosse ricollocato nella Curia. La corte e il giovane Augusto avrebbero accettato ma Ambrogio, intervenuto (tramite due lettere, la 17^ e la 18^ del suo epistolario), riuscì a far cambiare parere al sovrano. Simmaco rassegnò le dimissioni e Pretestato morì poco dopo.

Forse per contrastare questa rinascita pagana, papa Damaso, appoggiato da Ambrogio, ottenne (tra il 382 e il 384) che gli Augusti promuovessero la costruzione della Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma lungo la via Ostiense, la nuova chiesa avrebbe sostituito una chiesetta più piccola eretta, forse, da Costantino; i lavori proseguirono fino al 400 d.C.

Il 384 vide il generale vandalo Flavio Stilicone sposare Serena, nipote di Teodosio (era figlia di suo fratello Onorio).

Intanto in Occidente Giustina riuscì a plagiare del tutto il figlio e questi, nel 385, chiese ad Ambrogio di cedere la suburbana Basilica Porziana (probabilmente l’attuale basilica di S. Lorenzo) agli Ariani. Il vescovo si rifiutò categoricamente appoggiato dalla folla strepitante.

Nel Gennaio del 386 comunque, Valentiniano, sempre su pressione della madre, emanò un editto di tolleranza nei confronti degli Ariani, Ambrogio si lamentò con Teodosio che gli diede ragione. Durante la settimana di Pasqua del 386, Valentiniano richiese per la seconda volta la Basilica Porziana per il culto ariano ed inoltre pretese la Basilica Nova, che era la cattedrale di Milano (e che in seguito fu dedicata a S. Tecla). Ambrogio si oppose fermamente mentre i fedeli suoi sostenitori occuparono la cattedrale; quindi il vescovo tenne dei sermoni infuocati e riuscì a far recedere Valentiniano dal suo proposito. In quello stesso anno Teodosio respinse un’invasione di Greutungi che avevano attraversato il Danubio, alla campagna partecipò il giovane Arcadio che doveva apprendere sul campo l’arte militare e Promoto, magister peditum della Tracia: al ritorno a Bisanzio fu celebrato il trionfo.

Durante il regno di Teodosio le tasse (come detto prima) andarono progressivamente aumentando; nel Gennaio del 387, l’ennesimo rincaro causò la rivolta della popolazione di Antiochia sull’Oronte che distrusse oltraggiosamente le statue di Teodosio, di suo padre, di Flaccilla e dei due figli e le trascinò per le strade della città. Un corpo di arcieri domò la rivolta, quindi il governatore avvisò Teodosio mentre il vescovo Flaviano e il retore Ilario partirono per Bisanzio. Dopo venti giorni il magister officiorum Cesario e il magister militum Ellebico giunsero ad Antiochia con la sentenza. La metropoli fu degradata al grado di città, privata delle sue terre, dei suoi privilegi e delle sue rendite, fu sottoposta al governo di Laodicea, si chiusero i teatri, le terme e il circo, fu privata delle elargizioni di grano. Quindi i due commissari aprirono un’inchiesta, chi fu trovato colpevole fu severamente punito, in difesa della città il famoso retore Libanio pronunciò l’orazione Sulla sedizione ma nonostante ciò molti senatori antiochieni furono arrestati. Alla fine, i due commissari decisero di parlare con l’imperatore per avere conferma delle sue decisioni, Ellebico rimase ad Antiochia, Cesario tornò a Bisanzio. Qui giunto trovò Teodosio deciso a perdonare i rivoltosi (le argomentazioni di Flaviano ed Ilario avevano fatto breccia), alla città fu concessa un’amnistia; l’imperatore incaricò quindi Libanio di comporre l’orazione Sulla riconciliazione, mentre la cittadinanza eresse mille nuove statue alla famiglia imperiale.

Sempre nel 387 Massimo elevò suo figlio, Flavio Vittore, al rango di Augusto, quindi, in estate, decise di valicare le Alpi per eliminare Valentiniano con il pretesto di difendere l’ortodossia minacciata dall’arianesimo di Giustina. L’Augusto, sua madre e le sue tre sorelle (Galla, Giusta e Grata) fuggirono dall’Italia e si rifugiarono a Tessalonica chiedendo ospitalità ed aiuto a Teodosio. Davanti al imperatore d’Oriente Giustina ricordò i tanti benefici di cui lui doveva essere grato alla sua famiglia (per ultimo l’essere diventato Augusto) e chiese che le offese di Massimo fossero punite. Teodosio non parve molto propenso alla guerra, quindi la scaltra Giustina gli mise a fianco la sua bellissima figlia Galla da cui Teodosio fu sedotto. Preso di passione per la giovane principessa, l’imperatore (rimasto vedovo nel 386 per la morte di Flaccilla) la chiese in moglie. Giustina acconsentì a patto che movesse guerra a Massimo e vendicasse la sua famiglia: Teodosio accettò e, dopo che Galla e i suoi familiari ebbero ripudiato l’Arianesimo (almeno ufficialmente), sposò la ragazza (autunno 387) e iniziò i preparativi per la guerra contro Massimo. La passione per Galla giustifica, agli occhi del pagano Zosimo, la guerra condotta da Teodosio contro Massimo; secondo lo storico, infatti, Teodosio non avrebbe voluto assolutamente imbarcarsi in questo scontro (troppo preso dai piaceri a cui si dedicava) ma la folle passione per la giovane principessa lo spinse all’azione [6]. È difficile valutare le motivazioni del sovrano, gli storici della Chiesa raccontano solo che l’imperatore decise di portare guerra all’usurpatore per riguardo alla memoria di Graziano ma omettono le questioni sentimentali [7], del resto Zosimo tende a screditare sempre l’imperatore a cui era fortemente ostile e lo dipinge come un maturo depravato gaudente spinto solo dalla passione per la giovane e bella principessa.

Mentre l’imperatore si preparava ad assalire Massimo, i Goti di Edoteo ne approfittarono per minacciare l’Impero. Contro di loro mossero le truppe imperiali guidate dal generale Promoto che affrontò e massacrò i Goti obbligandoli alla resa. I superstiti furono portati in Frigia come contadini o integrati nell’esercito in vista dalla spedizione in Occidente.

Finalmente l’estate del 388 vide le truppe di Teodosio (al comando di Promoto e Timasio che guidavano la cavalleria l’uno e la fanteria l’altro) marciare attraverso l’Illirico per valicare le Alpi, a Siscia, sulla Sava, e poi a Petovio le truppe di Massimo furono duramente sconfitte da forze molto inferiori. Dopo lo scontro di Petovio molti uomini dell’esercito di Massimo passarono dalla parte di Teodosio; intanto una flotta fece sbarcare Valentiniano e Giustina che raggiunsero Roma (evitando la flotta nemica che, guidata da Andragazio, cercò di fermarli). Valicate le Alpi, Teodosio piombò su Massimo che, impreparato, si trovava ad Aquileia: il 28 Agosto la città fu presa d’assalto dalle truppe teodosiane che trovarono scarsa resistenza. “Massimo fu deposto dal trono imperiale proprio quando si accinse a distribuire denaro ai suoi soldati: spogliato della veste imperiale fu condotto davanti a Teodosio. L’imperatore, dopo avergli rimproverato brevemente le colpe commesse contro lo stato, lo consegnò al carnefice, perché subisse la giusta punizione” [8]. Eliminato Massimo (Andragazio, venuto a conoscenza della sconfitta, si era suicidato), Teodosio inviò in Gallia il suo comandante franco Arbogaste che provvide ad eliminare Vittore: l’usurpazione era conclusa, Valentiniano II, recuperato il trono, riprese a governare e revocò i privilegi concessi agli Ariani (questo fu possibile grazie al fatto che, proprio in quei giorni, sua madre Giustina morì, lasciando il figlio libero di decidere come meglio credeva). Quell’estate fu allietata da una seconda buona notizia, l’imperatrice Galla diede alla luce la quartogenita di Teodosio (prima di morire Flaccilla aveva partorito Pulcheria) a cui fu dato il nome di Galla Placidia (è però incerto se la neonata nacque a Tessalonica o a Bisanzio).

Teodosio, comunque, non ripartì subito per l’Oriente ma rimase a Milano per amministrare e riordinare gli affari dell’Occidente. Fin dal 387 l’influenza del vescovo Ambrogio era andata aumentando presso Teodosio; il primo grande segnale di questa situazione si ebbe proprio nel 388. In quell’anno i Cristiani di Nicephorium Callinicum (in Mesopotamia), in un eccesso d’intolleranza antigiudaica (guidati dal loro vescovo), distrussero la sinagoga della comunità ebraica della città. Il governatore punì il prelato e deliberò la ricostruzione dell’edificio a spese della comunità cristiana; Teodosio, informato della situazione, confermò le scelte del governatore. Quando, però, Ambrogio seppe di questo provvedimento si rifiutò di dire messa finché l’imperatore non revocò l’ ordine di ricostruzione e lasciò il vescovo di Callinicum impunito.

Il massacro di Tessalonica (390 d.C.)

Mentre l’imperatore era a Milano, Tessalonica fu sconvolta da un grave tumulto. Il più celebre auriga dell’ippodromo fu messo in carcere su ordine di Boterico (un barbaro che ricopriva l’incarico di magister militum per Illyricum) che vietò pure le gare. La popolazione urbana non tollerò che il suo beniamino marcisse in galera mentre si dovevano svolgere le gare e ben presto l’ira popolare si tramutò in tumulto; durante i tafferugli accadde l’irreparabile: Boterico ed altri comandati barbari furono uccisi e i loro corpi trascinati per la città. La notizia raggiunse ben presto Teodosio a Milano, il sovrano fu travolto dall’ira e, nel Maggio del 390, ordinò il massacro dei cittadini di Tessalonica. La popolazione fu fatta affluire nell’ippodromo con il pretesto di assistere ai giochi offerti dal sovrano, quando la gente si fu assiepata sulle gradinate, apparvero i soldati che iniziarono a far strage degli spettatori, quando il massacro si concluse si contarono 7.000 morti (alcuni dicono 15.000). Pare che Teodosio fu, in un secondo momento, preso dal rimorso e inviò un contrordine per fermare il massacro ma il messaggio giunse troppo tardi. L’eccidio di Tessalonica turbò tutto l’Impero e soprattutto il vescovo Ambrogio: questi non perse tempo e scrisse una lettera all’imperatore in cui gli riferiva che un sogno lo ammoniva a non celebrare messa davanti al sovrano finché questi non si fosse pentito. L’imperatore fortemente turbato decise di recarsi in chiesa ma fu fermato all’ingresso da Ambrogio che gli intimò chiaramente di fare pubblica ammenda della sua colpa.  Dopo otto mesi di penitenze, nei giorni di Natale del 390, Teodosio si spogliò dei suoi simboli imperiali, entrò come un supplice in chiesa e chiese umilmente perdono dei sui peccati, Ambrogio lo perdonò.

Questo fu uno dei momenti più importanti della storia del IV secolo, per la prima volta il potere spirituale riuscì ad imporsi e ad umiliare il potere temporale, e si vide un vescovo più potente di un imperatore. Ci si è sempre chiesti il perché di una così violenta reazione imperiale, Santo Mazzarino sostiene che dietro la morte di Boterico ci fu uno scoppio d’ira antibarbarico della popolazione urbana, lo studioso giunge fino ad ipotizzare che Boterico fosse il re degli Ostrogoti stanziati in Illirico e che Teodosio, per proteggere la pace con i barbari ed evitare nuove guerre come quelle dell’epoca di Valente, decise di punire in modo esemplare i cittadini di Tessalonica e salvare così il foedus con i Goti: “Allora si vide che la romanità, anche se per ragione di stato, doveva essere umiliata da un imperatore come Teodosio (uomo, per altro, di spiriti certamente romani)” [9].

Abbellimenti di Costantinopoli

In questi anni Teodosio diede l’avvio ad una serie di lavori che abbellirono Bisanzio. Lungo il Mar di Marmara fu scavato un nuovo porto ed eretti dei nuovi magazzini per venire incontro alle esigenze della popolazione in crescita. Quindi si provvide alla costruzione di un nuovo foro che si andasse ad aggiungere a quello di Costantino. I lavori iniziarono intorno al 386 e si conclusero con l’inaugurazione nel 393: la piazza porticata fu edificata poco lontano del primo foro, lungo la Mese (la grande arteria colonnata che attraversava tutta la Città). Contrariamente al Foro di Costantino (che era circolare), quello di Teodosio fu quadrangolare: due grandi archi trionfali lo misero in comunicazione con la Mese, sul lato settentrionale fu costruita una basilica mentre al centro della piazza fu eretta una colonna coclide (sul tipo di quelle di Traiano e Marco Aurelio a Roma) che sorreggeva i rilievi che illustravano le campagne militari di Teodosio. In cima alla colonna, poco dopo, fu posta una statua equestre dell’imperatore. Sul basamento fu incisa questa iscrizione:

Lasci l’Oriente d’un balzo, novello chiarissimo sole,

mite ai mortali, a mezzo del cielo, Teodosio, risplendi,

mentre ai tuoi piedi l’Oceano col mondo infinito si stende.

Sei d’ogni parte lucente, sul capo il cimiero; il cavallo

fulgido, senza fatica, alla corsa, magnanimo, spingi“ [10].

Tra il nuovo foro (che fu poi detto Forum Tauri) e quello di Costantino, all’incrocio tra la Mese e quelli che poi furono chiamati i Portici di Domnino, fu costruito un Tetrapylon che rese ancora più monumentale la grande arteria viaria. La struttura fu composta da un arco quadrifronte coperto da un tetto a piramide ed abbellita da rilievi in bronzo, al vertice della piramide fu posta una Vittoria alata come banderuola segna vento; per questo motivo fu in seguito chiamato Anemodoulion (“lo schiavo dei venti”). Il Tetrapylon fu distrutto dai Crociati nel 1204.

Nell’anno 390 (per celebrare la vittoria su Massimo) vi fu l’erezione del grande obelisco di Tutmosi III (in origine collocato ad Eliopoli) al centro della spina dell’Ippodromo di Costantinopoli, l’obelisco giaceva da anni al porto di Alessandria, in quell’anno si riuscì ad imbarcarlo e a trasportarlo, non senza molte difficoltà (l’obelisco, infatti, si spezzò), a Bisanzio. Il monolito fu posto su un grande basamento di marmo raffigurante Teodosio e i suoi figli che assistono alle gare, un’iscrizione in latino ricorda la vittoria sui “tiranni” (Massimo e Vittore) e la collocazione dell’obelisco in trenta giorni, sotto la guida di Proclo, il prefetto urbano:

DIFFICILE QUONDAM DOMINIS PARERE SERENIS

IUSSUS ET EXCTINCTIS PALMAM PORTARE TYRANNIS

OMNIA THEODOSIO CEDUNT SUBOLIQUE PERENNI

TER DENIS SIC VICTUS EGO DOMITUSQUE DIEBUS

IUDICE SUB PROCLO SUPERAS ELATUS AD AURAS ”.

Una seconda epigrafe, in greco, invece, pone l’accento sulla straordinarietà dell’impresa compiuta, in trentadue giorni, da Proclo su ordine del sovrano:

“KIONA TETRAPLEURON AEI CQONI KEIMENON ACQOS

MOUNOS ANASTHSAI QEUDOSIOS BASILEUS

TOLMHSAS PROKLOS EPEKLETO KAI TOSOS ESTH

KIWN HELIOIS EN TRIAKONTA DUO” [11].

I decreti antipagani

Teodosio rimase in Italia tre anni (dall’Agosto del 388 al Giugno del 391) e durante questo periodo visitò Roma (nel 389). Il 391 vide il Senato di Roma inviare due delegazioni (una a Teodosio a Milano, l’altra a Valentiniano a Vienna, in Gallia) per richiedere il ritorno dell’altare della Vittoria nella Curia, gli emissari non furono minimamente ascoltati. Anzi, probabilmente per ispirazione di Ambrogio, Teodosio emanò dei decreti fortemente antipagani che resero esecutivo l’Editto di Tessalonica.

Il primo fu emanato il 24 Febbraio del 391 da Milano ed impedì qualsiasi sacrificio e l’accesso ai templi pagani, anche per ammirare le opere d’arte:

L’Augusto Imperatore (Teodosio) ad Albino, prefetto del Pretorio.

Nessuno violi la propria purezza con riti sacrificali, nessuno immoli vittime innocenti, nessuno si avvicini ai santuari, entri nei templi e volga lo sguardo alle statue scolpite da mano mortale perché non si renda meritevole di sanzioni divine ed umane. Questo decreto moderi anche i giudici, in modo che, se qualcuno dedito a un rito profano entra nel tempio di qualche località, mentre è in viaggio o nella sua stessa città, con l’intenzione di pregare, venga questi costretto a pagare immediatamente 15 libbre d’oro e tale pena non venga estinta se non si trova innanzi a un giudice e consegna tale somma subito con pubblica attestazione. Vigilino sull’esecuzione di tale norma, con egual esito, i sei governatori consolari, i quattro presidi e i loro subalterni.

Milano, sei giorni prima delle Calende di Marzo sotto il consolato di Taziano e Simmaco” [12].

Il secondo fu emanato da Concordia l’11 Maggio e stabilì pene severe contro i Cristiani che avessero abiurato la fede cadendo di nuovo nel paganesimo (i cosiddetti “lapsi”):

Gli Augusti Imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio a Flaviano, prefetto del Pretorio.

Coloro che hanno tradito la santa fede e hanno profanato il santo battesimo, siano banditi dalla comune società: siano esentati dalla testimonianza (in tribunale), e come già abbiamo sancito non abbiano parte nei testamenti, non ereditino nulla, non siano indicati come eredi da nessuno. Coloro ai quali era stato comandato di andarsene lontano e essere esiliati per lungo tempo, se non sono stati visti versare un compenso maggiore tra gli uomini, anche del voto degli uomini siano privati.

Se casomai ritornano nello stato precedente (il paganesimo), non sia cancellata la vergogna dei costumi con la penitenza, né sia riservata loro alcuna particolare protezione di difesa o di riparo, poiché certamente coloro i quali contaminarono la fede, con la quale hanno riconosciuto Dio, e orgogliosamente trasformarono i divini misteri in cose profane, non possono conservare le cose che sono immaginarie e a proprio comodo. Poiché sia portato soccorso ai lapsi e agli erranti, non ci sia rimedio di penitenza alla vera perdizione, cioè alla profanazione del santo battesimo, la quale solitamente soccorre per giovare per gli altri crimini.

Concordia, cinque giorni prima delle Idi di Maggio sotto il consolato di Taziano e Simmaco” [13].

Il 16 Giugno del 391 un terzo decreto ribadì il divieto di culto nei templi pagani espresso il 24 Febbraio:

L’Augusto Imperatore (Teodosio) al prefetto Evagrio e all’attendente romano in Egitto.

A nessuno sia accordata facoltà di compiere riti sacrificali, nessuno si aggiri attorno ai templi, nessuno volga lo sguardo verso i santuari. Si identifichino, in particolar modo, quegli ingressi profani che rimangono chiusi in ostacolo alla nostra legge così che, se qualcosa incita chicchessia ad infrangere tali divieti riguardanti gli dei e le cose sacre, riconosca il trasgressore di doversi spogliare di alcuna indulgenza. Anche il giudice, se durante l’esercizio della sua carica ha fatto ingresso come sacrilego trasgressore in quei luoghi corrotti confidando nei privilegi che derivano dalla sua posizione, sia costretto a versare nelle nostre casse una somma pari a 15 libbre d’oro a meno che non abbia ovviato alla sua colpa una volta riunitesi le truppe militari.

Aquileia, sedici giorni prima delle Calende di Luglio, sotto il consolato di Taziano e Simmaco” [14].

Nel Luglio di quell’anno Teodosio ripartì per Costantinopoli da cui era assente da tre anni, prima di partire l’imperatore affidò il giovane Valentiniano II alla guida esperta del generale franco Arbogaste che avrebbe controllato l’Occidente per conto di Teodosio con il grado di magister militum (subentrando al franco Flavio Bautone, amico dell’imperatrice Giustina, morto nel 388). Il 10 Novembre del 391 Teodosio rientrò a Bisanzio dopo aver vinto, con l’aiuto di Promoto, dei barbari che stavano devastando la Macedonia.

La distruzione dei templi pagani

La fervente fede imperiale (guidata da Ambrogio), diede mano libera ai gruppi cristiani più fanatici che videro l’opportunità di eliminare i resti del culto pagano ancora presenti nell’Impero. Fin dal 385 le fonti ci parlano di distruzioni condotte dalle autorità civili o da fanatici. Il prefetto del Pretorio Cinegio ed il vescovo di Apamea, Marcello, distrussero il tempio di  Zeus ad Apamea ed altri santuari. Sempre Marcello guidò soldati e gladiatori all’assalto del tempio di Aulon presso Apamea; ancora il prefetto Cinegio fece chiudere, tra il 385 ed il 388, numerosi templi in Siria ed Egitto, mentre dei monaci fanatici devastavano le campagne ed i luoghi di culto campestri e rupestri. Fu smantellato il colossale santuario della Luna a Carre (ma forse era un santuario ad Edessa). A Beroea fu distrutta la statua in bronzo di Asclepio, ritratto con le sembianze di Alcibiade, opera di Fidia. Eventi simili accaddero anche ad Efeso. L’oratore pagano Libanio ci ha lasciato traccia di questi scempi in un’orazione scritta in questo periodo (la data oscilla tra il 384 ed il 390). Il testo è indirizzato all’imperatore Teodosio, ma non c’è sicurezza che sia stato effettivamente pronunciato davanti al sovrano (forse girava nei circoli pagani dell’Impero), ad un certo punto dell’orazione, il retore di Antiochia descrive l’azione dei monaci contro i templi di campagna: “Tu dunque comandasti che i templi non venissero chiusi e che non vi fosse proibizione d’entrarvi, né bandisti il fuoco né l’incenso né le altre offerte di profumi dai templi e dagli altari; questi uomini vestiti di nero invece, che mangiano più degli elefanti, che stancano, per l’abbondanza delle coppe che tracannano, coloro che versano loro da bere al suono dei loro canti, essi, che nascondono questi eccessi sotto un pallore che si procurano artificialmente, o imperatore, in violazione della legge in vigore, corrono contro i templi portando legna, pietre e ferro; e quelli che non ne hanno si servono di mani e piedi. E poi, preda dei Misi, i tetti vengono tirati giù, i muri diroccati, le statue abbattute, gli altari rovesciati, i sacerdoti costretti a tacere o morire. Distrutto il primo tempio si corre ad un secondo e poi ad un terzo, e trofei si aggiungono a trofei, contro ogni legge. Tutte queste violenze si osano anche in città, ma per lo più nelle campagne” [16].

Nel 387, l’imperatore Teodosio scrisse ad Ambrogio [17] per comunicargli che bande di eremiti fanatici avevano invaso Antiochia causando enormi danni, in conseguenza di fatti come questi, nel 390  fu varata una legge che obbligava i monaci a risiedere solo in località deserte ed appartate [18]. Gli eventi più violenti accaddero ad Alessandria d’Egitto.

Da tempo avvenivano tafferugli in città, causati dall’opposizione dei pagani ai Cristiani. Nel 391 avvenne lo scontro finale; secondo Rufino e Sozomeno [15] il vescovo Teofilo decise (con il permesso imperiale) di tramutare in chiesa il tempio di Dioniso. Questo atto fece insorgere i pagani della città che uccisero alcuni Cristiani e si asserragliarono nel gigantesco santuario di Serapide (secondo per magnificenza solo al Campidoglio di Roma). Prendendo a pretesto questi incidenti, molti Cristiani, guidati da Teofilo, misero l’assedio al santuario (posto su una collina ed acropoli della città). I pagani all’interno si appellarono all’imperatore che inviò una lettera con cui perdonava i pagani per le violenze ma ordinava la distruzione del tempio. Nonostante la strenua resistenza, guidata dal filosofo neoplatonico Olimpio, i Cristiani irruppero nel santuario e lo diedero alle fiamme radendolo al suolo, nell’incendio andò perduta anche tutta la biblioteca (gemella di quella più famosa, che si trovava nel quartiere dei palazzi reali ed era stata distrutta ai tempi dell’imperatore Aureliano) e con essa tutto il sapere ivi contenuto.

Qualche tempo dopo lo stesso trattamento fu riservato al santuario di Canopo. Questi sono solo alcuni esempi della devastazione recata agli antichi santuari; intanto Teodosio emanò un altro decreto che privò il culto pagano dei sussidi pubblici, a Roma fu spento il sacro fuoco che ardeva, dai tempi di Romolo, nel tempio di Vesta nel Foro Romano, lo stesso ordine delle Vestali fu sciolto e nella loro casa furono alloggiati dei funzionari pubblici.

La rivolta di Arbogaste ed Eugenio (392 – 394 d.C.)

Il 392 vide accadere vari eventi, l’imperatore stipulò un nuovo trattato con i Goti dopo che questi, l’anno prima, avevano dato vita ad un’insurrezione di non vasta portata capeggiata da un giovane che avrebbe fatto molto parlare di sé negli anni seguenti, Alarico. La rivolta fu domata dal generale Stilicone; secondo il Mazzarino tramite il nuovo foedus Alarico divenne il nuovo magister militum per Illyricum a posto del defunto Boterico, ma la cosa non è certa [19].

Mentre Teodosio risiedeva a Costantinopoli, in Occidente Valentiniano II (ormai ventenne) decise di esautorare Arbogaste, il cui potere era divenuto troppo ampio. Quindi l’imperatore spedì al franco una lettera con cui lo dimetteva dal suo incarico, Arbogaste non prese minimamente in considerazione l’ordine. Il 15 Maggio del 392 (vigilia di Pentecoste) Valentiniano II fu trovato privo di vita (impiccato) nel palazzo imperiale di Vienna, nella Gallia meridionale. Arbogaste avvisò Teodosio del suicidio dell’imperatore, ma molti sospettarono che il generale fosse implicato nella triste fine del sovrano. Il funerale di Valentiniano si svolse a Milano dove Ambrogio tenne una magnifica orazione funebre (la De Obitu Valentinianii) tessendo le lodi (un po’ eccessive) del defunto sovrano.

Per alcuni mesi la situazione fu in stallo finché Arbogaste gettò la maschera e il 2 Agosto proclamò Flavio Eugenio (un ex maestro di grammatica e retorica divenuto magister scrinii) imperatore d’Occidente. Questo Eugenio, sebbene battezzato, tenne un atteggiamento paganeggiante che gli attirò i favori della classe colta di Roma, la famiglia di Simmaco e quella dei Nicomachi appoggiarono il ribelle (Nicomaco Flaviano padre fu nominato prefetto del pretorio d’Italia, Nicomaco Flaviano figlio divenne prefetto urbano). La classe senatoria abbracciò la causa del ribelle, le prefetture di Gallia, Italia e Africa si schierarono con Arbogaste ed Eugenio, questi (nel 393) riposizionò l’altare della Vittoria nella Curia del Senato, ripristinò i privilegi per i sacerdoti pagani ed inviò emissari a Teodosio chiedendogli di riconoscerlo come imperatore, Teodosio diede doni agli ambasciatori e li rabbonì, ma nel frattempo iniziò i preparativi per la guerra (Valentiniano era fratello di sua moglie e doveva essere vendicato).

In quegli anni si fece avanti la figura di Flavio Rufino: di origine gallica, dal 388 al 392 fu magister officiorum, aumentando il proprio potere entrò in conflitto con Promoto. Alla fine del 391 il valoroso magister peditum entrò in contrasto con Rufino e fu ucciso. La stessa sorte colpì il prefetto del Pretorio Taziano e il prefetto urbano Proclo (padre e figlio) che furono ingiustamente accusati, processati e condannati a morte; quando Proclo fu condannato il suo nome fu eraso dall’iscrizione posta alla base dell’obelisco dell’Ippodromo, in seguito la sua memoria fu riabilitata ed il nome fu reinserito nell’epigrafe. Divenuto uno degli uomini più potenti dell’Impero d’Oriente, nel Settembre del 392 Rufino divenne prefetto del Pretorio (dopo essere stato console con Arcadio ad inizio anno).

Qualche mese dopo (l’8 Novembre 392) un nuovo editto proibì i culti pagani privati e previde multe per chi effettuava sacrifici:

Gli Augusti Imperatori Teodosio, Arcadio e Onorio a Rufino prefetto del Pretorio.

Nessuno, di qualunque genere, ordine, classe o posizione sociale o ruolo onorifico, sia di nascita nobile sia di condizione umile, in alcun luogo per quanto lontano, in nessuna città scolpisca simulacri mancanti di sensazioni o offra alcuna vittima innocente agli dei o bruci segretamente un sacrificio ai Lari, ai Geni, ai Penati, accenda fuochi, offra incensi, apponga corone. Poiché se si ascolterà che qualcuno avrà immolato una vittima sacrificale o avrà consultato viscere, sia accusato di reato di lesa maestà e accolga la sentenza competente, benché non abbia cercato nulla contro il principio della salvezza o contro la sua salvezza. È sufficiente infatti per l’accusa di crimine il volere contrastare la stessa legge, perseguire le azioni illecite, manifestare le cose occulte, tentare di fare le cose interdette, cercare una salvezza diversa promettere una speranza diversa.

Se qualcuno poi ha venerato opere mortali e simulacri mondani con incenso e, ridicolo esempio, teme anche coloro che essi rappresentano, o ha incoronato alberi con fasce, o eretto altari con zolle scavate alle vane immagini, più umilmente è possibile un castigo di multa: ha tentato una ingiuria alla piena religione, è reo di violata religione. Sia multato nelle cose di casa o nel possesso, essendosi reso servo della superstizione pagana. Tutti i luoghi poi nei quali siano stati offerti sacrifici d’incenso, se il fatto viene comprovato, siano associati al nostro fisco. Se poi in templi e luoghi di culto pubblici o in edifici rurali qualcuno cerca di sacrificare ai Geni, se il padrone di casa non ne è a conoscenza, 25 libbre di oro di multa si propone di infliggere al sacrificante, è bene poi essere indulgenti verso il padrone e trattenere la pena.

Poiché poi vogliamo custodire l’integrità di giudici o difensori e ufficiali delle varie città, siano subito denunciati coloro scoperti negligenti, quelli accusati siano puniti. Se questi infatti sono creduti nascondenti favori o negligenze, saranno sotto giudizio. Coloro poi che assolvono (gli accusati di idolatria) con finzione, saranno multati di 30 libbre di oro, sottostando anche agli obblighi che derivano da un loro simile comportamento dannoso.

Costantinopoli, sei giorni prima delle Idi di Novembre, sotto il consolato di Arcadio e Rufino” [20].

Il 23 Gennaio del 393 il principe Flavio Onorio (a dieci anni d’età) fu riconosciuto Augusto e associato al trono con suo padre e suo fratello. Sempre in quell’anno si spense un’altra vestigia del paganesimo, l’imperatore Teodosio abolì i Giochi Olimpici che, in quanto dedicati a Zeus, erano considerati manifestazione di culto pagano. Dopo più di mille anni i Giochi si chiusero con la CCXCIII Olimpiade e si riaprirono solo nel 1896.

Il 1° Gennaio del 394 Eugenio nominò Nicomaco Flaviano padre console unico, Teodosio rispose nominando consoli Arcadio (per la III volta) ed Onorio (per la II).

In primavera l’imperatrice Galla morì dando alla luce un figlio a suo marito, neppure il bambino sopravvisse.

Finalmente, in estate (dopo una pausa causata dalla scomparsa di Galla), i preparativi per la guerra contro Eugenio ed Arbogaste furono ultimati e Teodosio partì per l’Italia. Arcadio rimase a Bisanzio sotto la reggenza di Rufino, Onorio partì con suo padre. Teodosio scelse come comandanti Timasio (che prese Stilicone come suo vice) per le truppe romane, Gainas e Saul per le truppe alleate; alla spedizione partecipò pure il giovane Alarico (tornato fedele alleato dell’Impero) alla testa di un contingente di Goti.

A Settembre le truppe di Teodosio valicarono le Alpi Giulie e giunsero al fiume Frigido, affluente dell’Isonzo. Qui i due eserciti si scontrarono il 5 Settembre, le truppe di Eugenio si posero sotto la protezione di Ercole invincibile, gli uomini di Teodosio sotto la Croce. Durante lo scontro ci fu un’eclissi solare, ma la lotta proseguì fino alla sera quando i due eserciti si ritirarono nei loro accampamenti. Eugenio si esaltò per il risultato dello scontro (le vittime di Teodosio erano state numerose, soprattutto tra i Goti che erano in prima linea e che, secondo Orosio, persero 10.000 uomini [21]) e si ritirò nella sua tenda per un banchetto. L’indomani però le truppe di Teodosio piombarono sul campo nemico e l’assalirono di sorpresa travolgendo tutto e tutti, Eugenio saltò in sella per fuggire ma fu preso e decapitato, la sua testa, posta su una picca, fu mostrata a tutti i soldati, la resistenza dei ribelli cessò, la guerra era finita (6 Settembre 394).

“Quasi tutti quelli sopravvissuti dopo la vittoria corsero dall’imperatore, lo proclamarono Augusto e chiesero perdono per le colpe commesse; e l’imperatore accettò di buon grado” [22]. Arbogaste, in un primo tempo, cercò di fuggire sui monti ma poi, disperando nella salvezza, si uccise. Lo stesso fece Nicomaco padre.

La fine (394 – 395 d.C.)

Posta la sua residenza a Milano, Teodosio decise una riorganizzazione generale dell’Occidente. Il generale Stilicone fu nominato magister utriusque militiae presentalis, e gli fu affidata la custodia di Onorio che avrebbe retto l’Occidente, poi rimosse i pagani dai loro incarichi e ripristinò le leggi antipagane annullate da Eugenio (rimuovendo pure l’altare della Vittoria dal Senato dove non fu più collocato, la statua fu lasciata come opera d’arte).

“Dopo questa vittoria, ammalatosi, divise l’impero tra i suoi figli. Affidò al più grande la sua parte dell’impero, al più piccolo lo scettro d’Europa. Consigliò entrambi a mantenere intatta l’ortodossia. Disse: <Per mezzo di questa si conserva la pace, si pone fine alla guerra, i nemici sono volti in fuga, si innalzano trofei, si ottiene la vittoria>. Avendo così esortato i propri figli, morì lasciando una gloria che sarà sempre ricordata. I successori dell’impero furono anche eredi della sua pietà religiosa” [23].

Flavio Teodosio si spense a Milano colpito dall’idropisia il 17 Gennaio del 395, aveva vissuto quarantotto anni e regnato per sedici. Il 27 Febbraio nella Basilica Nova, il vescovo Ambrogio tenne i solenni funerali del sovrano pronunciando l’orazione De Obitu Theodosii (nell’orazione Ambrogio descrisse l’anima di Teodosio accolta in cielo da suo padre, dall’imperatore Graziano, dalla sua prima moglie Flaccilla e dai piccoli Graziano e Giovanni, partoritigli da Galla e morti nella prima infanzia). L’8 Novembre di quell’anno il suo corpo fu tumulato nel mausoleo imperiale della chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli dove rimase fino al saccheggio crociato del 1204. Morendo, l’imperatore lasciò Onorio (di 11 anni) al comando dell’Occidente e Arcadio (di 18 anni) al comando dell’Oriente sotto la reggenza del fidato Stilicone (che era divenuto genero adottivo di Teodosio che aveva adottato Serena, moglie di Stilicone e sua nipote, come figlia).

“Sulla continuità dinastica, sulla fedeltà del parens e magister utriusque militiae Stilicone, riposava l’edificio politico lasciato da Teodosio” [24].

La sorte dei figli

I suoi figli maschi non furono, però, all’altezza del padre: Arcadio passò la sua vita a Bisanzio succube dei suoi potentissimi primi ministri e di sua moglie ma riuscì, morendo il 1° Maggio del 408, a lasciare il trono a suo figlio Teodosio II. Ancora peggiore fu la situazione in Occidente; Onorio trascorse la vita rintanato nel suo palazzo di Ravenna (dove la corte fu trasferita da Milano per paura dei barbari) non curandosi dello sfaldamento del suo Impero (durante il suo regno la Britannia fu perduta, i Vandali s’insediarono in Spagna e i Visigoti di Alarico, dopo aver saccheggiato Roma, fondarono un regno indipendente tra Spagna e Gallia), morendo a Ravenna il 15 Agosto 423. Brutta fine fecero i due potenti primi ministri: Rufino, dopo aver contrastato in ogni modo l’operato di Stilicone (giungendo quasi a porre le due parti dell’Impero una contro l’altra) fu ucciso dalle truppe di Gainas (su ordine di Stilicone) il 27 Novembre del 395; Flavio Stilicone, d’altro canto, fu per anni l’eminenza grigia dell’Impero d’Occidente (che salvò varie volte dai Goti) ma, alla fine, cadde pure lui in disgrazia e fu giustiziato il 22 Agosto del 408 (anche suo figlio Eucherio e sua moglie Serena lo seguirono poco dopo). Galla Placidia fu prima catturata dai Goti durante il sacco di Roma (24 Agosto 410), poi divenne moglie di Ataulfo, re dei Visigoti e successore di Alarico, quindi sposò Costanzo III e fu reggente dell’Impero d’Occidente per suo figlio Valentiniano III assistendo al declino dell’Impero, alla perdita dell’Africa (conquistata dai Vandali) e alle prime invasioni di Attila; morì il 27 Novembre 450. Con la morte senza eredi maschi di Teodosio II il 28 Luglio 450 e di Valentiniano III il 16 Marzo 455 la linea maschile della dinastia teodosiana si estinse dopo aver retto l’Impero per settantasei anni. La linea femminile, invece, proseguì ancora a lungo: la figlia di Teodosio II, Licinia Eudossia, sposò Valentiniano III e si spense a Bisanzio intorno al 493, Pulcheria, sorella di Teodosio II, divenne imperatrice alla morte del fratello insieme a suo marito Marciano morendo nel 453, le figlie di Valentiniano III, Eudocia e Placidia, ebbero una vita movimentata. Entrambe finirono prigioniere con la madre a Cartagine dopo il sacco vandalo di Roma nel 455: Eudocia sposò il figlio di Genserico, Unerico, divenendo regina dei Vandali e morì a Gerusalemme nel 472; Placidia, dopo essere stata inviata a Bisanzio con la madre, sposò il patrizio Anicio Olibrio che, nel 472, divenne, per soli sette mesi, imperatore d’Occidente. Purtroppo la moglie non vide quel giorno, infatti si spense intorno al 462, dopo la nascita della sua unica figlia, Anicia Giuliana che fu membro di spicco della nobiltà bizantina del V – VI sec.: sposa del console Flavio Areobindo, dal quale ebbe un figlio, Flavio Olibrio, che fu console nel 491, morì a Bisanzio nel 528.

Conclusione

I sedici anni del regno di Teodosio mutarono completamente il volto dell’Impero. Teodosio fu valente generale e risollevò l’Impero prostrato dal disastro di Adrianopoli, abbracciando la fede nicena segnò la fine dell’arianesimo ma anche del paganesimo (che fino ad allora era stato tollerato). In questa opera ebbe il fondamentale appoggio di S. Ambrogio che lo guidò nelle sue scelte più intransigenti (e per la sua fede Teodosio ottenne il titolo di Grande, che solo Costantino, prima di lui, aveva conseguito). Molto spesso si fece travolgere dall’ira e se Antiochia si salvò dalla sua furia, lo stesso non avvenne per Tessalonica. I suoi decreti antipagani posero fine ad una civiltà millenaria e spinsero i senatori romani ad appoggiare la rivolta di Eugenio (un oscuro figuro) e di Arbogaste (che era un barbaro). Quando al Frigido le truppe ribelli con i vessilli di Ercole si scontrarono con le truppe guidate dalla Croce, due mondi e due religioni vennero a cozzare e i vecchi dei ebbero la peggio sparendo dalla storia. Teodosio fu l’ultimo sovrano a governare un impero unito (anche se per pochi anni) e dividendo il trono tra i due figli pose fine all’unità dell’Impero che fino a questo momento era stato unico (anche se con più sovrani allo stesso tempo). Di tutte le sue scelte la più sbagliata fu, forse, proprio quella relativa ai figli: per la prima volta da secoli dei ragazzi furono alla guida dell’Impero senza un collega adulto che li affiancasse mentre l’aver affidato la reggenza a Stilicone causò più danni che altro (Rufino non accettò l’interpretazione data dal vandalo che lo voleva reggente per tutto l’Impero e si oppose con tutti i mezzi a Stilicone giungendo quasi allo scontro armato). Gli stessi figli non furono all’altezza del loro padre e del compito a loro assegnato e trascorsero una vita succubi dei loro ministri (Stilicone e Rufino in primis) e questo fu fatale soprattutto per l’Occidente che, in meno di cento anni, crollò senza opporre resistenza ai barbari.

 

Alcuni studiosi sostengono che la Storia Augusta fu composta in questi anni e usano come prova una frase riferita al regno dell’imperatore Tacito: “allontanino gli dei i principi fanciulli” [25]; se è così questa frase ben si adatta al periodo di Arcadio ed Onorio.

 

Altra scelta discutibile fu l’aver accolto i Goti nell’Impero arruolandoli nelle forze armate, questo imbarbarì l’esercito e pose all’interno del confine delle truppe autonome che aspettavano solo un grande capo che le guidasse. Quando questi si fece avanti (nella persona di Alarico), si vide quanto i barbari potessero essere pericolosi e a nulla valsero i vari trattati e patti stipulati o rinnovati dagli imperatori (Bisanzio fu a volte minacciata e Roma saccheggiata), sebbene Teodosio avesse fatto di tutto per dimostrarsi leale ed accogliente (e forse il massacro di Tessalonica fu dovuto a ciò). Gli antichi ebbero giudizi discordanti sulla figura di Teodosio: se per i pagani (Eunapio e Zosimo per primi) fu causa della fine del loro mondo, gli scrittori cristiani videro in lui un nuovo Costantino, il sovrano cristiano ideale, e ne tracciarono un profilo lusinghiero. Probabilmente la verità sta nel mezzo: fu indubbiamente un grande sovrano che seppe risollevare un Impero prostrato e lasciarlo saldo e forte alla sua morte, certo alcuni atti e gesti furono imperdonabili come la troppa libertà d’azione lasciata ad alcuni membri della corte (Ambrogio per primo) e il massacro di Tessalonica. Certamente, però, quando morì lasciò un Impero profondamente cambiato e molto diverso da quello che aveva trovato sedici anni prima, un paese molto più forte, più unito nella fede cristiana (secondo il credo di Nicea) ma che aveva già in sé i germi del crollo che travolgerà la Parte d’Occidente e muterà radicalmente la Parte d’Oriente.

 

“Con Teodosio morì anche lo spirito di Roma. Egli fu l’ultimo dei successori di Augusto che comandasse in persona gli eserciti in guerra e la cui autorità fosse riconosciuta in tutto l’Impero. La memoria della sua virtù continuò tuttavia a proteggere la giovane ed inesperta età dei suoi figli” [26].

 autore: ANTONINO MARLETTA

NOTE

 

[1] P. Heather, La caduta dell’impero romano, pag. 232.

[2] S. Mazzarino, L’impero romano, vol. II, pag. 733.

[3] Vedi Codice Teodosiano, XVI, 1, 2.

[4] Vedi ibidem, XVI, 10, 7; XVI, 10,8.

[5] Per l’editto di Costantino sul “dies Solis”, vedi Codex Iustinianus, III, 12, 2; per quello di Teodosio sul “dies dominicus”, vedi Cod. Theod., XI, 7, 13.

[6] Zosimo, Storia Nuova, IV, 43 – 44.

[7] Cfr. Rufino, Storia della Chiesa, II, 17; Paolo Orosio, Le Storie contro i pagani, VII, 34, 10; Teodoreto di Cirro, Storia Ecclesiastica, V, 15.

[8] Zosimo, op. cit., IV, 46.

[9] S. Mazzarino, op. cit., vol. II, pag. 740.

[10] Antologia Palatina, XVI, 65.

[11] Inscriptiones Latinae Selectae, 821, la traduzione è la seguente:

In passato opponevo resistenza, mi si diede l’ordine d’obbedire ai padroni sereni

e di mostrare le palme, una volta sconfitti i tiranni.

Tutti cedono a Teodosio ed alla sua discendenza perpetua.

Così domato e sconfitto in trenta giorni

fui innalzato verso l’alto del cielo, sotto il comando di Proclo”.

Il testo in greco dice (Antologia Palatina, IX, 682):

Questa colonna quadrata che giaceva a terra,

solo l’imperatore Teodosio osò sollevarne il peso;

Proclo fu invitato a svolgere il suo ordine, e questa

grande colonna fu eretta in trentadue giorni”.

[12] Cod. Theod., XVI, 10, 10.

[13] Ibidem, XVI, 7, 4.

[14] ibidem, XVI, 10, 11.

[15] Cfr. Rufino, op. cit., II, 23; Sozomeno, Storia Ecclesiastica, VII, 15.

[16] Libanio, In difesa dei templi, 8,9.

[17] Ambrogio, epistola 41, 27.

[18] Cod. Theod., III, 1.

[19] S. Mazzarino, op. cit., pag. 741.

[20] Cod. Theod., XVI, 10, 12.

[21] Paolo Orosio, op. cit., VII, 35, 19.

[22] Zosimo, op. cit., IV, 58, 6.

[23] Teodoreto di Cirro, op. cit., V, 25.

[24] S. Mazzarino, op. cit., pag. 743.

[25] Scrittori della Storia Augusta, Tacito, 6, 5.

[26] E. Gibbon, Storia della decadenza e caduta dell’impero romano, vol. II, cap. XXIX, pag. 1046.

 

BIBLIOGRAFIA

 

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P. HEATHER, La caduta dell’impero romano, ed. it. Milano, 2006.

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S. MAZZARINO, L’impero romano, vol. II, Bari, 1973.

PAOLO OROSIO, Le Storie contro i pagani, vol. II, a cura di A. Lippold, Milano, 1976.

RUFINO, Storia della Chiesa, a cura di L. Dattrino, Roma, 1997.

L. STORONI MAZZOLANI, Galla Placidia, Milano, 1975.

G. TRAINA, 428 dopo Cristo, storia di un anno, Bari, 2007.

TEODORETO DI CIRRO, Storia Ecclesiastica, a cura di A. Gallico, Roma, 2000.

ZOSIMO, Storia Nuova, a cura di F. Conca, Milano, 2007.

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Di Nicola

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