Un genovese sulle mura di Costantinopoli

29 maggio 1453: secondo alcuni storici, è questa la data che segna la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna, con buona pace di Cristoforo Colombo.

Quarant’anni prima della scoperta dell’America da parte di un genovese, infatti, cadeva in mano dei turchi la città di Costantinopoli; e, anche in questa occasione, un genovese ha giocato un ruolo non da poco nella storia.

Stiamo Parlando di Giovanni Giustiniani Longo, un condottiero genovese che, nonostante la giovane età, riuscì fino all’ultimo a tenere testa alle truppe del sultano, infondendo coraggio e speranza alle truppe greche grazie al suo forte carisma; solo una tragica eventualità, voluta dal destino, infranse i suoi piani.
Giovanni Giustiniani Longo fu sicuramente uno dei più importanti e controversi personaggi testimone degli ultimi giorni dell’impero bizantino ed esponente di una delle più nobili famiglie della città (la famiglia Giustiniani infatti aveva possedimenti e traffici commerciali nel levante e in particolare nel mar Egeo), e svolgeva a tutti gli effetti il mestiere di corsaro “ante litteram”, cioè era comandante di una nave privata, autorizzato dal proprio governo di attaccare navi nemiche.

In quegli anni, i turchi ottomani, forti degli ultimi successi contro le potenze balcaniche, avevano circondato la città di Costantinopoli, la capitale dell’impero bizantino: infatti la città, posta sul Bosforo tra Asia e Europa, da sempre considerata la “seconda Roma”, era ormai una città in decadenza, e il giovane sultano ottomano, Maometto II, la bramava più di qualsiasi altra cosa.
L’ultimo imperatore bizantino, Costantino XI, cosciente della drammaticità della situazione in cui versava la città, mandò richieste d’aiuto alle potenze europee; purtroppo, nessun aiuto giunse da Occidente.

Insperatamente, a fine gennaio del 1453, due navi latine, battenti bandiera genovese, comparvero all’orizzonte: Giovanni, con 700 armati, di cui 500 balestrieri genovesi, sbarcò a Costantinopoli con un grande carico di provviste e munizioni, tra l’entusiasmo della popolazione; vista la sua esperienza in assedi, fu nominato protostator, ossia comandante delle difese dall’imperatore, e messo a guardia e a protezione delle mura della città.
Il contingente genovese comandato da Giovanni Longo si distinse per il valore e riuscì a contenere gli attacchi dei turchi; lo stesso Giovanni combatté valorosamente contro i turchi ispirando coraggio sia nei greci che nei latini, incutendo allo stesso tempo timore e rispetto nei suoi nemici, al punto tale che il sultano rimase abbagliato dalla sua forza e dal suo coraggio.

Il carattere del genovese, giovane e impetuoso, si andò a scontrare con il Megaduca bizantino Luca Notaras, anch’egli a difesa della città, e tradizionalmente avverso ai latini: secondo le fonti, infatti, Giovanni richiese al Megaduca un cannone da posizionare sulle mura, per rispondere al fuoco dei turchi; alla risposta negativa del bizantino, Giovanni rispose:

<<chi mi trattiene, o traditore, dall’ucciderti con la mia spada?>>.

Nelle ore finali dell’assedio, dopo giorni e giorni di battaglia, nei quali i genovesi si distinsero per il coraggio, Giustiniani fu tragicamente ferito e abbandonò la sua posizione: di conseguenza le truppe genovesi superstiti presero il mare, verso l’isola di Chios, portando il loro comandante ferito con loro, abbandonando la città al suo destino: alcuni cronisti sostengono addirittura che la disfatta della città di Costantinopoli sia dovuta proprio alla fuga del comandante genovese e alla confusione generata dal ritiro delle sue truppe.

La causa e l’entità della ferita fu un argomento di dibattito per gli storici; infatti le fonti e i vari cronisti sono discordi: alcuni parlano di un colpo di colubrina, altri di una freccia, altri ancora di una ferita da taglio.
I cronisti danno, in base alla loro appartenenza, un giudizio positivo o negativo sul comportamento di Giovanni Longo a seguito della ferita: alcuni sottolineano la gravità della situazione e l’emozione del giovane genovese che, vistosi perduto e, vista la sua giovane età, perde la fermezza e viene sopraffatto dalla paura; altri lo accusano di vigliaccheria e di aver abbandonato le posizioni, fingendosi ferito.

Gli storici quindi si dividono in quelli che lo accusano di codardia e quelli che difendono il suo operato; a me piace considerare una “terza via”, sicuramente meno scientifica ma più romantica, che vede un giovane genovese, ferito e spaventato dalla vista del suo sangue, desideroso di partire per rivedere un’ultima volta la sua Genova, la sua giovane sposa, il suo mare, i suoi monti.
Purtroppo, una volta partito da Costantinopoli, Giovanni morì pochi mesi dopo a Chios, per la gravità della ferita, e non rivide mai più Genova.

autore: MATTEO SERLENGA

Di Nicola

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