Palazzoedirne  Da una finestra che dava sul cortile del palazzo reale di Edirne Halīl, Primo Visir del Sultano, vide arrivare i quattro uomini a cavallo. Dalla posizione sopraelevata in cui si trovava riconobbe chiaramente quello che doveva essere Zaganos Pasha dai modi sicuri e autorevoli che lo contraddistinguevano, anche se in quel momento indossava vesti di semplice mercante. Con lui, negli stessi abiti ordinari, due dei suoi sottoposti più fidati. Ma era il quarto uomo ad interessare Halīl e ad attrarne l’attenzione. La presenza nel gruppo di un uomo minuto dalle sdrucite vesti dal taglio europeo gli facevano presagire che la missione di quel maledetto convertito doveva essere andata a buon fine.

Senza attendere oltre si diresse verso la sala delle udienze, certo che il Sultano fosse già stato avvertito per tempo, e si preparò mentalmente ad un’altra delle ennesime schermaglie con quell’irriverente ufficiale guerrafondaio. Percorse a lunghi passi i corridoi fino ad arrivare al cunicolo che portava direttamente dietro lo scranno regale, percorso utilizzato solo dalle cariche più importanti. Ebbe un moto di stizza nell’osservare che Scihāb ed-Dīn, il capo eunuco, era già arrivato prima di lui. L’influenza che il cortigiano aveva sul giovane Mehmet era andata sempre crescendo fin da quando il principe era giunto da Manisa la prima volta ancora fanciullo, ma ora la sue subdole macchinazioni gli avevano consentito di assumere ruoli sempre più importanti nella vita politica del regno. Tutto questo per Halīl, discendente dalle nobili e antiche famiglie ottomane, era intollerabile. Da quando l’altro Gran Visir Ishāq Pasha, grande confidente e amico del defunto Sultan Murād, era stato allontanato dalla corte e dal potere decisionale con la scusa di una promozione a governatore in Anatolia, la posizione di Halīl si era notevolmente complicata e il vecchio Visir sapeva di non godere affatto dei favori del nuovo Sultano. Certo Mehmet si dimostrava sempre affabile nei suoi confronti, ma in cuor suo il vecchio sapeva che non gli era mai stato perdonato il fatto di aver richiamato al potere, anni prima in un momento di grave crisi del regno, il padre Murād. Ma cosa avrebbe dovuto fare, si ripeteva in cuor suo Halīl cercando di placare i fantasmi che gli tormentavano l’animo: il grande impero ottomano accresciuto e fortificato nei secoli veniva minacciato internamente dal crescente malcontento della popolazione, dilaniato da lotte intestine nei possedimenti oltremare, cospirazioni sorgevano in ogni dove mentre su tutto gravava la rivolta dei Giannizzeri. Solo una mano forte e spietata come quella del Grande Sultano avrebbe potuto riportare l’ordine necessario. E così era stato infatti: i moti nelle province erano stati sedati e i Giannizzeri tornati nei loro ranghi. Ma quanto era costato questo? Halīl guardava ora il nuovo sovrano, circondato dalla guardia più fidata, occupare il posto che era appartenuto a Murād e vi vedeva un giovane uomo determinato, non più il ragazzino ribelle e viziato di un tempo. Ma la sua raggiunta maturità nonché potere ottenuto alla morte del padre lo rendevano forse ancora più pericoloso.

 Zaganos Pasha entrò in quel momento nella sala, sorridente e tronfio nel suo incedere. Si prostrò a qualche metro da Mehmet e poi sollevò lo sguardo iniziando a declamare con voce stentorea il successo della missione.

«Mio Nobile Sovrano, ho rintracciato l’artiere di cui ci avevano parlato le nostre spie a Costantinopoli e l’ho condotto qui. Ora è in attesa di essere ammesso alla vostra Augusta Presenza e della vostra benevolenza. Il suo nome è Orban ed era giunto fin dai Balcani per offrire le sue elevate conoscenze e i suoi servigi all’imperatore della città degli infedeli.»

«E perché mai, governatore Zaganos,» interloquì con tono mellifluo Halīl, il quale non aveva mai approvato l’iniziativa «dovremmo fidarci un uomo che compie tutto quel lungo viaggio per servire una causa avversa alla nostra?»

«Perché» proseguì l’ufficiale con aria beffarda girandosi verso di lui «gli è stata offerta una somma di oro pari a quattro volte quella promessagli dall’imperatore infedele. Ammesso poi che ricevesse qualcosa da lui, visto la squallida bettola dove l’ho scovato a bere vino annacquato e mangiare cibo che un cane avrebbe rifiutato. Ogni uomo ha il suo prezzo, venerabile Halīl, e voi dovreste saperlo più di altri.»

Il volto del Visir si accese d’ira perdendo la sua imperturbabilità «Fate attenzione a come parlate, Zaganos, non siete nella posizione di…»

«Basta così!» la voce imperiosa di Mehmet e il suo eloquente gesto con la mano alzata bloccarono all’istante i due uomini. «Non sono qui per ascoltare battibecchi da concubine. Zaganos, se non avete altro da aggiungere andate a chiamare questo Orban. Desidero interrogarlo subito.»

«Perdonate, Munificentissimo.» Piegando il capo l’ufficiale si prostrò ancora una volta ai piedi del Sultano, poi si diresse deciso all’uscita della sala.

Halīl tratteneva a stento la rabbia per quella ridicola accusa di cui subdolamente da qualche tempo veniva fatto oggetto. Non osava guardarlo ma sapeva che in quel momento gli occhi di Scihāb ed-Dīn erano puntati su di lui. Se avesse sollevato il viso certamente avrebbe trovato su di lui anche l’irridente smorfia di un sorriso. Ormai era certo che quel viscido individuo, supportato dai suoi degni compari, stesse mettendo in giro voci che la sua refrattarietà ad entrare in guerra con Costantinopoli fosse dovuta a corruzione da parte dei greci e non a saggia prudenza, al fine di screditarne ulteriormente l’immagine agli occhi di Mehmet. I vecchi ministri di Murād conoscevano bene la situazione ed erano dalla sua parte, ma il sovrano sembrava avere orecchi solo per i suoi nuovi ufficiali e per l’eunuco.

Halīl serrava ancora i denti tormentandosi la veste con una mano quando fu introdotto l’uomo che aveva visto giungere a palazzo poco prima. Visto da vicino il suo aspetto era ancora più misero di quanto gli era sembrato alla prima impressione. Segaligno, capelli arruffati e barba incolta sebbene con un vago tentativo di portarla alla moda bizantina, avanzava con passo incerto lanciando sguardi furtivi in tutte le direzioni. Stringeva al petto una cartella di vecchio cuoio macchiato che, al pari del suo possessore, aveva l’aria di aver visto tempi migliori. Quando uno strattone alla manica da parte del soldato che lo accompagnava gli fece capire che era giunto il momento di fermarsi, si inginocchiò prodigandosi in convenevoli nei confronti del sovrano.

Con impazienza Mehmet pose fine alla litania, entrando subito nel merito della questione che gli premeva. «Mi è stato riferito che voi siete un geniere esperto nella fusione di bombarde. Confermate che questo corrisponde a verità?»

Gli occhi dell’omino si illuminarono sentendosi rivolgere la domanda in un impeccabile idioma greco e aprì lesto la cartella estraendone alcuni fogli ingialliti. «Vostra Maestà, qui ci sono i calcoli per determinare la lunghezza e robustezza delle canne, le dimensioni degli stampi per la fusione singola e tutte le variabili debitamente…» Uno sgusciare di spade gelò l’uomo sul posto che, nella foga di presentare il suo lavoro, si era mosso verso il sofasi dove il Sultano stava seduto a gambe incrociate. Con un gesto della mano Mehmet fece cenno a uno dei giannizzeri della guardia personale di portagli i fogli e cominciò ad esaminarli.

«Non siamo degli sprovveduti» commentò mentre passava distrattamente da un disegno all’altro. «Queste conoscenze sono in nostro possesso ormai da tempo. Persino Costantino Dragazes, prima di diventare Basileus, ha saggiato la potenza dei cannoni ottomani. Mio padre Murād, Iddio lo copra con i panni del perdono, abbatté in pochi giorni quel suo muro, l’Hexamilion, posto stoltamente sul cammino del nostro esercito verso la Morea. Ma io ora ho bisogno di catturare una preda ben più grossa e protetta: io voglio Costantinopoli.» Alzò gli occhi dagli incartamenti lanciando uno sguardo penetrante all’indirizzo dell’artiere. Un silenzio carico di tensione scese sui presenti, interrotto dalla richiesta finale del Sultano «Voi siete in grado di costruire un’arma in grado di sfondare quelle mura?»

Orban si passò velocemente la lingua sulle labbra poi, con una sicurezza che stupì lo stesso Halīl, rizzò la schiena affermando «Io posso fondere un cannone di bronzo delle dimensioni della pietra da voi desiderata. Ho esaminato a lungo e dettagliatamente le mura della città. Con le pietre lanciate dal mio cannone posso ridurre in polvere non soltanto quelle mura ma persino quelle di Babilonia!»

Mehmet alzò un sopracciglio di fronte a tale esibizione di orgoglio e, spalancando le braccia, indicò la misura delle pietre che lui aveva in mente. Orban rispose con un cenno del capo ma aggiunse in tono prudente «Posso costruire qualsiasi cannone, ma non sono un esperto di polveri, non sono certo di saperlo far sparare…»

«Di questo non si deve preoccupare» replicò il Sultano «fonda il cannone che le ordino e al resto penseremo più avanti. Maestro Halīl!»

Il vecchio Visir ebbe un sussulto nel sentirsi chiamato e si avvicinò al sofasi inchinandosi al suo signore. «Per servirla, Nobile Sovrano»

«Mio saggio Gran Visir, predisponete la sistemazione di quest’uomo affinché non gli manchi nulla: dimora, abiti e poi uomini e materiali da costruzione, zolfo, rame stagno, bronzo… qualsiasi cosa di cui abbisogni, insomma.»

«Sarà fatto secondo il giusto volere di Sua Maestà» asserì Halil, imitato nell’inchino dal sorridente artiere.

«Un’ultima cosa prima di andare, Orban.» proseguì Mehmet con tono laconico. «Io sono un uomo estremamente generoso con coloro che mi servono fedelmente e non mi deludono, e non si può dire che non lo sia altrettanto nei confronti degli inetti e dei traditori.»

Il sorriso di Orban si cristallizzò sul volto in una sorta di maschera tirata, ma fu chiaro che aveva compreso il messaggio. Chinò un’ultima volta il capo prima di essere accompagnato fuori.

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Di Isabel Giustiniani

Blogger e narratrice. Appassionata di Storia innamorata di Bisanzio.

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