Edirne_1

Tirare fuori l’enorme cannone dalla fossa di fusione era stato un lavoro improbo. Nonostante si fossero scavati e asportati tutti i materiali che lo tenevano fissato in posizione, ci volle la forza di quindici paia di buoi e una compagnia dedicata di settecento uomini per issare l’enorme canna su alcuni carri affiancati e trasportarla al luogo deputato per il collaudo.

Zaganos Pasha, immobile sul suo cavallo, stava ad osservare la lenta e scricchiolante avanzata del mezzo. Ogni buca che ne causava il rallentamento della marcia, talvolta mettendo in pericolo l’equilibrio stesso del carico, lo inducevano a meditare cupo sulla difficoltà che avrebbe comportato il suo trasporto lungo i duecentotrenta chilometri che separavano Edirne da Costantinopoli. Il rollio dei carri mescolato ai muggiti degli animali e alle grida degli uomini disposti attorno alla lunga canna per sostenerla si fondevano in una cacofonia di sforzi e incitamenti al contempo entusiasti e rabbiosi.

Zaganos era appena giunto dalla capitale assieme ad altri suoi uomini. Quel vecchio rinsecchito di Halīl aveva insistito con il Sultano sulla necessità di avvertire la popolazione su quanto sarebbe accaduto quel mattino. Sosteneva che era necessario affinché il popolo non avesse timore del forte tuono che si sarebbe sentito fin dentro alle loro case. Di cosa aveva paura quell’ammuffito scribacchino di palazzo? Che potessero forse rimanere tutti sordi o le donne abortire? Zaganos, da vecchio militare navigato qual era, sputò per terra tutto il suo disgusto in merito a simili facezie. Ma, dal momento che Mehmet aveva acconsentito, lui e altri inviati avevano dovuto cavalcare lungo le strade della città, nelle piazze e nei mercati affollati gridando che il Grande Cannone avrebbe sparato quel giorno. Aggiunse che dovevano essere lieti e lodare Allah quanto più fragore avessero udito perché sarebbe stato segno della potenza e della benevolenza del Signore Glorioso riposta nella loro Sacra Causa.

Diede un colpo con i talloni e spinse la cavalcatura verso lo sbancamento che attendeva la grossa bombarda per la sua prova ufficiale. A breve vi sarebbero giunti anche il Sultano con la sua corte ristretta. Vide che gli addetti alle polveri erano già pronti come quelli che dovevano occuparsi delle grosse palle di pietra. L’ufficiale scese da cavallo proprio davanti a queste ultime e si chinò ad osservarle: dovevano avere uno spessore di più di dodici palmi e possedere un peso straordinario. Il Maestro Artiere Orban era stato molto preciso nelle istruzioni circa le loro dimensioni e questi proiettili erano stati fatti giungere appositamente intagliati dalle cave di pietra lungo il Mar Nero.

Mentre stava sfiorando la bianca superficie levigata udì un rumore di zoccoli alle spalle che lo fece girare. I vessilli a code di cavallo del sultano e dei visir garrivano al vento mentre il seguito reale si avvicinava a lui: il momento tanto atteso in questi mesi ormai era arrivato.

«Onore all’Ombra di Dio» salutò Zaganos inchinandosi al cospetto di Mehmet non appena questo lo raggiunse. Un meno sentito gesto di saluto fu rivolto anche al Gran Visir Halīl che lo seguiva a poca distanza.

«Salute a voi fedele Zaganos Pasha» replicò il sovrano scendendo agile da cavallo, imitato prontamente dal seguito di giannizzeri. Gli addetti presenti sul luogo si prostrarono mentre passava tra di loro per controllare i materiali accatastati.

«Ho esaminato attentamente la strada fino a Stambul » proseguì senza voltarsi. «Avrà bisogno di essere spianata per tutta la sua lunghezza. E i ponti rinforzati. Molto. Voglio che una squadra di uomini preceda costantemente il convoglio per evitare possibili cedimenti del terreno che possano causare ritardi. E raddoppiate il numero dei buoi da tiro: la lentezza con cui quel cannone si sta avvicinando è esasperante!» concluse indicando seccato il pesante carro che avanzava cigolando e caracollando.

«Certamente, Nobile Sovrano» concordò Zaganos con prontezza «Farò in modo che dal momento in cui verrà stabilita la partenza nulla possa più arrestare la nostra avanzata.»

Mehmet sorrise e il suo sorriso si allargò non appena riconobbe in testa al convoglio in arrivo la variopinta figura di Orban avvolta in abiti svolazzanti al vento della pianura.

Il lavoro di alloggiamento del cannone al suolo non risultò meno laborioso di quello che era necessitato al suo trasporto. Dopo numerosi sforzi da parte della squadre di serventi guidati dagli imperiosi ordini del Maestro Artiere, finalmente la pesante bombarda fu posizionata sul terrapieno con la giusta angolazione di tiro rispetto al suolo e fissata affinché non potesse rotolare sui lati. Pesanti pietre e sacchi di sabbia furono messi a blocco posteriore per assorbire e attenuare gli effetti del rinculo che l’arma avrebbe avuto al momento dello sparo.

Quando finalmente i pannelli preformati di polvere da sparo furono sbriciolati e posti dentro la camera di scoppio, una squadra di operai si affaccendò per inserire una delle grosse palle di pietra dentro l’imboccatura, spingendola poi in fondo fino a contatto con la polvere.

«Nobile Sovrano, Venerabili Signori» esordì Orban «è giunto il momento. Mi permetto di consigliare un vostro allontanamento per ragioni di sicurezza e per avvertire meno gli effetti dello scoppio della polvere.»

Mehmet fece un cenno al suo seguito e si allontanò dal cannone di diverse decine di metri. Quando si fermarono tutti alla distanza che egli aveva scelto, Halīl azzardò il consiglio di attendere il risultato della prova a terra, onde evitare i problemi che il rumore prodotto da un’arma così grande poteva causare facendo imbizzarrire i cavalli. Lo sguardo d’ira che Mehmet gli rivolse in risposta gli fece sentire il fuoco addosso, facendogli temere di aver osato troppo, ma le parole che uscirono dalla bocca del Sultano furono calme e misurate. «Maestro Halil, come sempre voi siete troppo prudente. Se ben ricordate ho già calcato i campi di battaglia prima d’ora. Che possibilità credete che abbia un sovrano di governare il mondo se non è nemmeno in grado di governare il proprio cavallo? Noi, figli di Osman, abbiamo combattuto e conquistato l’Anatolia dalle selle dei nostri destrieri. Così sarà e mi troverà anche la Rumelia.»

Halīl chinò profondamente il capo, anche per nascondere un rossore che gli aveva avvampato il volto, ma l’attenzione generale venne in quel momento distolta da un grido e convogliata nella direzione del cannone. Orban stava facendo segno di prepararsi, mentre un uomo si avvicinava al focone con uno stoppaccio acceso.

Tutti istintivamente si irrigidirono, stringendo le briglie o cercando di proteggere le orecchie, poi il rumore portentoso che li raggiunse li investì come una forza fisica. Un tuono assordante scoppiò nell’aria diffondendo un fragore profondo in ogni direzione. Mehmet sentì la terra scuotere sotto le zampe del cavallo come un terremoto e la vibrazione espandersi fino al suo corpo. La bestia spaventata si sollevò sulle zampe posteriori scalciando e solo la salda presa del suo cavaliere le impedì di fuggire al galoppo. Un denso fumo nero stava oscurando il cielo sopra il cannone, diffondendosi intorno. Mehmet continuava a tenere a briglia stretta il cavallo che girava su se stesso come impazzito, tra i nitriti e i lamenti di qualche disarcionato finito al suolo. Evitò per poco di essere investito da uno degli animali in fuga quando lanciò un richiamo al suo ufficiale.

«Zaganos! Andiamo!» Dominando il suo recalcitrante stallone l’uomo lo raggiunse e insieme sciolsero le briglie lanciandosi in una corsa sfrenata nella direzione dove era stato sparato il proiettile.

L’eco dello scoppio si era ormai esaurita e gli unici rumori che pervadevano la valle ammutolita erano quelli degli zoccoli dei loro due cavalli che battevano il terreno a ritmo sostenuto.

Mehmet volgeva lo sguardo alternativamente nelle due direzioni, ma non riusciva a vedere traccia di quanto andava cercando. La corsa proseguì fino a che Zaganos scartò improvvisamente, alzando il braccio come segnale per essere seguito. Mehmet prese la stessa direzione e poco dopo cominciò a distinguere la forma di quello che pareva essere un grosso cratere. Raggiunto il punto i due cavalieri scesero a terra, rimanendo per qualche secondo in silenzio davanti allo spettacolo che si presentava ai loro occhi. Avevano percorso al galoppo più di un chilometro e mezzo ed ora si trovavano di fronte alla enorme fossa che la palla di cannone aveva prodotto impattando con il suolo. Mehmet si inginocchiò al suo bordo e valutò che la pietra si trovava sprofondata nel terreno di almeno due metri. Prese una manciata di terra tra le dita e la strinse forte sentendo montare dentro di sé una gioia come non provava da tempo.

«Zaganos!» esclamò girandosi verso il suo ufficiale che stava ancora guardando verso il fondo con occhi sgranati «Manda messaggeri ovunque: voglio che qualsiasi carovana, mercante o pellegrino diretto a Costantinopoli sappia dell’esistenza di quest’arma e porti la notizia dentro le mura della città. Voglio che la popolazione sappia cosa sta per arrivare loro addosso e che nessuno potrà resistermi. Che inizino a tremare ora.»

«Si, mio sovrano, Ombra di Dio. Allahu Akbar!»

«Allahu Akbar» rispose Mehmet, facendo lentamente scivolare via la terra dal palmo della mano. Allah è grande.

Leggi prima parte                                                                                                             Leggi seconda parte

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Di Isabel Giustiniani

Blogger e narratrice. Appassionata di Storia innamorata di Bisanzio.

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