Anno del signore 961. Creta viene riconquistata dai bizantini tornando entro i confini imperiali. Che cosa ha significato questa presa per il commercio mediterraneo?

Facciamo un passo indietro nella storia per comprendere meglio le conseguenze della conquista di Creta.

Per tutto il IX secolo l’impero bizantino fu costretto a indietreggiare per la perdita di territori levantini strategici. Le persistenti sconfitte militari portarono gli imperatori ad adottare politiche di chiusura commerciale. Ormai i flussi economici a lungo raggio seguivano nuove rotte da quando gli Arabi avevano fatto il loro ingresso nella scena mediterranea e il mare nostrum non era più un ponte tra Occidente e Oriente: era diventato una barriera insormontabile. L’egemonia saracena sui mari aveva imposto lo stallo dei commerci cristiani e la ritirata di quelli bizantini; del resto gli imperatori greci erano impegnati in un periodo di forte instabilità politica. Gli Arabi ne approfittarono per estendere i propri confini annettendo la Sicilia, Malta, Creta e parte di Cipro. Queste conquiste condizionarono le sorti dell’intero Mediterraneo. L’area di navigazione bizantina si ridusse drasticamente e l’impero perse la precedente supremazia sui mari. Il progetto di respingere i nuovi invasori svanì e la flotta imperiale fu costretta a ripiegare definitivamente.

La conquista dell’isola di Creta, in particolar modo, costituiva per gli Arabi un avamposto strategico per controllare e limitare direttamente il dominio di Bisanzio.

I pirati saraceni rendevano arduo l’attraversamento dei mari nonché gli scambi commerciali. Nonostante ciò un esiguo numero di navi mercantili gravate da maggiori difficoltà marittime e costrette a minori tonnellaggi continuavano a partire dai porti cristiani.

Chi si occupava di questi commerci?
Gli Ebrei. Erano loro a mantenere in contatto le terre cristiane con quelle musulmane. Le loro comunità erano costituite da mercanti e artigiani di professione. Pisa, Amalfi, Bari erano alcune delle città dove risiedevano numerose comunità di ebrei. Di questi mercanti giudei i Radaniti costituivano un gruppo specializzato nelle attività commerciali. La corte carolingia in cambio di privilegi si rivolgeva a loro per i rifornimenti di merci orientali. I Radaniti erano esperti nella navigazione, nell’arte mercatoria e conoscevano diverse lingue. Erano inoltre uomini di cultura e in aggiunta alle mercanzie trasportavano saperi. Viaggiavano per terra e per mare da ovest a est e viceversa.

I mercati occidentali rifornivano gli ebrei di eunuchi, schiavi, vasellame ceramico, pellicce e armi. Questi si imbarcavano nelle terre dei franchi, nei porti dell’Italia e del sud della Francia e navigavano verso Est alla volta degli approdi orientali. Una delle loro mete più frequenti era il porto di al-Farama (nel delta del Nilo). Da qui, con carovane di cammelli proseguivano ancora verso est fino alle rive del Mar Rosso. Attraversavano i deserti seguendo le vie delle spezie, rifornivano i suq e navigavano da sponda a sponda diretti ad al-Jar (il porto di Medina), Damasco, Baghdad e Gedda. Da qui proseguivano ancora spingendosi nei deserti del Pakistan, nei bazar dell’India e nei porti della Cina. Di ritorno, le carovane e le navi guidate dai Radaniti trasportavano merci esotiche che avrebbero soddisfatto i bisogni della loro clientela élitaria. Importavano in particolare spezie, stoffe pregiate, smalti e avori, legno di aloe, cinnamomo, canfora e cannella.

Grazie a loro le chiese potevano procurarsi l’incenso per le funzioni sacre e le pregevoli stoffe per confezionare i raffinati corredi ecclesiastici. Particolarmente apprezzata era l’importazione del pepe, difficile da reperire e costoso da comprare, che in alcune terre (similmente al sale) era impiegato anche come moneta.

La libertà di movimento di questi mercanti era dovuta alla loro neutralità religiosa: venivano quindi tollerati da entrambe le fedi. Lavoravano come intermediari commerciali ed erano molto apprezzati per la forte alfabetizzazione.

L’influenza dei mercanti ebrei era maggiore nei territori arabi che in quelli bizantini e, dato l’antagonismo politico fra Bisanzio e il califfato Abbaside, gli imperatori d’Oriente ben presto imposero divieti di scambio commerciale e di transito nei propri territori.

Intanto a Venezia e Amalfi iniziava lentamente a fiorire un tipo di commercio più esteso. Mantenere aperte le vie di comunicazione con l’Oriente bizantino significava avere una buona occasione di inserimento nelle dinamiche mediterranee.

Il sistema economico bizantino del IX secolo era abbastanza autosufficiente. Difficilmente i mercanti greci oltrepassavano i confini imperiali. Si preferivano gli scambi locali: il ruolo dello Stato era ancora molto presente. La maggior parte delle risorse economiche era orientata a soddisfare le esigenze della marina e dell’esercito imperiali per salvaguardare la sicurezza dei confini. Alla fine del IX e agli inizi del secolo successivo i porti bizantini erano frequentati da mercanti stranieri tra cui appunto i Radaniti e talora mercanti musulmani e bulgari. La situazione mutò dalla metà del X secolo.

Venezia e Amalfi, già protagoniste di commerci interregionali, ora puntavano ai grandi traffici mediterranei. Nel X secolo riuscirono ad inserirsi nei mercati arabi e ad appagare la domanda dei califfi esportando legname da costruzione, tessuti, ferro e schiavi. Pisa, Amalfi e Venezia riuscirono con estrema facilità a procurarsi queste merci trasportandole dalle loro aree interne e facendole fluitare il più delle volte sui corsi d’acqua dell’entroterra: il ferro veniva procurato dai Veneziani dalla Stira e dalla Carinzia; i tessuti dalle città campane; il commercio degli schiavi era monopolizzato da Amalfi.

Bisanzio, per limitare l’influenza araba sulle città italiane, offrì privilegi mercantili in cambio di alleanze commerciali circoscrivendo le rotte degli italiani. Un esempio riportato in un articolo dallo studioso Ashtor è la serie di divieti che i dogi di Venezia promulgarono sotto la pressione degli imperatori di Costantinopoli. Questi vietavano l’esportazione di armi e utensili in ferro e dello stesso ferro grezzo nei Paesi musulmani. Ciò dimostra che la richiesta dei mercati arabi era molto alta e altrettanto consistente era l’apporto veneziano nel soddisfare l’esigenza di materia prima ferrosa.

Già nell’ 876” – scrive Ashtor – “il doge Orso Partecipazio I ingiunse la sospensione di questo commercio. Apparentemente la proibizione venne ripetuta nel 945, e nel 960 il doge Pietro Candiano IV la promulgò di nuovo.” Ancora, fu nel 971 che l’imperatore bizantino Giovanni Tzimiskes costrinse il doge a promulgare di nuovo il divieto solenne di esportare nei Paesi musulmani il legname da costruzione (per le navi) e il ferro per le armi1.

Le strette relazioni commerciali raggiunte dai Veneziani, dagli Amalfitani e dagli altri mercanti dell’Italia meridionale con Bisanzio davano loro un grande vantaggio rispetto ai mercanti ebrei, i cui traffici iniziarono ad incrinarsi. I mercanti italiani importavano dall’Oriente cristiano pregiati abiti in seta o tinti in porpora e li rivendevano alle aristocrazie occidentali. Tuttavia la mediazione fra l’Oriente musulmano e l’Occidente cristiano era ancora in mano ai Radaniti. Da alcune fonti ebraiche si è potuto evincere che i mercanti ebrei nei paesi musulmani investivano ancora nel X secolo grandi somme di denaro nel commercio della seta. 

Tra IX-X secolo le attività di scambio dei mercanti italiani su lunghe distanze sono ancora poco regolari. L’incubo delle razzie musulmane sulle loro coste rendeva il commercio nel Tirreno e nell’Adriatico impossibile. Le scorrerie dei pirati musulmani bloccavano qualsiasi forma di uscita in mare aperto.

Nel corso del X secolo la portata e il raggio d’azione del commercio mediterraneo delle Repubbliche marinare aumenta in maniera esponenziale. Altri mercanti italiani (genovesi e pisani) iniziarono la frequentazione dei mercati musulmani, effettuando regolari viaggi oltremare diretti sia nei porti dell’Africa settentrionale sia in quelli levantini. I sovrani musulmani oltre ad ottenere da loro materie prime ambivano a riscuotere dazi molto alti.

Nella prima metà del X secolo Bisanzio, intenzionata a riprendere i territori persi nel secolo precedente, cercava di tessere alleanze economiche con le Repubbliche marinare per bloccare i rifornimenti alle città musulmane. In questo modo avrebbe attuato un’astuta strategia politica finalizzata a impedire l’arrivo di risorse vitali per la flotta e gli eserciti musulmani.

Bisanzio ebbe l’occasione per riprendere l’egemonia marittima nel 960 quando venne organizzata una vittoriosa spedizione contro Creta che capitolò definitivamente l’anno dopo. I Fatimidi perso il completo dominio sul Mediterraneo orientale, rivolsero le loro attenzioni alla politica interna. Si creò un equilibrio fra il califfato islamico e i Bizantini che comportò essenziali cambiamenti politico-commerciali.

Per prima cosa i Radaniti persero il loro ruolo esclusivo di intermediari tra i mercati delle due fedi. La concorrenza degli italiani fu schiacciante grazie alle agevolazioni bizantine. Venezia e Genova (dove gli stessi mercanti tenevano le redini del governo) erano ricorse a misure coercitive per escludere i giudei dal commercio marittimo e per soppiantarli. In altre città, in particolare ad Amalfi e a Bari, si continuò a tollerare l’attivismo ebraico e si creò uno strato sociale mercantile meticcio, composto da musulmani ed ebrei, nonché bizantini e longobardi.

Una seconda conseguenza della conquista di Creta fu che da quel momento le navi italiane poterono navigare in alto mare senza la costante paura di razzie e saccheggi da parte dei pirati saraceni. Ovviamente gli attacchi musulmani non erano stati del tutto debellati ma di sicuro furono maggiormente limitati.

La crescita dei traffici delle Repubbliche marinare portò gli ebrei a dedicarsi esclusivamente ad attività bancarie e di prestito. Tuttavia vi era chi cercava ancora fortuna nei commerci. Sappiamo con certezza che alla fine del X secolo gli ebrei erano ancora attivi negli affari commerciali grazie alla testimonianza del “privilegio che l’imperatore Basilios II convenne ai Veneziani”2. Tale privilegio imperiale riduceva la quota di pagamento dei dazi ai mercanti della Serenissima a patto che non caricassero sulle loro navi merci di Amalfitani, Ebrei e abitanti di Bari3. Questo ci fa comprendere quanto la presenza degli Ebrei fosse ancora radicata e sgradita al mondo bizantino e quanto Bisanzio desiderasse allontanare dai propri domini le politiche economiche di Amalfi e Bari, nelle quali risiedevano ricche comunità giudaiche.

Ciò nonostante anche se diminuì per qualche tempo, il ruolo di spicco degli Ebrei nei traffici commerciali del Mediterraneo non cessò mai del tutto. Dal canto loro invece Venezia, Genova e Pisa intensificarono sempre più i rapporti con gli scali d’Oriente, fondando colonie e accaparrandosi fondachi nelle città di scambio più rilevanti.

Concludendo, Bisanzio grazie alla riconquista di Creta riuscì a ridimensionare le proprie politiche economiche e a incentivare la propria classe mercantile a riprendere i traffici su lunghe distanze.

Alessandro Valenzano

Note:

1ASHTOR E. 1997, pp. 65-66

2ASHTOR E. 1997, pp. 78

3ASHTOR E. 1997, pp. 78

Bibliografia di riferimento:

  • ASHTOR E. 1997, Gli ebrei nel commercio mediterraneo nell’alto medioevo, in AIRALDI G. (a cura di), Gli orizzonti aperti. Profili del mercante medievale, pp. 57-98.

  • PIRENNE H. 2012, Storia economica e sociale del Medioevo, Roma.

  • TANGHERONI M. 1996, Commercio e navigazione nel Medioevo, Bari.

 

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