GIUSTINIANO e BELISARIO nella riconquista dell’AFRICA

La caduta dell’Impero romano d’Occidente, alla fine del 5° secolo, non ha rappresentato un motivo di stabilità per i regni germanici insediati sul suo territorio. Per contro, gli imperatori d’Oriente riprendono ben presto in proprio l’idea di “universalismo romano” e Giustiniano, grazie all’azione del suo generale Belisario, conferisce nel 6° secolo una concreta realtà a questa aspirazione di tipo ideologico.

 La sorte decisamente differente riservata all’occidente ed all’oriente romano a seguito delle Grandi Invasioni ha fatto scorrere una grande quantità di inchiostro. L’Impero romano d’Oriente, mettendo gli invasori germanici uno contro l’altro e deviando i barbari verso l’ovest, riesce, grazie ad un’abile diplomazia, a preservare la sua integrità territoriale. In effetti, mentre le province occidentali si impoveriscono e si spopolano sotto la pressione dei re germanici, sempre di più affrancati dall’autorità di Roma, Costantinopoli riesce, grazie a solide basi culturali e politiche, ad assorbire finanziariamente quelli che si erano già insediati sul suo territorio.

Agli inizi del 6° secolo, al di fuori dell’Impero romano, il mondo mediterraneo vede sulle sue rive solo pochi stati saldamente consolidati. Gli Ostrogoti di Teodorico, dopo una guerra molto dura (481-493), riescono a diventare padroni di un regno d’Italia che comprende anche l’Illiria. Clodoveo, da parte sua, ha avuto successo nel riunire la maggior parte della Gallia sotto il suo potere. Il capo dei Franchi Salii ha battuto in successione gli ultimi romani d’Occidente, i Turingi, gli Alamanni ed i Visigoti d’Aquitania. Purtroppo, la morte di Clodoveo nell’anno 511 e la spartizione del suo regno fra i suoi figli contribuiscono ad indebolire notevolmente la struttura statale dei Franchi. I Visigoti, dopo aver perduto l’Aquitania, dominano ancora la Spagna. Teodorico corre in loro aiuto ed attacca i Burgondi che dominano la valle del Rodano e della Saona, per acquisire il controllo delle coste della Provenza. Egli offre ai Visigoti la Septimania (Linguadoca), pur assicurando una forma di reggenza sul loro re, ancora adolescente. Da ultimo, i Vandali controllano l’antica provincia romana dell’Africa, conquistata fra il 429 ed il 439, ed anche la Corsica e la Sardegna. Per contro, i Vandali sono stati cacciati dalla Sicilia dagli ostrogoti fra il 488 ed il 491. In Oriente i Persiani, alle prese da diversi decenni con diversi popoli nomadi, specialmente gli Unni Bianchi, non sono in condizioni di minacciare seriamente l’Impero romano d’Oriente.

 

L’Impero di Giustiniano e la riorganizzazione del suo esercito

Giustiniano sale al trono bizantino a Costantinopoli nell’anno 527, dopo un lungo periodo di transizione dopo il regno di Zenone (474-491), il 1° imperatore d’Oriente a non avere più omologhi ad Occidente. La capitale dell’Impero risulta, in quel periodo, profondamente divisa fra fazioni rivali, i Blù ed i Verdi (1), che hanno opinioni divergenti specialmente dal punto di vista religioso. I Blù risultano associati all’ortodossia cattolica, mentre i Verdi sono spesso partigiani del monofisismo (2). Nonostante le velleità di imparzialità, Anastasio 1°, il successore di Zenone, verso la fine del suo regno, mostra una certa preferenza per i Verdi. A Zenone succede sul trono Giustino, un militare di buone e riconosciute qualità, proveniente da un ambiente molto umile. Il nuovo imperatore è di origine tracia ed ha più di 60 anni al momento della sua accessione al trono. Egli riesce ad imporsi grazie all’appoggio del Senato, che l’ha preferito ai tre nipoti di Anastasio, il soli eredi del defunto imperatore. Giustino, molto popolare fra l’esercito, si schiera immediatamente in favore dei Blù e risulta l’unico in grado di reprimere qualsiasi tentativo di insurrezione.

 

L’imperatore associa ben presto agli affari dello stato il suo nipote, il popolare Giustiniano, con il titolo di Patrizio. Quest’ultimo gli succede senza grossi problemi nel 527. Il nuovo imperatore, anch’egli nato in Tracia nel 483, opera immediatamente per una riconciliazione di Costantinopoli con il Papato di Roma, dopo 35 anni di scisma, e si sposa con Teodora, una donna influente, dal passato non immacolato, ma dalle oscure origini (figlia di un domatore d’orsi e di una acrobata). L’influenza dell’imperatrice su suo marito si rivelerà ben presto, come una delle caratteristiche del regno giustinianeo, altrettanto importante quanto la determinante implicazione del gran giurista Triboniano negli atti di governo. Se Triboniano è un pagano, l’altro uomo forte dei consiglieri di Giustiniano, il prefetto del pretorio Giovanni di Cappadocia, risulta cristiano. L’opera di Giustiniano alla guida dell’Impero d’Oriente è stata universalmente considerata come immensa: “Il governo centrale insediato a Costantinopoli viene rinforzato, e vengono istituiti dei Logoteti (ministri) responsabili dell’economia e delle finanze. Con la codificazione del diritto, sotto tutti gli aspetti, viene portata a termine un’impresa legislativa senza precedenti; la Chiesa, infine, dopo il suo trionfo finale sul paganesimo, assume un atteggiamento rigoroso. La fede e la legge risultano al servizio del re, viene instaurata una monarchia assoluta e stabilita la sua origine divina.: l’imperatore viene designato come “basileus nominato dal Cristo”, al quale “Dio attribuisce il suo prestigio ed il controllo dello Stato”. (3)

 

Nulla di tutto questo si sarebbe potuto verificare se Giustiniano fosse caduto nel mese di gennaio del 532, in occasione della sollevazione conosciuta sotto il nome di “sedizione Nika”. A quell’epoca una serie di corse nell’ippodromo dà luogo, da parte dei Verdi, ad insulti pubblici nei riguardi dell’imperatore, della sua sposa e del prefetto Giovanni di Cappadocia, dei quali viene specialmente contestata la politica religiosa. Mentre la folla invade le strade e si riunisce al grido di “Nika” (4), Giustiniano reagisce, facendo giustiziare l’istigatore dei Verdi, per evitare che la sommossa si trasformi una vera e propria ribellione. Per un errore, viene giustiziato anche un capo dei Blù ed, a questo punto, Blù e Verdi si alleano contro Giustiniano. L’insurrezione divampa a Costantinopoli e la città cade in preda a massacri e saccheggi. I ribelli arrivano persino a designare un nipote dell’imperatore Anastasio 1°, Hypazio, per rimpiazzare l’imperatore. Per un momento l’imperatore pensa alla fuga, contro l’avviso di Teodora, Per una serie di fortunate circostanze, due fra i migliori generali dell’Impero risultano presenti nel palazzo imperiale. Il primo è un giovane trace romanizzato di nome Belisario. Eroe di guerra contro i Persiani, che ha battuto nel 530 a Dara, egli ha poco più di 30 anni. Il secondo, Mundus, un illirico, comanda un importante contingente di mercenari in guarnigione nella capitale. I due uomini riescono a riunire i loro soldati e marciano verso l’ippodromo, massacrandovi Verdi e Blù senza discriminazione. Essi vengono aiutati nella loro azione da un fragile eunuco armeno, Narsete, il comandante della guardia reale, che fa chiudere le porte della città per evitare la fuga dei capi ribelli. Si parlerà, all’epoca, di 30 mila morti come risultato di questa operazione di repressione, grazie alla quale Belisario ottiene, e per lungo tempo, la fiducia assoluta dell’imperatore.

 

La “Sedizione Nika” servirà comunque di lezione per l’imperatore Giustiniano, che in seguito si sforzerà di moderare le imposte e di mostrarsi prudente negli atti del suo governo. Come primo atto, egli provvede alla ricostruzione della capitale in rovina, ma successivamente approfitta, grazie alla pace interna seguita alla repressione ed alla pace con i Persiano, conclusa 8 mesi più tardi, per impostare altri piani. Giustiniano coltiva, in effetti, il progetto di dare inizio alla riconquista dell’Impero, lasciato, da più di un secolo, alle ambizioni e nelle mani dei Barbari. Se la situazione dell’Impero sembra ormai favorevole a questo disegno, occorre, però, che l’imperatore possa individuare un generale capace di condurlo a termine: “Le circostanze hanno voluto che Giustiniano trovi in Belisario, l’unico uomo, a sua avviso, al quale affidare, con la massima sicurezza, questo importantissimo compito. Egli possedeva delle capacità strategiche ed un indubbio coraggio fisico e la sua naturale autorità faceva di lui un grande comandante di uomini. Egli aveva un solo inconveniente, rappresentato dalla sua sposa, Antonina, che proveniva, anch’essa, da un ambiente di teatro e di circo ed il suo passato, anche se non era altrettanto dubbioso come quello di Teodora, risultava con certezza ben lontano dalla purezza … … La donna provocherà al suo sposo sia una serie di notevoli fastidi oltre che di preoccupazioni. Ma Belisario, nonostante tutto, continuerà ad amarla, portandola con sé in tutte le sue campagne.” (5).

La vecchia Africa romana sembra a quel punto l’obiettivo ideale per mettere in opera il progetto di riconquista. Questa provincia, una volta molto ricca, risulta sotto il dominio dei Vandali, il cui re, Genserico, era riuscito a conquistare Cartagine nel 439.

A Genserico succede il figlio Ilderico e quindi i suoi tre nipoti, Guntamondo, Trasamondo (entrambi figli di Gento) e successivamente Unerico (figlio di Ilderico). Nel 531, Gelimero, lontano cugino del re, depone Ilderico e non esita a provocare Giustiniano, nel momento in cui quest’ultimo gli invia una lettera di protesta. Il casus belli è ormai trovato per poter intervenire e Giustiniano proclama ufficialmente che invierà un esercito per rimettere Ilderico, sul suo trono.

 

L’esercito romano del 6° secolo

L’esercito bizantino del 6° secolo, fortemente demoralizzato dai disastri del 5° secolo e che doveva i suoi successi molto spesso alla corruzione dell’avversario, risulta bisognoso di una profonda riorganizzazione per tornare di nuovo pienamente operativo. Giustiniano giocherà un ruolo fondamentale in questa “rifondazione”. Grazie agli scritti di Procopio di Cesarea (6) e del suo continuatore, Agathias, si ha la possibilità di trovare informazioni di prima mano sull’organizzazione militare dell’Impero di Giustiniano ed un racconto documentato delle principali campagne del regno.

La situazione economica, di nuovo fiorente, consente, in effetti, di mantenere un esercito di limitate dimensioni, composto essenzialmente da mercenari, ma per contro, perfettamente addestrato e molto ben equipaggiato. Le unità di foederati effettuano ormai il loro reclutamento tra i volontari barbari, piuttosto che nella popolazione dell’Impero, specialmente fra gli Armeni. Non si tratta più di mantenere unità formate unicamente su base etnica, e l’origine dei mercenari risulta ormai molto varia: Unni, Armeni, Isaurici, Illirici, Persiani, Eruli, Gepidi, Slavi. Per contro, permane ancora la distinzione fra truppe territoriali o di guarnigione e truppe di campagna. Le prime, spesso basate nelle capitali delle province ed affidate al comando di Tribuni, sono costituite da numerii da 200-400 uomini. Le seconde si appoggiano principalmente su contingenti di cavalleria leggera foederati e di cavalleria pesante, equites catafracti. Belisario, dopo essersi distinto quale guardia del corpo dell’imperatore Giustino, risulterà all’origine di un corpo di cavalleria pesante, i Buccellarii, che aveva avuto il compito di costituire. Egli combatte, alla sua testa, contro i Gepidi, sulla riva del Danubio. Questa particolare unità speciale risulta composta di 1.500 uomini, ma i bizantini dispongono anche di altri corpi speciali, quello degli hippotoxotai o arcieri a cavallo. La nozione comitatus, l’esercito di riserva ed esercito personale dell’imperatore, viene nuovamente in auge e consentirà di condurre adeguatamente le spedizioni di riconquista auspicate da Giustiniano.

I generali, Belisario in primo piano fra di loro, si distinguono, operando ormai come dei veri e propri condottieri, circondati ciascuno da un esercito reclutato a loro piacimento e legato alla loro persona.

 

Le tattiche impiegate a quest’epoca sono state riportate nei più vecchi trattati militari bizantini (taktika) che ci sono pervenuti, ma i cui autori risultano ancora sconosciuti. La fanteria è disposta sul campo in quadrati o in rettangoli ed i soldati dei primi 4 ranghi dispongono di lunghe lance e quelli disposti nella parte posteriore risultano armati di giavellotti. Le formazioni di cavalleria sembrano a quel tempo più flessibili di quelle di fanteria. Gli arcieri a cavallo tirano a comando e per linee, allo stesso modo dei Persiani. Per contro, nell’esercito bizantino vengono privilegiate la potenza degli archi alla rapidità del tiro. Lo stesso trattato suggerisce che le truppe speciali vengono sempre schierate al centro delle prime due linee dell’esercito, mentre i Buccellarii vengono mantenuti in riserva.

 

Il regno dei Vandali in Africa

i Vandali, al contrario dei Burgondi o dei Visigoti, che, una volta insediati nell’Impero, non hanno smesso di vedersi assegnate terre dall’imperatore e di farsi riconoscere come suoi soldati, hanno ben presto cercato di affrancarsi da qualsiasi forma di vassallaggio con Roma. Genserico, una volta padrone dell’Africa, decide che le sue terre non faranno più parte dell’Impero romano: per lui esse devono costituire un regno di pieno diritto, di cui egli è il solo padrone. Un’altra particolarità distingue i Vandali dagli altri popoli germanici: dopo aver conquistato l’Africa e Cartagine con la forza, Genserico non disperde i suoi uomini nelle regioni sotto il suo controllo. Al contrario, egli fa in modo che il suo popolo rimanga raggruppato a Cartagine e nelle zone prossime alla sua nuova capitale. Questa politica è senza dubbio una conseguenza diretta della debolezza della popolazione vandala, il cui numero di guerrieri non supera le 8-12 mila unità (7).

La regione di Cartagine, chiamata Zeugitana dopo le riforme amministrative di Diocleziano, risulta abbastanza ricca per nutrire la totalità dei Vandali che, rimanendo raggruppati, sono nelle migliori condizioni per condurre una qualsiasi operazione militare. La Zeugitania sembra, peraltro, essere stata svuotata della maggior parte dei suoi abitanti romani, a vantaggio dei loro conquistatori. Nel resto dell’Africa del Nord, Genserico provvede ad insediare solo pochi rappresentanti del suo potere, appoggiati da piccoli distaccamenti militari. I Vandali, come la maggior parte dei Germani stabilitisi nell’Impero romano, ad eccezione dei Franchi, sono dei cristiani adepti dell’arianesimo (8). Oltre alla morte di S. Agostino, vescovo d’Ippona, in occasione dell’assedio della sua città nel 430, si possono imputare ai Vandali, il successivo assoggettamento, e l’allineamento, spesso violento, dei cristiani fedeli alla dottrina ufficiale del Concilio di Nicea. Se Ilderico si era mostrato tollerante di fronte ai cattolici, questo non sarà il caso di Gelimero che assume il potere dopo il colpo di stato e che guida la fazione degli ariani convinti. Questi elementi del contesto religioso rappresentano una motivazione supplementare per l’intervento negli affari africani di Giustiniano, ardente difensore della fede retta (ortodossa).

 

Belisario sbarca in Africa

Il progetto di Giustiniano non è la prima spedizione lanciata da un imperatore di Costantinopoli per tentare di riprendere il controllo dell’Africa ai Vandali. In effetti, nell’anno 468, l’imperatore Leone 1° l’Isaurico aveva già inviato un grosso corpo di spedizione contro Cartagine, ma “l’abilità del grande re dei Vandali, Genserico, e l’incapacità assoluta del comandante in capo imperiale, Basilicus, il cognato di Leone 1°, hanno contribuito a far fallire miserevolmente l’impresa, nonostante l’imponente superiorità militare dei Bizantini.” (9) Nel 527, Giustiniano aveva già nominato Belisario alla guida di un esercito dell’Est, forte di 25 mila uomini, per contrastare le incursioni persiane sassanidi sul territorio dell’impero. Vincitore a Dara nel 530, ma battuto l’anno seguente a Callinicum, Belisario acquisisce nel corso di questa campagna una solida reputazione di valido comandante militare. E’ pertanto a lui che Giustiniano affida la guida della campagna d’Africa contro Gelimero.

 

Il contesto strategico risulta in quel momento sfavorevole ai Vandali. Nella primavera del 533 scoppiano delle rivolte in Sardegna ed in Tripolitania, quasi certamente con l’incoraggiamento di Costantinopoli. Contro la prima rivolta Gelimero invia la sua flotta e 5 mila uomini, al comando di suo fratello Tzazon. Egli rimane inattivo contro la seconda, troppo lontana dalle sue basi, mentre le truppe bizantine di Cirenaica intervengono per sfruttare l’insurrezione dei ribelli contro i Vandali. A Costantinopoli, Belisario, questa volta, dispone, per condurre a buon fine la missione ricevuta, di un piccolo contingente di 15 mila uomini, fra i quali 5 mila cavalieri (10). Fra i mercenari si trovano in particolar modo un migliaio di Unni e circa 400 Eruli.

Il corpo di spedizione lascia Costantinopoli il 21 giugno 533, imbarcato su una flotta di 500 navi, scorate da 92 dromoni, vascelli da guerra leggeri e rapidi. La traversata del Mediterraneo si svolge senza problemi maggiori, a parte circa 500 soldati, ammalatisi dopo aver consumato dei biscotti avariati. Il movimento viene effettuato al largo delle coste greche, calabresi e siciliane per circa tre mesi. La flotta vandala, impegnata in Sardegna, non tenta neanche di opporsi allo sbarco dei Bizantini che avrà luogo nel settembre dell’anno 533 a Caput Vada nella Byzacena, a sud di Cartagine. Belisario mette un marcia il proprio esercito in direzione della capitale dei Vandali, seguito dalla flotta che risale a nord sulla costa.

 

La vittoria lampo di Belisario

Gelimero, avvertito dell’avvicinarsi dei Bizantini, tenta di opporsi alla loro avanzata nella stretta di Ad Decimum, vale a dire a 10 miglia, posta, come lo dice il nome stesso, a circa 15 Km. da Cartagine. Il re vandalo elabora un piano sofisticato, decisamente complesso da mettere in opera e soprattutto da coordinare: egli affida a suo fratello Ammatas il compito di bloccare la stretta con un contingente di 2 mila uomini provenienti dalla capitale; egli chiede, inoltre, a suo nipote Gibamondo, con altri 2 mila uomini, di attaccare Belisario sul fianco; il re vandalo si riserva, infine, il compito, con la parte principale dell’esercito, circa 7 mila uomini, di prendere i Bizantini sul rovescio, tagliando loro ogni possibilità di ritirata. La battaglia ha luogo il 13 settembre del 533 e, sfortunatamente per i Vandali, le comunicazioni fra i tre contingenti funzionano male. Ammatas attacca le truppe di Belisario troppo presto, senza neanche beneficiare della sorpresa, poiché il contingente era stato già individuato dalla ricognizione bizantina. Ammatas viene rapidamente respinto ed ucciso in combattimento. L’azione di Gibamondo non ha maggiore successo, in quanto le sue forze vengono investite in velocità dai cavalieri unni di Belisario, che riescono ad attaccarle prima ancora che queste riescano a schierarsi sul terreno. A quel punto, entra in azione la colonna di Gelimero sulla retroguardia di Belisario. I cavalieri vandali ottengono inizialmente un certo successo, mettendo in pericolo gli omologhi bizantini.

 

Mentre una parte dell’Impero d’Oriente risulta ancora impegnata nell’inseguimento delle truppe sconfitte di Ammatas, in direzione di Cartagine, Gelimero sembra poter essere in condizioni di distruggere quelli che risultano ancora alla sua portata. Ma, sopraggiunto sul luogo dove suo fratello è stato sconfitto e reperito il suo corpo senza vita, il re ed i suoi uomini si fanno prendere dallo scoraggiamento. Gelimero ferma il suo esercito sul luogo per seppellire il fratello sul campo di battaglia. Belisario, a quel punto sfrutta l’occasione favorevole. Egli raggruppa il suo esercito ed ormai superiore nel numero, distrugge l’esercito vandalo. Gelimero fugge verso la Numidia, dove spera di ricevere l’appoggio degli alleati berberi. Il re fissa il suo campo nella piana di Bulla Regia. Dal 15 settembre, Belisario, con Antonina al suo fianco, entra a Cartagine, dove trova le porte aperte, mentre la sua flotta si mette alla fonda ed al riparo del lago di Tunisi. Il generale bizantino impedisce ai suoi uomini qualsiasi saccheggio e si insedia nel palazzo del re vandalo.

 

La battaglia di Tricameron

Vinto e persa la capitale del suo regno, Gelimero decide a quel punto di richiamare l’altro suo fratello e le forze inviate a domare la ribellione in Sardegna. Trascorrono nel frattempo tre mesi durante i quali i due avversari si osservano e rinforzano le loro truppe. Belisario rafforza le difese di Cartagine, mentre Gelimero tenta di spingere i Numidi ad infastidire le truppe romane, promettendo loro delle laute ricompense. Tzazon riesce finalmente a raggiungere l’Africa agli inizi del mese di dicembre.

Gelimero decide di prendere immediatamente l’offensiva marciando su Cartagine, mentre Belisario riunisce le sue truppe e decide di andare incontro al contingente di Gelimero, piuttosto che subire un assedio. I due eserciti si scontrano il 15 dicembre a Tricameron, ad una trentina di Km. ad ovest della capitale. Gelimero dispone di circa 20 mila uomini, di cui 5.000, molto agguerriti, provenienti dalla Sardegna ed un contingente di cavalieri mauri. Belisario dispone di forze più o meno equivalenti, in quanto ha potuto ricevere dei significativi rinforzi da parte di Giustiniano, fra i quali, in particolar modo, un contingente di cavalieri catafracti.

Il generale bizantino ordina immediatamente una carica della sua cavalleria pesante sul centro dell’esercito avversario, comandato da Tzazon. I Vandali per due volte resistono alla carica e per due volte i cavalieri bizantini ripartono alla carica. La terza carica risulta decisiva, la linea vandala viene infranta e lo stesso Tzazon rimane ferito mortalmente. Come nel combattimento di Ad Decimum, Gelimero dispone ancora di una riserva, ma ancora una volta, demoralizzato dalla morte del fratello, i suoi uomini non riescono più a combattere ed il re ordina la ritirata, che si trasforma rapidamente in una fuga precipitosa. Belisario, vincitore, ne approfitta immediatamente per impossessarsi di Ippona e del tesoro reale che vi viene rinvenuto. Più di 3 mila Vandali vengono uccisi o fatti prigionieri.

Tricameron è, quindi, una dura disfatta per Gelimero che si rende conto che la sua causa è ormai perduta. Egli pensa di fuggire in Spagna, dove vivono ancora dei Vandali. Ma inseguito attivamente dai Bizantini, è costretto a nascondersi fra le tribù numide, prima di arrendersi nel corso dell’inverno del 534.

Belisario, attraverso le sue vittorie lampo, rende a Giustiniano le vecchie province romane d’Africa, delle Baleari, della Sardegna e della Corsica, che viene abbandonata da Gelimero. Da un punto di vista tattico, i due successi ottenuti dal generale di Giustiniano sono stati conseguiti grazie alla disciplina ed alla qualità delle truppe bizantine, che sebbene meno numerose, sono state capace, in ogni situazione, di adottare i giusti provvedimenti di fronte alle manovre ed alla resistenza dell’avversario. Meglio comandate e più omogenee, le truppe bizantine hanno saputo approfittare degli errori dei loro avversari. Per quanto riguarda i Vandali, se il loro nucleo principale era certamente solido, i suppletivi ed i loro alleati si sono rivelati molto meno affidabili.

Belisario viene alla fine richiamato a Costantinopoli nell’estate del 534. Ritornato nella capitale imperiale, il generale ha diritto al tradizionale trionfo accordato ai comandanti romani vittoriosi: “Il popolino acclama l’imperatore, mentre Belisario entrava nell’ippodromo alla testa dei suoi soldati, seguito da Gelimero, dalla sua famiglia e dai prigionieri vandali i più imponenti ed i più rappresentativi. La processione continuava quindi con una successione di carri che trasportavano il bottino di guerra – ivi compresa la menorah – il candeliere sacro a sette bracci di cui l’imperatore Tito si era impadronito nell’anno 71 nel Tempio di Gerusalemme, per portarlo a Roma. Genserico, che se ne era impadronito nel 455, l’aveva portato a Cartagine.” (11). Le cerimonie si concludono con la prosternazione di Belisario e Gelimero ai piedi della tribuna dove si trovano Giustiniano e Teodora. L’imperatore proporrà più tardi a Gelimero una ricca proprietà in Galazia, dove finirà la sua vita. I Barbari, anche i Vandali, non sono più quelli di … una volta !!!

 

Bilancio della riconquista

La riconquista bizantino romana, tutto sommato facile, dell’Africa da parte di Belisario contribuisce ad accrescere l’appetito di Giustiniano, che orienterà, ben presto, i suoi eserciti contro l’Italia e la Spagna. Le operazioni, specialmente in Italia, risulteranno molto meno facili. Il bilancio militare del regno di Giustiniano è impressionante ma grave di conseguenze, poiché far regnare sul mondo la pax romana ha un suo prezzo: “I Barbari (Ostrogoti, Visigoti, Vandali) vengono respinti dall’Italia, dalla maggior parte della Spagna e dell’Africa, i Persiani rispettano i trattati conclusi con Bisanzio; i popoli ribelli e poco docili dell’Arabia riconoscono l’autorità imperiale; i Goti di Crimea vengono costretti alla calma e la frontiera del Danubio appare invalicabile. Il Mediterraneo ed il Ponto Eusino sono diventati ormai dei laghi bizantini … Alla morte di Giustiniano il Grande (565), lo Stato, come lo precisa Procopio nella sua Historia segreta, risultava rovinato dalle incessanti imprese militari e dalla politica megalomane dell’imperatore che è stato, tuttavia l’ultimo grande imperatore romano” (12).

Se l’impero bizantino perderà rapidamente la Spagna (Cordova perduta nel 584 e gli ultimi reliquati nei 40 anni seguenti) e dovrà fronteggiare l’invasione dei Longobardi in Italia (dove l’Impero conserverà nondimeno vaste regioni per numerosi anni), “L’Impero manterrà le sue posizioni in Africa del Nord fino all’invasione araba, nonostante una costante guerra d’usura con le tribù dei Mauri” . (13)

Per quanto riguarda Belisario, da successi a disgrazie più o meno lunghe, egli rimarrà ai posteri come un generale emblematico di questa età d’oro bizantina, nel corso della quale gli eserciti romani hanno conosciuto nuovamente ed in maniera spettacolare, la vittoria.

 autore: MASSIMO IACOPI

NOTE

(1) I Blù ed i Verdi: “I loro nomi, in origine derivavano dai colori portati dalle due principali squadre di conduttori di carri nel circo. Ma i loro capi erano allora pagati dal governo che aveva loro attribuito importanti responsabilità, specialmente in materia di guardie e mantenimento delle fortificazioni. Queste fazioni costituivano pertanto, in tutte le grandi città dell’Impero, dei partiti semi politici che, a tempo debito, costituivano una specie di milizia civile “ Da Norwick John Julius, Histoire de Bysance);

(2) Monofisismo: dottrina cristologica che afferma che il Figlio non ha che una sola natura e che essa è divina, avendo quest’ultima assorbito la sua natura umana;

(3) Ahrweiler Helene, L’ideologie politique de l’Empire byzantin;

(4) Nika: grido di incitamento in lingua greca che significa “vittoria” o più in genere “avanti per la vittoria”;

(5) Norwick John Julius, Histoire de Bysance;

(6) Procopio da Cesarea era il segretario personale di Belisario, che ha seguito nel corso delle campagne. Procopio ha tentato di imitare lo stile dei racconti storici di Erodoto o di Polibio. Lo scrittore dimostra nei suoi scritti una debole propensione ad analizzare gli avvenimenti, che riporta con un certo distacco;

(7) Cifre proposte da Hans Delbrück nel suo lavoro The Barbarian Invasions. Procopio da Cesarea nella sua opera Historia segreta (18°, 6) riporta le seguenti cifre che appaiono esagerate: “Eppure i Vandali erano più di 80 mila che potrebbe comprendere il numero delle loro donne e dei loro figli e dei loro schiavi”;

(8) Il teologo Ario (256-336) è il propugnatore di una tendenza del Cristianesimo che ha poi assunto il suo nome: Arianesimo. Egli affermava che se Dio è divino, suo figlio, da parte sua, è inizialmente umano, ma un umano che dispone di una parte di divinità, opponendosi, in tal modo, al credo trinitario dei cattolici, confermato dal concilio di Nicea, nel 325;

(9) Ostrogorsky Georges: Histoire de l’Etat byzantin;

(10) Cifre ugualmente proposte da Hans Delbrück che cita peraltro Agathias per valutare gli effettivi totali dell’esercito bizantino – 150 mila sotto Giustiniano – pur stimando che si tratta senza dubbio di un numero esagerato;

(11) Norwick John Julius, Histoire de Bysance;

(12) Ahrweiler Helene, L’ideologie politique de l’Empire byzantin;

(13) Ostrogorsky Georges: Histoire de l’Etat byzantin.

 

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Di Nicola

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