Guerra e pace: storiografia e ambascerie nel VII secolo

 Sono esaminate le testimonianze sulle ambascerie nel VII secolo, e le loro circostanze, e si suggerisce che la mancanza di diplomazia documentata sia in parte giustificata dalle condizioni di relativa pace che potrebbe aver avuto l’Occidente, e in parte dalla natura delle fonti del periodo.

Prima del Rinascimento, quando gli ambasciatori e i consoli di uno stato iniziarono a essere mantenuti permanentemente in territorio estero (1), la comunicazione con i governanti stranieri era condotta per mezzo di emissari inviati tra i re con fini specifici. Gli scopi di tali contatti erano molti e vari, compresa la risoluzione di dispute (prima o dopo il sorgere di un conflitto armato); stipulare alleanze e cercare aiuto contro terzi; la negoziazione di diritti per i mercanti e gli altri viandanti, includendo il dare assicurazioni sulle intenzioni dei viaggiatori ufficiali. Ci poteva essere anche un elemento di acquisizione, o raccolta, d’informazione, almeno in alcune occasioni, mentre in altri momenti lo scopo del contatto poteva essere non più specifico che l’apertura e il mantenimento di linee di comunicazione nella speranza di procurare buone relazioni in caso di future richieste di assistenza, ed evitare il genere di reciproco sospetto che spesso scaturisce dalla mancanza di dialogo (2).

È generalmente riconosciuto tra coloro che hanno scritto sulla diplomazia del primo Medioevo che la maggioranza delle testimonianze sulla diplomazia occidentale nel VI e VII secolo si riferisca al periodo precedente alla metà del VII secolo, e principalmente al VI. Dopo l’unificazione del regnum Francorum nelle mani di Clotario II, e l’ascesa al trono imperiale di Eraclio, non c’è ricordo di attività diplomatica paragonabile con quella delle tortuose (e molto discusse) relazioni tra Visigoti, Franchi e Bizantini nella generazione precedente (3); non c’è nulla che sia uguale alla testimonianza relativa alle relazioni di Teodorico il Grande con i suoi contemporanei anteriori al VI secolo. Questo è stato discusso in relazione alla diplomazia dei Franchi da due studiosi in particolare, ma le conclusioni che hanno raggiunto su di essa sono differenti. Ganshof  sostenne che ciò era dovuto al fatto che la maggioranza dei suoi esempi proveniva dal periodo precedente alla morte di Dagoberto I, e particolarmente dal VI secolo, in combinazione con la diminuzione in quantità e qualità delle testimonianze del periodo posteriore, e la crescente debolezza dei Merovingi (4). Ewig, d’altro canto, dopo aver esaminato il campo più specifico delle relazioni franco-bizantine, ipotizzò che la minor testimonianza suggerisse una genuina interruzione dei contatti (5). Entrambe le interpretazioni potrebbero essere applicate quasi egualmente bene alla diplomazia visigota e longobarda, così come al contatto bizantino con l’Occidente: ciò che si è tentato qui è una valutazione delle testimonianze per il VII secolo su scala più ampia.

Le circostanze storiche del VII secolo differiscono da quelle del VI in alcuni punti che possono aver inciso sulla conduzione delle relazioni estere. In Occidente, uno degli eventi più significativi è stato probabilmente l’unificazione del regno franco per molto tempo: questo ridusse il numero dei Merovingi con cui i sovrani stranieri dovevano negoziare. In aggiunta, per moltissimo tempo, ciò eliminò ogni bisogno di inviare gli emissari tra i re della Teilreiche franca, esempi dei quali, sebbene forse non strettamente rilevanti nelle relazioni con i re “stranieri”, influiscono grossolanamente su metà (più di sessanta) degli eventi diplomatici esplicitamente citati nelle Storie di Gregorio di Tours per il periodo successivo alla morte di Clodoveo (6).

Altra differenza tra il VI e il VII secolo è che i regni “barbarici” ebbero, da poco dopo il 600, stabilite le loro frontiere in rapporto a tutti gli altri (sebbene i Longobardi continuarono a espandere il loro territorio a spese dell’Impero) e giunsero a un modus vivendi, sebbene a volte teso (7). Questo ebbe due importanti conseguenze. Primo, si potrebbe aver avuto meno bisogno che nel passato di complesse alleanze matrimoniali che erano volte ad assicurare pace tra i popoli coinvolti, o a garantire cooperazione contro terzi. Il punto può essere illustrato dall’esempio dell’Inghilterra dove l’esistenza di un gran numero di regni rivali finì nella prosecuzione di guerre in una scala con alcune simili nella Gallia del VI secolo, e in un caleidoscopio di alleanze, alcune avallate da accordi matrimoniali come quelli dei figli di Oswiu di Northumbria con quelli di Penda della Mercia e Anna dell’Anglia Orientale (8). La seconda conseguenza della relativa mancanza di guerra tra i regni continentali fu che ci furono molte poche ambascerie concernenti negoziati di pace: approssimativamente metà delle legazioni ricordate da Gregorio di Tours erano direttamente connesse con la conduzione della guerra o la conclusione della pace.

Un simile punto potrebbe essere fissato riguardo alle relazioni tra l’Occidente e l’Impero. Dopo la salita al potere di Foca, l’abbandono di ogni serio tentativo di ristabilire l’Impero in Occidente, e la conversione sia dei Visigoti che, in seguito, dei Longobardi al Cattolicesimo, fece venir meno la causa di ostilità tra Bisanzio e ogni regno “barbarico”. C’erano, dunque, meno occasioni in cui era necessario per gli imperatori inviare emissari in Occidente, o riceverne degli ambasciatori, neppure per negoziare argomenti di guerra o pace (ad esempio agli inizi del VII secolo i rapporti di Sisebut con Cesario, patriarca di Cartagena) (9), o per costruire alleanze con le potenze occidentali (come nel caso delle relazioni con Franchi e Visigoti nel tardo VI secolo). Se le ambascerie verso Occidente erano minori in questo periodo, comunque, quelle verso Avari, Slavi, Persiani e Mussulmani, con cui l’Impero aveva ingaggiato forti ostilità che si protrassero per molto tempo, erano numerose.

A dispetto di questi fattori, è prontamente dimostrabile che l’attività diplomatica continuò a essere importante fino alla metà del secolo, almeno in relazione ai Franchi. Per il periodo tra il 613 e il 642, dove la sezione occidentale della sua Cronaca finisce, Fredegario ricorda qualcosa come una dozzina di eventi diplomatici, che ricadono nelle stesse ampie categorie della maggioranza di quelli del VI secolo: due erano interni al regnum Francorum (10); uno volto al mantenimento della pace sui confini guasconi e bretoni della zona centrale del territorio franco (11); uno stabiliva la pace tra i Franchi e gli Slavi e gli Avari (12), i due seguenti riguardavano le relazioni con i Wend e i Sassoni durante il conflitto di Dagoberto con questi (13). Due ambascerie erano connesse con l’appello di Sisenand per l’aiuto di Dagoberto per ottenere il trono visigoto nel 631 (14); mentre anche Dagoberto ricercò relazioni con Bisanzio, sia inviando sia ricevendo una legazione, con il risultato che fu stabilita una pace perpetua (15). In fine, c’erano due ambascerie completamente connesse con il proteggere gli interessi delle relazioni dei Merovingi che si erano sposati all’interno della dinastia longobarda, sebbene il loro reale proposito potrebbe essere stato volto più a tenere vive le aspirazioni franche sull’Italia (16).

Malgrado il fatto che questa enumerazione non sia modesta (17), e ammonti, in proporzione alla lunghezza di tempo a cui si riferisce, a circa i due terzi della frequenza delle ambascerie ricordate esplicitamente da Gregorio di Tours per il periodo dopo il regno di Clodoveo, sembra esiguo confrontato col resoconto di Gregorio. Sebbene, come detto sopra, ci siano ragioni per pensare che ci possa essere stata una genuina riduzione dell’attività diplomatica nel VII secolo, la nostra consapevolezza della scala della riduzione potrebbe essere esagerata dalle differenze tra gli scritti di Gregorio e Fredegario. Gregorio spesso fornisce più dettagli concernenti episodi particolari, alcune volte segue gruppi di eventi per intero, dando impressione di maggiore attività; inoltre, spesso allude a patti tra i re senza riferire direttamente gli eventi diplomatici che erano necessari affinché essi fossero stipulati.

In parte, questo non è dovuto neppure alla distanza delle Storie di Gregorio a paragone con la Cronaca di Fredegario, che si colloca più vicina alla tradizione dei continuatori di Gerolamo del V secolo. La forma letteraria in se non è, comunque, il solo fattore di cui bisogna tener conto: intimamente connesso con esso è lo specifico scopo di ogni singolo autore, che potrebbe significativamente incidere sul tipo d’informazione registrata nelle opere dello stesso genere di base. Per esempio, le Cronache del V secolo si conformano tutte allo stesso genere fondamentale, ma ciascuna ha caratteristiche individuali: per gli scopi attuali, è pertinente notare che solo Idazio registrò molte ambascerie, e la sezione finale della sua Cronaca è stata descritta come una specie di storia della diplomazia (18). Ritornando a Gregorio di Tours, il suo fine moralistico significò che le relazioni diplomatiche erano un terreno fertile. Quando, per esempio, Ermanfrido dei Turingi volle ottenere il territorio di suo fratello, contattò Teodorico I, richiedendo assistenza in cambio di metà del profitto. Dopo il vittorioso completamento della conseguente campagna, Ermanfrido si rifiutò di adempiere ai suoi impegni e attaccò i Franchi. Dopo inutili negoziati, Teodorico spedì messaggeri a suo fratello, Clotario I, invitandolo ad aiutarlo nell’attaccare Ermanfrido in cambio di una parte del bottino. Clotario acconsentì e, dopo altri negoziati (nel corso dei quali gli ostaggi franchi furono uccisi), i Turingi furono sconfitti; piuttosto che mantenere la sua promessa, Teodorico di nuovo convocò Clotario, questa volta per provare a ucciderlo. Alla fine, essendogli stato garantito un salva condotto, Ermanfrido, come Clotario, andò a parlare con Teodorico, solo per incontrare la sua morte, determinando così la sottomissione della Turingia ai Franchi (19). Parte della ragione di questa lunga trattazione non è dovuta all’importanza degli eventi, ma è significativa perché fornisce esempi di perfidia e doppio gioco da cui potrebbero essere tratte delle morali, anche se solo implicitamente (20). Al contrario, il racconto di Fredegario della rivolta dei Guasconi nel 635 è scialbo: le ragioni della rivolta non sono esposte; c’è un breve racconto della campagna di Dagoberto, seguito dalla semplice affermazione che i Guasconi andarono a Clichy a fare i giuramenti di pace che essi “tennero nella loro solita maniera” – cioè, infransero (21). Avesse un Gregorio registrato gli stessi eventi, avrebbe potuto trovare anche qui materiale per i suoi propositi morali, e perciò avrebbe aggiunto maggiori dettagli. La brevità del racconto di Fredegario non significa necessariamente che fu speso meno sforzo diplomatico nella risoluzione del conflitto come sarebbe potuto accadere nel secolo precedente (tranne che c’era solo un re merovingio coinvolto): questo può semplicemente riflettere i concetti, la forma e lo stile di un autore differente.

Simili fattori si applicano alla testimonianza delle ambascerie nelle fonti non franche. Sebbene la Storia dei Longobardi di Paolo Diacono fosse concepita con un soggetto – la legittimazione del dominio longobardo in Italia, e i sovrani indipendenti del Ducato di Benevento nel tardo VIII secolo in particolare – che poteva sembrare richiedere un resoconto dei negoziati con i sovrani stranieri, il preciso modo in cui Paolo concepì il suo lavoro indica che la sua narrazione è altamente selettiva (22). Per la generazione seguente all’entrata di Alboino in Italia, per la quale potrebbe aver attinto alla contemporanea (e ora perduta) Cronaca di Secondo di Trento (23), Paolo fornisce un gran numero di prove riguardanti le relazioni con l’Impero, e alcune per i contatti con i Franchi. Dopo di ciò, comunque, il materiale di questo genere è molto minore fino all’ottavo secolo. Questo è in parte causato dal fatto che il resoconto di Paolo del VII secolo è disuguale, essendo accordato molto poco spazio agli anni precedenti al 660 (24), quando Grimoaldo I (che Paolo presenta come un modello per il suo giovane contemporaneo, Grimoaldo III di Benevento) diviene re (25). Da allora in poi, l’attenzione del resoconto di Paolo è minore sul diritto dei Longobardi come popolo di governare l’Italia che sul dimostrare la legittimità dei singoli re. Questo significa che c’è un maggior risalto alle politiche interne – e particolarmente alle rivalità tra i duces, maggiori per coloro che avevano rivendicazioni dinastiche al trono (26) – piuttosto che agli affari esterni e alle percezioni straniere della legittimità longobarda. Tali episodi diplomatici che sono menzionali nel VII secolo (come l’ambasceria di Grimoaldo agli Avari per chiedere che non fosse dato rifugio all’esiliato Perctarito (27), o la sua richiesta che gli Avari attaccassero il ribelle dux del Friuli, Lupo) (28) tendono ad essere relativi ad eventi interni, piuttosto che un coerente resoconto di politica estera (29).

Volgendoci ad Oriente, è ben noto che le fonti bizantine del VII secolo quasi mai si interessano all’Occidente (30). Le ragioni di questo sono troppo complesse per essere esposte in dettaglio qui, ma un commento può essere offerto. Talora è implicito che il fatto che Teofilatto Simocatta (che visse al tempo di Eraclio e scrisse sul tardo VI secolo) raramente si interessi all’Occidente (31), unito con gli stessi silenzi nei posteriori scritti di Niceforo e Teofane, rappresenti una generale diminuzione d’interesse per l’Occidente durante il VII secolo. La reticenza delle fonti, comunque, non riflette necessariamente una genuina diminuzione di contatto. Questo è certo nel caso di Teofilatto, infatti le fonti occidentali rivelano che c‘era un’intensa attività diplomatica est-ovest per molto del periodo trattato da lui: siccome era stato sfortunato nel suo primo scopo – cacciare i Longobardi dall’Italia – questo potrebbe essere stato deliberatamente omesso da un’opera che era, in parte, un panegirico di Maurizio (32), per paura che si riflettesse malamente sull’Imperatore. Questo suggerisce che bisognerebbe esercitare la cautela nell’interpretare il silenzio degli altri due autori, particolarmente poiché essi attinsero a una fonte comune (33). Inoltre, il fatto che sia Niceforo che Teofane abbiano scritto tempo dopo che le rivendicazioni bizantine sull’Occidente erano state abbandonate potrebbe averli spinti a vedere le relazioni del VII secolo con l’Occidente (che, se esistevano, erano, come notato prima, relativamente pacifiche) come di poca importanza, specialmente quando le si mettono fianco a fianco con i seri, drammatici e formativi eventi – non meno militari che diplomatici – che si dischiudevano in Oriente.

L’eccezione alla pochezza di testimonianze per le ambascerie è supplita dalle fonti inglesi, e specialmente dalla Storia Ecclesiastica di Beda. Parte della ragione di questo è che, come detto prima, le ostilità tra e dentro i regni inglesi generarono diplomazia per risolvere i conflitti e cementare le alleanze da taluni indicate come accordi nuziali (34). Alcuni di quest’ultimi furono anche l’occasione per attività missionaria, talune nozze, come quelle tra AEthelburh ed Edwin, furono poste sotto la condizione della conversione del re (35). Molte, forse metà, delle richieste di contatto diplomatico all’interno dell’Inghilterra registrate nella Storia di Beda sono in qualche modo relative a questo tema, con re che pubblicizzano la conversione reciproca (36) e richiedono clero per gli altri regni (37). Il clero era anche richiesto dai sovrani fuori dall’Inghilterra (38), mentre altri erano inviati all’estero per essere consacrati (39); e c’erano contatti tra i re e i papi (40), di un genere rapidamente eguagliato durante la conversione dei re continentali in una data piuttosto antecedente. Mentre parte della spiegazione per il relativamente ampio volume di materiale per l’Inghilterra può trovarsi nelle differenze tra le circostanze storiche degli Anglosassoni e dei regni continentali, è anche significativo che l’Inghilterra non solo sia servita da un maggior numero di fonti narrative, ma alcuni di quei religiosi che volevano tali contatti fossero spesso germanici.

Si è finora discusso che il minor numero di testimonianze per le ambascerie del VII secolo è ampiamente attribuibile alla natura dei principali resoconti, la più probabile fonte d’informazione dato che non c’era l’equivalente delle precedenti collezioni di lettere reali (41). Ma leggendo tra le righe dei resoconti, comunque, è possibile stabilire che il contatto diplomatico era mantenuto, e ottenere un’impressione della sua scala, se non sempre della sua precisa natura.

Quando re Caedwalla dei Sassoni occidentali abdicò e compì un pellegrinaggio a Roma, fu ricevuto alla corte reale longobarda, dopo essere passato attraverso il paese dei Franchi (42). Un re errante, anche se compiva un pellegrinaggio, poteva destare dei sospetti: perciò, il fatto che il viaggio fu possibile può suggerire o che era stato preceduto da considerevole attività diplomatica, o che i contatti tra le corti coinvolte erano abbastanza regolari per credere che fossero già stati stabiliti. Che questo sia, forse, molto probabile, perlomeno in relazione al paese dei Franchi, potrebbe essere suggerito dalla presenza di donne reali anglosassoni nelle comunità religiose franche (43). Sottilmente differente è il caso di Perctarito che, privato del regno longobardo da Grimoaldo, richiese protezione in tempi differenti ad Avari, Franchi (che attaccarono senza successo i Longobardi) e Anglosassoni (44): giacché un re esiliato vorrebbe probabilmente chiedere protezione ad amici, può essere che esistessero già buone relazioni tra la dinastia di Perctarito e i sovrani dei popoli coinvolti. Questi eventi rivelano anche l’attività diplomatica da parte di Grimoaldo, infatti, come detto prima, egli persuase gli Avari a cedere Perctarito, e in qualche punto sembra che abbia concluso un trattato con i Franchi – sebbene i dettagli e la cronologia siano oscuri (45).

Gli eventi riguardanti l’invio di Teodoro e Adriano da Roma all’Inghilterra sono istruttivi in un modo differente (46). I re Oswiu ed Egbert congiuntamente inviarono Wighard a Roma recando doni, con la richiesta che fosse consacrato arcivescovo. Dopo la morte di Wighard a Roma, papa Vitaliano spedì messaggeri in Inghilterra con una spiegazione, lettere e doni, prima di inviare Teodoro e Adriano stessi. Malgrado il fatto che questi ultimi fossero apparentemente protetti da Ebroin, essi furono trattenuti temporaneamente in Gallia con l’argomento che Teodoro era un ambasciatore imperiale per l’Inghilterra. Presa per intera, questa sequenza di eventi richiese un ampio numero di negoziati tra i sovrani: Oswiu ed Egbert devono essersi contattati più di una volta, i passaggi sicuri attraverso il territorio franco e, possibilmente, longobardo e bizantino (47) saranno stati negoziati (48); o questo, o i messaggeri reali erano così frequentemente sulle strade che c’erano sistemazioni permanenti per loro, come potrebbe essere suggerito da un numero di passaggi nei codici legislativi del VII secolo che regolano i modi in cui i viaggiatori in generale dovevano essere trattati (49). Inoltre, sebbene le azioni di Ebroin potrebbero essere state dettate dalla paranoia, potrebbero suggerire che i delegati imperiali in Gallia, o perfino in Inghilterra, non erano senza precedenti (50). Noi non possiamo sapere se Ebroin avesse una genuina ragione per temere un incoraggiamento imperiale verso gli Inglesi per richiedere pressione sul territorio franco nella speranza di guadagnare la cooperazione franca contro i Longobardi  o meno (51), ma una tale azione sarebbe rientrata interamente nella tradizione diplomatica anti-longobarda del tardo VI secolo, che Campbell ha suggerito potrebbe aver coinvolto gli Anglosassoni (52).

Un tipo di contatto regolare che potrebbe essere esistito coinvolgendo i sovrani e informandoli a vicenda delle loro ascese. C’è una buona prova che gli imperatori bizantini e persiani abitualmente comunicassero in questo modo nel VI secolo, e non c’è ragione di supporre che l’abitudine non sia continuata (53). Chrysos ha suggerito che una simile convenzione regolasse le relazioni bizantine con gli altri sovrani stranieri (54), e, per estensione, è possibile immaginare comunicazioni dello stesso tipo tra i sovrani occidentali stessi. Si deve riconoscere però che non c’è nessuna prova di alcun genere; ma potrebbe essere stato l’evento a essere suggerito dalla natura della regalità del VII secolo. È ben noto che il periodo vide gli inizi delle interpretazioni teocratiche del potere nei regni “barbarici”. Una tale dottrina sollevò la questione di cosa accade al potere – e, perciò, ai patti stipulati dai singoli sovrani – quando il re muore. Come Ullmann mostrò in relazione alle teocrazie mature, giacché nessuna autorità poggiava sul popolo, il potere ritornava a Cristo alla morte di un re; questo significava che la pace del re moriva con lui (55). Se questo era applicabile a un periodo precedente, e possibile che i trattati esterni potrebbero anche essere considerati decaduti con la morte; in tali circostanze è possibile immaginare un regolare flusso di ambascerie ogni volta che un sovrano moriva, con l’ordine di ricreare i formali vincoli della pace (56).

Anche senza l’ultima possibilità, gli eventi profilati prima suggeriscono che c‘era un considerevole volume di contatti pacifici tra i sovrani di Anglosassoni, Franchi e Longobardi. In aggiunta ai tipi di comunicazione discussi sopra, i sovrani potrebbero aver cooperato per stabilire l’intelaiatura senza la quale il commercio non potrebbe avvenire. Presa insieme con l’esistenza, nella collezione Marculf, di formule per documenti connessi con le ambascerie (57), la somma delle prove suggerisce che il contatto tra re era relativamente comune. Che poche di queste attività siano direttamente registrate è in parte dovuto proprio al fatto che esse erano pacifiche, se non abituali; le fonti – orientali come occidentali – sono principalmente di un genere che memorizza solo eventi eccezionali, specialmente quelli riguardanti la guerra (che era uno dei principali temi della letteratura storica romana). Volgendoci agli altri regni occidentali, la mancanza di fonti diverse da quelle legali e conciliari per i Visigoti indica che non c’è quasi nessuna testimonianza contemporanea delle ambascerie svoltesi nella penisola iberica nella seconda metà del VII secolo, sebbene alcuni contatti di altro genere siano noti (58). Similarmente, la quasi totale mancanza di una fonte appropriata per il territorio dei Franchi nello stesso periodo indica che le relazioni dei Merovingi – pacifiche o belliche – con Avari, Slavi, Wend, Turingi, Sassoni, e altri non possono essere tracciate; ma sostenere che i contatti non esistessero è dibattere tramite silenzio.

Questo può significare, in questo contesto, che alcuni passi delle testimonianze relativi al VI e VII secolo possono essere interpretati per sostenere che non solo l’inviare e ricevere ambascerie era una parte importante dell’attività di un re, ma era specificatamente un dovere reale. Il primo, che di per sé non è il più indicativo, proviene dalla formula di Cassiodoro per la nomina di un architetto di palazzo, nella quale si dichiara che gli ambasciatori erano stati presentati a palazzo e così avevano ottenuto importanti impressioni sul re (59). Molto più esplicito è il racconto di Teofane sulla crisi di successione bizantina dopo la morte di Eraclio nel 641. Secondo questo autore, il popolo bizantino non volle permettere che Martina tenesse il potere come il precedente Imperatore aveva richiesto, perché, come donna, non poteva ricevere gli ambasciatori stranieri (60). L’implicazione è che non solo un’imperatrice/regina non poteva adempiere al compito, ma anche che ella non poteva delegarlo a nessun’altro – neppure a suo figlio quindicenne, Eracleona, o al suo figliastro più vecchio, Costantino, che condividevano con lei gli elementi del potere.

È contro questo precedente che un resoconto del ricevimento dei delegati nel paese dei Franchi nel 689 dovrebbe essere considerato. Secondo gli Annales Mettenses Priores, dopo che Pipino II ebbe sconfitto Radbod dei Frisi, delegazioni d’ogni genere dei popoli stranieri lo ricercarono e lo riempirono di doni; egli rispose con eguali doni e ambascerie (61). Dato che gli Annales sono noti per la loro posizione pro-carolingia, è possibile vedere questo come un tentativo di descrivere Pipino come un re (il passo si riferisce al suo “imperium”). Se questo è corretto, ciò suggerisce che il rapporto con gli ambasciatori era in verità una funzione specificatamente reale. (Ciò può anche rafforzare l’ipotesi avanzata prima che i nuovi sovrani cambiassero gli inviati). Inoltre, in un passo quasi contraddittorio di propaganda carolingia, Eginardo, proprio mentre derideva i Merovingi, mostrava il ricevimento degli ambasciatori come la loro ultima funzione nominale rimasta (62). Non solo questo aggiunge peso ai rapporti specificatamente regali dell’attività diplomatica – infatti, sebbene i maiores imponessero le risposte ai re, essi non potevano usurpare realmente la prerogativa dando udienza agli ambasciatori – ma ciò implica anche che i contatti con i re stranieri continuarono, e può quasi essere stato relativamente ovvio. In vista di questo, può essere che la mancanza di prove per l’ambascerie del VII secolo – attraverso un’area molto più ampia del territorio franco – non debba essere presa come prova che sia i Franchi che i loro contemporanei vivessero isolati da ogni altro; piuttosto, può riflettere sia una diminuzione delle ostilità tra i sovrani, sia più ampi problemi di testimonianze che hanno portato alla scarsa reputazione dei re continentali del VII secolo.

 

(Da Early Medieval Europe 1997 6 (2) 127-139, a cura di Paul S. Barnwell. Traduzione di Antonino Marletta).

 

NOTE

 

  • Per lo sviluppo delle ambascerie permanenti nella prima età moderna, vedi G. Mattingly, The first resident embassies: medieval Italian origins of modern diplomacy, Speculum 12 (1937), pp. 423-39.
  • Per un’analisi degli obbiettivi della più antica diplomazia bizantina, vedi E. Chrysos, Byzantine diplomacy, AD 300 – 800: means and ends, in J. Shepherd e S. Franklin, Byzantine Diplomacy: papers from the 24th spring symposium of Byzantine studies, Aldershot, 1992, p. 32. Per il sottofondo tardo-romano, specialmente in relazione allo spionaggio, vedi A. D. Lee, Information and frontiers: Roman foreign relations in late antiquity (Cambridge, 1993).
  • Le principali fonti sono: Gregorio di Tours, Decem Libri Historiarum (LH), ed. B. Krusch e W. Levison; Monumenta Germaniae Historica Scriptores Rerum Merovingicarum (MGHSRM) I parte I, Hannover 1937-51; Epistolae Austrasicae, 25-48, ed. Gundlach, MGH Epistolae III, Berlino 1892; ed Epistolae Wisigothicae, II-13, ed. W. Gundlach (come sopra). Per le discussioni, vedi P. Goubert, Byzance avant l’Islam, 2: Byzance et l’occident sous les successeurs de Justinien, I: Byzance et les Francs (Parigi, 1956); W. Goffart, Byzantine policy in the west under Tiberius II and Maurice: the pretenders Hermenegild and Gundovald, Traditio 13 (1957), pp. 73-118; A. Isla Frez, Las relaciones entre el reino visigodo y los reyes merovingios a finales del siglo VI, rapports entre le monde wisigothique et le monde franc à l’époque de Reccared, in Concilio III de Toledo: XIV centenario, 589-1989 (Toledo, 1991), pp. 465-76.
  • L. Ganshof, De internationale betrekkingen van het Frankisch Rijk onder de Merowingen, Mededelingen van de Koninklijke Vlaamse Academie vor wetenschappen, letteren en schone Kunsten van Belgie, Klasse der Letteren 22.4 (1960) pp. 3-4, 23; Merowingisches Gesandschaftswesen, in Aus Geschichte und Landeskunde: Forschungen und Darstellungen. Franz Steinbach zum 65. Geburtstag gewidmet von seinen Freunden und Schulern (Bonn, 1960), pp. 182-3; Les Traités des rois mérovingiens, Tijdschift voor Rechtsgescheidenis 32 (1964), pp. 191-2; The Middle Ages. A history of international relations (New York, 19719, cap. 1 e 3.
  • Ewig, Die Merowinger und das Imperium (Opladen, 1983), pp. 50-7.
  • I numeri precisi delle ambascerie sono difficili da calcolare, come non è sempre chiaro quali eventi costituiscano ambascerie formali, o dove finisca una legazione e inizi un’altra. In aggiunta alle ambascerie di cui c’è specifica menzione, l’esistenza di altre (di eguale incerto numero) è esplicito nel racconto di Gregorio.
  • N. Wood, The Merovingian Kingdoms, 450-751 (Londra, 1994), p. 180, nota che l’aumentato potere dei Longobardi e di alcuni re inglesi nel VII secolo può aver avuto effetto sulla politica estera merovingia. Ibid., pp. 174-7, suggerisce che le relazioni con i Visigoti, sebbene pacifiche, furono a volte tese, traendo un esempio specifico dalla rivolta contro Wamba nel 670; dopo la morte di Brunilde, comunque, uno dei più gravi motivi di tensione fu rimosso – vedi J. Fontaine, Sisebut’s Vita Desiderii and the political function of Visigothic hagiography, in E. James (ed.), Visigothic Spain: new approaches (Oxford, 1980), pp. 123-4; vedi anche R. Collins, The Arab Conquest of Spain, 710-797 (Oxford, 1989), pp. 13-14.
  • Beda, Historia Ecclesiastica, III, ii, 21, IV, 19; ed. C. Plummer, Venerabilis Bedae Opera Historica (2 voll., Oxford, 1896).
  • Epistolae Wisigothicae, 4-6.
  • Fredegario, Chronicle, IV, 53 [ed. J. M.Wallace-Hadrill, The Fourth Book of the Chronicle of Fredegar with its continuations (Londra, 1960)] ; sul resoconto dei negoziati tra Clotario II e Dagoberto I per risolvere le rivendicazioni territoriali rivali; vedi pure, , IV, 85, sui negoziati per la divisione del tesoro di Dagoberto tra Sigiberto II e Clodoveo II.
  • Fredegario, Chronicle, IV, 78; riguardo i Guasconi e i Bretoni; sui primi vedi oltre sotto; per i secondi cfr. Vita Eligii episcopi Noviomagensis, I, 13, in MGHSRM, IV.
  • Fredegario, Chronicle, IV, 58.
  • Fredegario, Chronicle, IV, 68, 74.
  • Fredegario, Chronicle, IV, 73.
  • Fredegario, Chronicle, IV, 62, 54; fr. Gesta Dagoberti I, 24, in MGHSRM, II.
  • Fredegario, Chronicle, IV, 51, 71.
  • Può aver formato la base per il seguente racconto della Vita Eligii, I, 10, nell’ottavo secolo, relativo al tempo in cui il giovane Eligio era alla corte di Dagoberto I “Si quis Romana vel Italica aut Gothica vel qualecumque provincia legationis foedere aut quacumque ex causa palatium regis Francorum adire perarent, non prius regi occurrerent quam Eligium adgrederentur”.
  • Muhlberger, The fifth-century Chroniclers: Prosper, Hydatius and the Gallic Chronicler of 452 (Leeds, 1992), p. 211. Il dott. A. Gillett della Macquarie University di Sidney sta lavorando all’opera di Idazio; gli sono grato per avermi inviato il materiale del suo studio sulla diplomazia del V e VI secolo.
  • LH, III, 4, 7, 8.
  • Per gli scopi morali di Gregorio, vedi, per esempio, W. Goffart, The Narrators of barbarian history (A.D. 550-800): Jordanes, Gregory of Tours, Bede and Paul the Deacon (Princeton, 1988), cap. 3 esp. pp. 152-74.
  • Fredegario, Chronicle, IV, 78.
  • Goffart, Narrations, pp. 329-32, 399-407; K. H. Kruger, Zur “beneventanischen” Konzeption der Langobardengeshichte des Paulus Diaconus, Fruhmittelalterliche Studien 15 (1981), pp. 18-25. Sulla connessione di Paolo con la corte di Benevento, vedi pure H. Belting, Studien zum beneventanischen Hof im 8. Jahrhundert, Dumbarton Oaks Papers 16 (1962), esp. pp. 168-9, ma Goffart (vedi sopra), p. 336 n. 28 e p. 339, chiede cautela in relazione ad alcuni dei suoi argomenti.
  • Gardiner, Paulus the Deacon and Secundus of Trento, in B. Croke e A. M. Emmett (a cura di), History and historians in late antiquity (Sidney, 1983), pp. 147-154; T. S. Brown, Gentlemen and officers: imperial administration and aristocratic power in Byzantine Italy, A. D. 550-800 (Londra, 1984), p. 223.
  • A. Bullough, Ethnic History and the Carolingians: an alternative reading of Paul the Deacon’s Historia Langobardorum, in C. Holdsworth e T. P. Wiseman (a cura di), The Inheritance of historiography, 350-900 (Exeter, 1986), pp.88-90.
  • Goffart, Narrations, pp. 399-407.
  • Per un’esplorazione di questo e delle questioni che solleva sulla comprensione della regalità longobarda, vedi P. S. Barnwell, Kings, Courtiers and Imperium: the barbarian west, 565-725 (Londra, 1997), Parte III.
  • Paolo Diacono, Historia Langobardorum (HL), V, 2.
  • HL, V, 18-21.
  • Dopo il 700 c’è un esile cambiamento nell’enfasi, con la registrazione di alcune relazioni con il Papato (HL, VI, 27, 28); questo aumenta dopo l’ascesa di Luitprando. Una simile deviazione cronologica dell’ottavo secolo è evidente nel Liber Pontificalis.
  • Vedi, per esempio, P. Classen, Italien zwischen Byzanz und dem Franchenreich, in Nascita dell’Europa ed Europa carolingia: un’equazione da verificare. Settimane di studio del centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, 27 (Spoleto, 1981), pp. 954-5.
  • I soli riferimenti sono a un attacco longobardo a Roma (III, 4, 8) e a un’ambasceria franca (VI, 3, 6-8; in M. Whitby e M. Withby, The History of Theophylact Simocatta: an English translation with introduction and notes (Oxford, 1986)); vedi pure l’Introduzione, pp. xix-xx.
  • Per questa interpretazione di Teofilatto, vedi J. D. C. Frendo, History and panegyric in the age of Heraclius: the literary background to the composition of the Histories of Theophylact Simocatta, Dumbarton Oaks Papers 42 (1988), pp. 143-56.
  • J. Alexander, The Patriarch Nicephorus of Constantinople: ecclesiastical policy and image worship in the Byzantine Empire (Oxford, 1958), pp. 158-62.
  • , HE, II, 9, 12; III, 1, 24.
  • HE, II, 9; cfr. III, 15.
  • HE, II, 15; III, 7, 21, 22; IV, 13.
  • HE, III, 22.
  • HE, III, 3, 5. Richiesta di Oswald di un vescovo per gli Scozzesi, che risultò nella spedizione di Aidan.
  • HE, III, 28, cfr. Stefano, Vita sancti Wilfridi episcopi, 12 – Alcfrido inviò Wilfrido a Clotario III per l’ordinazione; vedi anche HE, III, 29.
  • HE, I, 32; II, 4, 8, 10, 11, 17; III, 29; IV, 19.
  • Quasi i soli documenti di questo tipo, che sono relativi al presente discorso, che sono sopravvissuti successivamente agli anni d’inizio secolo sono le Epistolae Wisigothicae, 9, del 616/620, in cui Sisebut spinge il longobardo Adaloaldo a diventare cattolico; e le Epistolae Langobardae, 8, di papa Onorio I al dux Arachis I di Benevento. Le lettere papali sono anche molto più scarse per il VII secolo rispetto al VI (o all’ottavo).
  • HE, IV, 12; V, 7, 8, 24; HL, VI, 15; cfr. i viaggi di Coenred e Offa il Sassone orientale (entrambi nel 709) e di Ine (nel 726): sono parte di un più ampio quadro del viaggio dall’Inghilterra a Roma nella prima metà dell’ottavo secolo – vedi W. Levison, England and the Continent in the eighth century (Oxford, 1946), pp. 36-44.
  • Wood, The Merovingian Kingdoms, p. 179, giunge a una simile conclusione, citando i casi di Saethryth e AEthelburh dell’Anglia Orientale, entrambe divennero badesse di Faremoutiers – vedi HE, III, 8; per altri esempi, vedi idem, The Franks and Sutton Hoo, in I.N. Wood e N. Lund (a cura di), People and placet in Northern Europe, 500 – 1600: essays in honour of Peter Hayes Sawyer (Woodbridge, 1991), pp. 6-7.
  • HL, V, 1-5, 32; per l’ipotesi che l’attacco franco fu coordinato con i Bizantini, vedi G. Bagnetti, Santa Maria foris portas di Castelseprio e la storia religiosa dei Longobardi, in idem, L’età longobarda (4 voll., Milano, 1966-8), vol. 2, p.337.
  • Il racconto di Paolo Diacono del trattato franco (HL, V, 32) è confuso, infatti inizia dicendo che l’alleanza era con Dagoberto II, anche se Grimoaldo era morto nel 671, prima della restaurazione di Dagoberto (676-9) – vedi Ewig, Die Merowinger, p. 55 (che erroneamente si riferisce al libro VI della HL), e Wood, The Merovingian Kingdoms, p. 169; cfr. J. Jarnut, Geschichte der Langobarden (Stuttgart, 1982), p. 59.
  • HE, III, 29; IV, 1; cfr. Beda, Vita Cleofrithi, 3, pubblicata come Historia Abbatum, Plummer, Venerabilis Bedae Opera Historica.
  • Levison, England and the Continent, p. 13, nota che fino al 750 circa chiunque andasse via terra a Roma e in Inghilterra (e, quindi, nel territorio franco) attraversava il territorio bizantino.
  • Una simile serie di contatti diplomatici con il Continente è suggerita dagli eventi intorno al viaggio di Wilfrido a Roma, durante il quale incontri diplomatici furono usati sia per impedire che per accelerare i suoi viaggi – vedi Stefano, Vita Wilfridi, passim.
  • In relazione ai regni franco, inglese e longobardo, vedi Lex Ribuaria, 68, ed. F. Beyerle, MGH Legum sectio I 3.2 (Hannover, 1954); Lex Baivuariorum, IV, 30, 31, ed. E. von Schiwind, MGH Legum sectio I vol. 5.2 (Hannover, 1926); Leggi di Hloth ed Eadric, 15, ed. f. Liebermann. Nell’ottavo secolo, nel tempo in cui i Longobardi e il Papato erano in conflitto, re Ratchis istituì una specie di passaporto – Leges Ratchis, 13, ed. F. Bluhme, MGH Leges in folio IV (Hannover, 1868); una successiva legge longobarda, Edictum Rothari, 358, ed. F. Bluhme, discute il rifornimento di provviste per i viaggiatori, un discorso trattato anche in Marculf, Formulae, I, ii [ed. K. Zeumer, MGH Legum sectio V (Hannover, 1886)] – vedi F. Ganshof, La Tractoria: contribution à l’étude des origines du droit de gite, Tijdschrift voor Rechtsgescheidenis, 8 (1928), pp. 82-6.
  • Per le ipotesi relative agli inizi del VII secolo concernenti la possibile origine di oggetti bizantini d’alta classe trovati in Inghilterra come doni diplomatici, vedi J. Campbell, The Impact of the Sutton Hoo discovery on the study of Anglo-Saxon history, in C. B. Kendall e P. S. Wells (a cura di), Voyage to the other world: the legaci of Sutton Hoo (Minneapolis, 1992), pp. 91-3; per una generazione precedente, R. S. Lopez, Le Problème des relations anglo-byzantines du septième au dixième siècle, Byzantion, 18 (1946-8), pp. 139-62, è anche notevole che alcune delle sue conclusioni siano state rafforzate da più recenti scoperte archeologiche.
  • Levison, England and the Continent, pp. 13-14; E. Caspar, Geschichte des Papsttums (2 voll., Tubingen, 1933), vol. 2, p. 583, n. 6.
  • Vedi Campbell, Sutten Hoo, p. 93.
  • Menandro il Protettore, Historia, fr. 9.1, ed. C. Blockley (Liverpool, 1985); vedi J. Bury, History of the Later Roman Empire: from the death of Theodosius I to the death of Justinian (2 voll. Repr., New York, 1958), p. 92.
  • Chrysos, Byzantine diplomacy, p. 32.
  • Ullmann, Principles of government and politics in the middle ages (2^ rist., Londra, 1966), pp. 133-309.
  • Io, comunque, non seguo l’ipotesi di D. A. Miller, Byzantine treaties and treaty-making: 500-1025 AD, Byzantinoslavica 32 (1971), p. 58, secondo cui la pace non può sussistere senza trattati formali e, più sorprendentemente, che l’esistenza di un trattato può essere desunto dall’assenza di ostilità registrate.
  • Marculf, Formulae, I, 9, 10.
  • La più tarda Vita sancti Baboleni abbatis, p. 569E, ed. M. Bouquet, Recueil des historiens des Gaules et de la France 3 (Parigi, 1869) registra un’ambasceria di Clodoveo II in Spagna, ma non è chiaro su cosa il resoconto si basasse; la Cronaca di Alfonso III del X secolo, Roda version 4, ed. J. Prelog, Die Chronik Alfons’ III. Untersuchung und kritische Edition der vier Redaktionen (Francoforte sul Meno, 1980) suggerisce che Egica condusse campagne militari contro i Franchi. Per questa discussione e, inoltre, il contatto visigoto con altri regni, vedi Collins, Arab Conquest, pp. 11-19; idem, Early Medieval Spain: unity and diversità, 400-1000 (2^ ed., Londra, 1995), p. 110; L. A. Garcia Moreno, Historia de Espana visigoda (Madrid, 1989), pp. 181, 186; J. Orlandis, Communications et échanges entre l’Espagne wisigothique et la France mérovingiènne, Annales de la faculté de droit et des sciences économiques de Toulouse 18 (1970), pp. 253-62; M. Rouche, Les Relations transpyrénénnes du V au VIII siècle, Les Communications dans la pénisule ibérique au moyen age. Actes du Colloque de Pau, 28-29 mars 1980 (Parigi, 1981), pp. 13-20.
  • Cassiodoro, Variarum libri XII, VII, 5, ed. T. Mommsen, MGH Auctores Antiquissimi XII (Berlino, 1894).
  • Teofane, Cronografia, 28, ed. de Boor (2 voll., Lipsia, 1883).
  • Annales Mettenses Priores, a., 692, ed. B. von Simson, MGH SRG in us. schol. (Hannover e Lipsia, 1905).
  • Eginardo, Vita Karoli Magni, i, ed. Holder-Egger, MGH SRG in us. schol. (6^ rist., Hannover, 1911).
  • Questo più grande soggetto è trattato in dettaglio in Barnwell, Kings. Una precedente versione di questo testo fu data nel 1996 al Leeds International Medieval Congress, i cui partecipanti sollevarono un numero di preziosi punti. Sono particolarmente grato per i suggerimenti di Tom Brown seguenti la sua lettura di un testo abbozzato, e per quelli di Rosamond McKitterick e dei referenti dell’Early Medieval Europe, sebbene nessuno voglia necessariamente essere associato alle mie conclusioni.

 

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Di Nicola

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