Quando Bisanzio comandava sui mari del Mediterraneo

Costantino VII, l’imperatore erudito, sanciva nel De thematibus, la rinnovata forza della flotta imperiale «L’imperatore di Costantinopoli è il padrone di tutti i mari fino alle colonne d’Ercole».

Il periodo del Porfirogenito fu in effetti quello che l’Ostrogorsky chiamò “l’età dell’oro”, dove l’impero ritornò ad essere un potenza mediterranea, tanto erano vasti i suoi confini, tanto era forte il suo esercito e la sua flotta. La conquista di Creta da parte di Niceforo II Foca avvenuta nel 961 e la successiva vittoria di Romano Lecapeno contro Leone di Tripoli, sancirono una forte rinascita dei commerci e una definitiva affermazione della marina imperiale all’interno del Mar Mediterraneo. Legata a questo successo, vi fu la robusta espansione territoriale che di fatto permise a Bisanzio di estendere i propri confini dall’Italia alla Grande Armenia. Il mantenimento della θαλασσοκρατία (talassocrazia), impose alle casse imperiali il possesso di una flotta di alto mare, composta principalmente da dromoni, le veloci e potenti navi da guerra, che garantirono così un pronto intervento contro i nemici in qualsiasi momento. Questo permetteva una forte espansione commerciale su due linee, quella orientale (attraverso la navigazione di Mar Egeo, il Bosforo, il Mar Nero), e quella occidentale (ossia lungo tutto il mediterraneo). 

La situazione rimase inalterata almeno fino alla morte di Basilio II quando il quadro politico cambiò: la Basileia venne governata dalla aristocrazia burocratica, la quale con un processo lento ma costante, smantellò l’efficiente arma bellica per paura di insurrezioni e di colpi di stato. E’ così che proprio dal X secolo la marineria bizantina vide l’alba del proprio declino che sarà definitivo alla morte di Manuele Comneno. Addirittura durante il governo di Giovanni II Comneno la flotta permanente venne smantellata, lasciando spazio ad una flotta che poteva essere ricostruita solamente nei momenti del bisogno. Questa tesi è confermata dal passo di Niceta Coniata, che parlando di Giovanni di Poutze protonotario del dromos, scrive :

Il suo consiglio partiva dal presupposto che il servizio delle trireme non era necessario in continuazione allo stato, mentre le spese per esso erano ingenti e continue; riteneva, pertanto, che queste spese si dovessero mettere in conto all’erario, e quando si fosse presentata una necessità, si desse il soldo alla flotta attingendolo al tesoro imperiale; […] E ora, a causa di questo disegno sconsiderato, ovvero di questa taccagneria, i pirati hanno il dominio del mare e le regioni costiere dei Romani sono devastate dalle navi corsare, come i nemici si sarebbero augurato.

Come possiamo vedere la debolezza della flotta ormai era un dato di fatto durante il regno di Manuele, tanto che Ruggero re di Sicilia si spinse fino alle coste greche depredando le ricche città di Corinto e Tebe, sedi dell’industria serica bizantina, senza che alcuna risposta marinaresca imperiale glielo impedisse. L’azione si rivelò davvero ben architettata visto che sfruttò la mancanza operativa dell’esercito imperiale impegnato nella quasi sua interezza a scortare le truppe crociate fino in Terra Santa. Il sacco delle due ricche città non fu l’unico atto che dimostrava la cronica debolezza della struttura marinara bizantina, già prima, i Normanni ebbero facilità ad espugnare la fortezza di Corfù per poi spingersi addirittura all’interno del corno d’oro, lanciando frecce all’interno del palazzo delle Blacherne

La politica di Alessio fu quella di delegare la difesa delle coste imperiali alle repubbliche marinare, specialmente a Venezia, che, grazie al crisobullo firmato nel 1082, era obbligata ad intervenire ogni qual volta l’imperatore lo avesse richiesto. Così avvenne per la battaglia di Durazzo, dove la flotta della Serenissima ottenne un buon risultato e così accadde anche quando Manuele chiese aiuto per la riconquista di Corfù. L’alleanza con Venezia permetteva di utilizzare i già pochi fondi a favore dell’esercito che godeva di maggiore importanza nell’ottica imperiale. Un esempio di questo trattato ci rivela che nel 1187 l’accordo con Venezia prevedeva che la città lagunare costruisse tra le 40 alle 100 galere, a spese dell’erario imperiale.

L’azione di smantellamento però non impedì alla marineria bizantina di ottenere discreti risultati un chiaro esempio lo troviamo nell’Alessiade, quando Roberto tentò invano di aprirsi una strada nel blocco navale imposto dalle navi veneto-bizantine guidate da Maurizio, o quando le navi imperiali misero sotto assedio l’isola di Corfù. Qualcosa cambiò durante il regno di Manuele quando si ebbe la forza e la volontà politica di mettere in campo una incredibile flotta composta da 12 grandi navi 150 galee e 60 trasportatori, con un unico grande obiettivo: quello di conquistare l’Egitto assieme ai regni crociati.  Ci racconta Niceta Coniata :

Allora allestì contro Damietta una grande flotta che contava più di duecento navi lunghe, tra le quali se ne annoveravano dieci provenienti da Epidammo e sei navi celeri armate dagli Eubei; nominò comandante il megas doux Andronico Contostefano. Assegnate sessanta di queste navi a Teodoro Maurozomes.

Cos’era il dromone?

La flotta durante il periodo Comneno, era composta principalmente da dromoni. Questa particolare tipologia di imbarcazione faceva della velocità la sua arma di forza (in greco lo stesso termine significa “colui che corre”). Il dromone apparve per la prima volta nelle cronache di Procopio di Cesarea durante la guerra gotica dove ne viene enfatizzata l’importanza per le successive conquiste dei regni vandalico e goto. Appare all’inizio costituito da una sola fila di rematori, e successivamente diventano due: una sopra l’altra. La sua struttura era composta da due o tre alberi,  le vele erano a forma triangolare di circa 40 per 5 metri, e la capienza andava da 100 uomini, per le imbarcazioni più piccole, fino a 230 per le più grandi. Il suo armamento era composto da un ariete situato a prora, e un sifone posto sul castello di poppa, che poteva scagliare la micidiale miscela incendiaria: il fuoco greco. Al centro vi era posto lo xylokastron, ossia una sorta di torre di legno, dalla quale arcieri e catapulte potevano colpire il nemico, esso era ricoperto da pelli imbevute di acqua in modo da resistere ad eventuali incendi. Il dromone da guerra poteva portare truppe, salmerie, o macchinari da assedio. Durante il periodo Comneno, e successivamente alla riorganizzazione della struttura amministrativa e militare attuata da Alessio, la marineria bizantina era guidata da un Megas Doux, ossia il comandante della flotta. La grossa differenza e forse l’innovazione più importante fu quella di porre tutti i comandanti delle armate navali tematiche sotto la guida del Megas Dux. Lo stesso Droungarios tou Ploimou, un tempo una sorta di “Ammiraglio” ne divenne il vice. Pare che il primo Magas Dux sia stato il cognato di Alessio, Giovanni Ducas, e la carica divenne così importante che sopravvisse fino alla fine dell’impero avvenuta nel 1453.

Il Magas Dux si posizionò, secondo la scala gerarchica, nel mezzo tra il Protovestiarios e il Protostrator, divenendo ben presto una figura di alto spessore.

Per quanto riguarda il Droungarios, ecco il link all’Oxford Dictionary

Se interessano cariche e titoli dell’Impero bizantino, ecco il link a questo sito

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Di Nicola

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