Gli usi del greco non furono soltanto linguistici, ma anche più latamente culturali, con una circolazione di libri e di testi non direttamente conservatisi, ma che dal VII secolo in poi dev’essere ammessa su altri fondamenti. Sono documentati le pratiche di insegnamento, il livello di istruzione non comune dei ben cinque papi di formazione greco-siciliana, la rappresentazione del santo come istruito o, ancora nel IX secolo, certe figure colte come quelle di Metodio di Siracusa e Teodosio Grammatikòs o, infine, la produzione letteraria. Questa, pur se talora non priva di ombre e incertezze, viene comunque ammessa e si esprime con opere agiografiche, commentari biblici, scritti innografici e carmi anacreontici. Esclusivamente greca è la letteratura ecclesiastica, ma anche quella profana, della Sicilia preislamica, mentre non si trova produzione in lingua latina.

I rapporti tra la cultura bizantina in Sicilia e quella fiorita contemporaneamente nelle altre parti dell’Impero, specialmente nella sua capitale, non sono paragonabili a quelli che si possono riscontrare tra la cultura siciliana e quella greca nell’età classica ed ellenistica. Allora la Sicilia poté contrapporre ai grandi autori del resto della Grecia nomi come quelli di Stesicoro, Empedocle, Teocrito, Timeo, Gorgia, Epicarmo e Archimede. Ma bisogna anche notare che in età bizantina, se la cultura siciliana non è tale da competere con quella delle regioni orientali, nemmeno queste possono vantare molti nomi di primo piano da opporre vittoriosamente a quelli di Gregorio d’Agrigento, Giuseppe L’Innografo, Costantino Siculo e Pietro Siculo. Anzi per molti la produzione letteraria è di una qualità eguale a quella della media delle opere della capitale dell’Impero. Il X e l’XI secolo vi sono rappresentati unicamente con vite di santi di fattura ancora accurata e con alcune opere innografiche. Infatti, i primi tentativi di un’agiografia latina, si possono datare solo al periodo normanno.

Volendo indicare un punto di partenza ufficiale della storia della civiltà siciliano-bizantina, bisognerebbe considerare la separazione della Chiesa di Sicilia dalla dipendenza da Roma e la sua annessione al Patriarcato di Costantinopoli. Ma questo avvenimento, più che una premessa, fu una conseguenza perché già esistevano nell’Isola, come abbiamo visto, le condizioni che ne facevano una regione greca, tanto più nelle manifestazioni di civiltà. Tra gli effetti dell’assorbimento della Sicilia nell’ambito di Bisanzio sono da evidenziare, oltre alla definitiva affermazione della lingua greca sulla latina, l’introduzione della liturgia orientale e soprattutto l’organizzazione del sapere, cioè la scuola. L’insegnamento, infatti, seguì metodi bizantini, così come l’attività letteraria che si svolse quasi esclusivamente nei monasteri. Alla fine dell’XI e durante il XII secolo, la produzione innografica aumentò: le poesie celebravano i santi locali o occidentali, per il resto, gli autori attingevano all’arsenale abituale della produzione bizantina, cioè Giovanni Damasceno, Cosma, Andrea di Creta e Germano di Gerusalemme. I testi agiografici si moltiplicarono ugualmente e non s’interessarono che ai santi locali, come Bartolomeo, Elia lo Speleota, Elia il Giovane, Fantino. Poco prima della metà del XII secolo, la produzione letteraria cambiò del tutto di carattere. Sotto la protezione e con il mecenatismo dei principi normanni, Guglielmo I e Guglielmo II, fra il 1154 e il 1189, si manifestò nella produzione siciliana, calabrese e pugliese un ritorno alla tradizione classica e laica: Aristippo, arcivescovo di Catania, Eugenio di Palermo e altri ancora copiarono, glossarono e tradussero in latino Tolomeo, Euclide, Ermogene e Platone; Teofane Cerameus e Leone di Centuripe proseguirono la tradizione omiletica mentre la produzione agiografica cessò. Prevaleva, quindi, in quel periodo la cultura aristocratica e accademica. Filosofi come Platone e Aristotele erano studiati e citati, per esempio, nel commento di Gregorio d’Agrigento all’Ecclesiaste; citazioni tanto più notevoli poiché non sembra che Aristotele fosse conosciuto in Occidente durante la medesima epoca.

Grazie alla rinascita dell’Ellenismo registrata in quegli anni e all’orientamento scientifico che la vita di corte mantenne vivo sino all’età di Guglielmo II, la cultura bizantina riuscì a trovare consistenti canali d’irradiazione verso l’Occidente, contribuendo ad affidare parte del patrimonio classico all’Umanesimo. Peraltro, sebbene la presenza greca nella trama regia fosse limitata a specifici ambiti burocratici, prevalentemente ai vertici dell’ammiragliato e del notariato, molte carte vescovili attestano al livello sociale mediano, composto da milites, funzionari locali e piccoli proprietari, la presenza di numerosi Greci accanto ai Normanni insediati stabilmente. In molte carte ecclesiastiche dell’Isola, infatti, la consistente presenza dell’etnia greca attesta un ruolo sicuramente pregnante sotto il profilo numerico e qualitativo di questa minoranza nella gestione dei vescovadi, al cui servizio troviamo notai e ufficiali greci, proprietari terrieri qualificati come stratigoti e vicecomites anche nei centri di forte impronta culturale islamica del Val di Mazara. Non è un caso, pertanto, che proprio al Val di Demenna si colleghino due personalità di intellettuali locali di etnia greca, quali l’oscuro grammatico Leone di Centuripe e l’eloquente omileta Filagato da Cerami, che tra l’XI e il XII secolo espressero una produzione originale, destinata a suscitare vasta eco oltre confine. La localizzazione in Sicilia dell’attività di Leone e la qualifica di γραμματικός, assimilabile a quella di professore di scuola secondaria, consentono di documentare una categoria culturale la cui presenza era stata, finora, solo ipotizzata. La statura intellettuale di Filippo Filagato di Cerami, φιλόσοφος, esegeta e oratore di grande fama, emerse non solo rispetto al limitato e appartato ambiente provinciale, ma anche nei confronti della metropoli, dove sarà recepito un ramo peculiare della tradizione omiletica.

Ci furono anche scuole per laici, come quella frequentata da San Metodio di Siracusa, prima di pronunciare i voti a Costantinopoli. Anche nei monasteri si studiavano comunque materie profane: la retorica, la logica, la dialettica e le scienze enciclopediche, quali l’astronomia, l’aritmetica e la geometria. A una certa epoca fiorì anche una scuola di melodi che ebbe grandissima autorità, così da contrapporsi ad analoghe scuole esistenti in Siria. La cultura doveva essere di livello abbastanza alto, anche se non molto diffusa. Il fatto stesso che parecchi giovani trovassero nella capitale un’accoglienza ospitale, l’occasione di avere successo nella carriera politico-ecclesiastica e fossero scelti per missioni diplomatiche è indizio del prestigio di cui godevano le scuole siciliane e chi ne usciva. È notevole il fatto che monaci siciliani fossero maestri di personalità, come Giovanni Damasceno, destinate ad affermarsi luminosamente nei campi della teologia, della poesia e della scienza. Importanti centri di cultura in Sicilia furono Siracusa, Catania, Taormina, Agrigento, Palermo e Messina.

autrice: SUSANNA VALPREDA MICELLI

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