Questo articolo ha lo scopo di illustrare alcuni punti fondamentali dell’arrivo degli Arabi in Sicilia. Un tentativo di individuare alcuni elementi importanti ai quali dalla storiografia sono stati spesso ignorati o data scarsa attenzione. Per analizzare questi elementi dovremmo fare un breve excursus sulla situazione del Mediterraneo all’arrivo dei Musulmani, individuando quali fattori abbiano portato alla conquista dell’isola più grande del Mediterraneo. Un’enorme estensione territoriale raggiunta dall’Islam che, ad un secolo dalla morte del Profeta (632), aveva il controllo di gran parte dell’Asia, i Pirenei in Europa, e tutta la fascia costiera dell’Africa Mediterranea. Il potere islamico era in mano alla dinastia Abbaside con sede a Baghdad. La dinastia Abbaside concesse alcune autonomie ad alcuni territori, e questo è il caso dell’Ifrìqiya (attuale Tunisia). Infatti, non ci si trovava più di fronte ad un solo Islam, ma a diversificate formazioni statali – o piuttosto regionali – che pur richiamandosi ad Allah manifestavano esigenze proprie sul piano religioso, politico ed economico. Di queste nuove realtà islamiche si affermò nel Mediterraneo, come unità politica-amministrativa i territori del Maghreb (attuali Tunisia, Algeria, Libia, Marocco), regione conosciuta con il nome di Ifrìqiya. L’Ifrìqiya era abitata da tribù berbere, che dopo l’invasione araba, si convertirono all’Islam. Queste tribù erano potenti sul piano militare, politico e religioso. Con capitale, Qayrawan (fondata nel 670), l’Ifrìqiya era lontana dunque dal potere centrale, così divenne nell’800 un emirato ereditario della dinastia degli Aghlabiti per volere del califfo abbaside di Baghdad, Harùn ar-Rashid (786-809), per evitare che la situazione divenne sempre più caotica. Infatti, fin dai suoi inizi, nel 750 e per tutto un secolo, il califfato abbàside era stato scosso da distacchi politici operatesi nei suoi settori più periferici: da Baghdad si erano distaccati gli Umàyyadi di Spagna, i Rustemidi nel Maghrib Centrale e gli Idrisiti nel Marocco.

L’emirato aghlabita nasceva dunque nell’800, anno in cui in Occidente si rigenerava un Impero ad opera di Carlo Magno e, in Oriente, l’Impero bizantino era in crisi (infatti attraversava uno dei suoi momenti più difficili sul piano delle controversie religiose e della successione al trono). Nasceva in questo contesto appunto il nuovo stato aghlabita, con Al-Aghlab che si era reso benemerito con gli abbasidi e con suo figlio Ibrahim, primo emiro aghlabita (800-812). Gli Aghlabiti crearono non poche preoccupazioni all’Occidente e soprattutto all’Oriente. In gioco c’era la Sicilia, l’isola più grande e punto nevralgico del Mediterraneo, che a quel tempo era in mano ai bizantini. In un primo momento i rapporti tra la Sicilia Bizantina e il nuovo stato aghlabita, erano basati sul commercio e sulla convivenza pacifica nel Mediterraneo. Infatti, il primo emiro Ibrahim siglò un accordo di pace con il patrizio siciliano Costantino. Fu con il terzo emiro, Ziyadat Allah (817-838), che i rapporti peggiorarono, infatti gli aghlabiti aggredirono la Sicilia e riuscirono a portarla a far parte dell’ecumene islamica e a mantenerla per due secoli, rappresentando così l’ultima grande impresa del jihàd. Ma come si arrivò alla conquista e in che stato versava la Sicilia tra VIII e IX secolo? Le continue incursioni arabe avevano creato una tale insicurezza in ogni parte della Sicilia e nel Mezzogiorno che a partire dalla prima metà dell’VIII secolo, la popolazione preferì iniziare ad abbandonare le aree costiere che nei precedenti periodi erano state ricche e floride, specie in Sicilia, scegliendo di rifugiarsi nei centri dell’interno arroccati sui monti, cambiando radicalmente il proprio modus vivendi, assumendo un tipo di vita di pura sopravvivenza. Nell’ VIII secolo si verificarono diverse rivolte in Sicilia contro il potere di Bisanzio, tanto che i ribelli preferivano passare dalla parte dei nemici dell’Impero. Queste rivolte dimostrano che doveva esservi, non solo in Sicilia, ma costante in tutto l’Impero, uno stato di tensione e malessere che sicuramente si aggrava con la rottura tra la Chiesa cattolica e la Chiesa orientale per la guerra delle immagini, l’iconoclastia. Inoltre, l’eccessiva esosità del fisco bizantino dovette creare imbarazzanti problemi. In questo periodo, dunque, i bizantini cercavano in tutti i modi di evitare gli scontri con gli Arabi e soprattutto in Sicilia. Si mirava infatti a temporanee e fragili intese che potessero permettere a entrambe le parti una ripresa degli scambi commerciali fino ad arrivare a un compromesso. Tuttavia, questi fragili compromessi portarono alla rivolta di Eufemio e allo sbarco sull’isola degli Aghlabiti. Riferisce Michele Amari, che lo sbarco sull’isola dei musulmani fu appunto, causa del tradimento del turmarca bizantino Eufemio. La questione di Eufemio è molto discussa tra gli storici in quanto non viene trattata bene né dalle fonti arabe né da quelle occidentali ed è causa di interpretazioni contrastanti. Alcuni storici sostengono che Eufemio rappresenti un patriota disperato dal regime bizantino che preferì la causa aghlabita; altri storici vedono le ambizioni di Eufemio che lo portarono al tradimento e a concordare lo sbarco sull’isola degli aghlabiti; un campione dell’autonomia siciliana per gli uni, un traditore per gli altri. Dunque, chi è questo Eufemio e cosa ha fatto?

Le fonti storiche sono contrastanti su questo personaggio, infatti abbiamo quattro diverse versioni. La prima versione è riportata da Giovanni Diacono nella seconda metà del IX secolo. Questa versione narra che gli abitanti di Siracusa non sopportarono la situazione che si era creata a Costantinopoli: nell’820 il generale Michele detto il Balbuziente prese il potere uccidendo l’imperatore Leone V. I siracusani spinti da un tale Euphemios, si ribellarono uccidendo il patrizio Gregorion probabile stratega del thema. La cosa venne a conoscenza dell’imperatore che mandò un corpo di spedizione e costrinse Euphemios e la sua famiglia a rifugiarsi in Africa. La seconda versione è proposta dall’Anonimo Salernitano vissuto verso la fine del X secolo, narra che Euphemios, ricco siciliano, fosse ingiuriato dal prefetto dell’Isola che, corrotto per denaro, gli aveva sottratto la fidanzata Omozisa, per concederla ad un suo rivale. Euphemios, cercando la vendetta, si alleò con gli Arabi e uccise il prefetto a Catania. La terza versione prende spunto dalla seconda e si colloca nel X secolo nell’Orthografias del grammatico bizantino Theognoston. Questa versione narra la storia del turmarca (capo delle flotte armate) di Sicilia, Euphemios, che rapì una monaca e la costrinse a sposarlo. I familiari della monaca si appellarono all’Imperatore che decise di punire Euphemios mozzandogli il naso, ma Euphemios sfuggì e si rifugiò alla corte degli Aghlabiti, promettendogli in cambio la Sicilia se questi lo avessero aiutato a diventare imperatore. La quarta versione è quella musulmana ma riportata da scrittori del XII e XIII secolo. Questa versione narra di Euphemios, turmarca dell’Isola, uomo valoroso e conoscitore delle coste africane per avervi combattuto. Euphemios fu accusato di una colpa non sua e tolto il comando dall’Imperatore si ribellò, assaltò Siracusa e sconfisse il patrizio Konstantinos. Fu proclamato imperatore dai suoi e mise a capo della parte occidentale dell’Isola, un suo parente. Costui si ribellò con molti uomini ad Euphemios, che fu costretto a fuggire in Africa a trattare con gli Aghlabiti. Non possiamo sapere con certezza quali delle versioni è più veritiera, tuttavia possiamo certamente dire che Eufemio fu uno dei comprimari nell’impresa degli Aghlabiti. Diciamo che la figura di Eufemio sembra appartenere più al regno dell’immaginario che a quello della verità effettuale. Possiamo dire che la precaria situazione interna economica, sociale e morale dell’Impero abbia spinto a provocare il nesso strettissimo fra rivolte e invasioni musulmane. Crisi dovuta soprattutto alla fiscalità di Bisanzio che si estendeva anche ai patrimoni della Chiesa romana e che provocava malumori. L’emiro africano Ziyadat Allah, in un primo momento non volle rompere la tregua con Bisanzio e così convocò un’assemblea costituita da notabili. In questa assemblea molto combattuta trionfò l’intervento armato, in nome del jihad, la guerra santa che accomunava tutti gli islamici alla lotta contro gli infedeli.

La conquista della Sicilia infatti fu preparata dagli Aghlabiti proprio come una guerra santa: era il 16 giugno 827 quando i musulmani comandati dal generale Asad sbarcarono a Mazar (odierna Mazara del Vallo in provincia di Trapani), diretti verso la capitale Siracusa, grande città che in passato, per pochi anni, era stata anche la capitale dell’Impero e sede dell’Imperatore Costante II. Quel giorno iniziò un conflitto che durò un secolo e mezzo e vide contrapporsi, almeno all’inizio, dei predoni assetati di bottino ad un popolo tenace che difese con il sangue la propria terra. L’esercito, composto, dicono le cronache, da 700 cavalieri e 10.000 fanti oltre alle schiere del traditore Eufemio. L’esercito era composto in gran parte da Arabi, Berberi della tribù di Howara, Arabi spagnoli e numerosi Persiani. Tuttavia, erano presenti in un numero non precisato, molti soldati africani di religione cristiana, residui di una islamizzazione a quel tempo ancora incompleta. Infatti, la definitiva conquista dell’Africa settentrionale, avvenuta nel 705, lasciò in vita grosse comunità cristiane ed ebree i cui membri furono utilizzati spesso nell’amministrazione civile. Dopo lo sbarco passò probabilmente un po’ di tempo finché i due eserciti si incontrarono per la prima volta. Le cronache arabe ci parlano di una battaglia vinta, un mese dopo lo sbarco, contro un esercito bizantino di 150.000 uomini, comandati dall’armeno Palata. Al di là dell’esagerazione numerica dei cronisti arabi, sappiamo che ci fu un incontro tra i due eserciti prima dell’assedio di Siracusa, poiché l’armeno Palata fu costretto a fuggire prima ad Enna e poi in Calabria, dove morì. Da qui in poi, quella degli Arabi fu una vittoria annunciata. Siracusa resistette per quasi un anno all’assedio: grande fu l’eroismo dei siracusani i quali, in un primo momento, riuscirono a resistere all’assedio da soli finché arrivarono gli aiuti dal mare da parte di Bisanzio e Venezia. Nell’830 arrivarono rinforzi berberi dall’Ifriqiya che posero sotto assedio Palermo che in breve tempo fu conquistata. Palermo, divenne la nuova capitale: da squallido centro cittadino assurgerà ai fasti delle grandi metropoli dell’Islam. L’Imperatore bizantino Teofilo non poté intervenire poiché dovette difendersi dai continui attacchi del califfo abbaside al-Màmùn per terra e per mare. Dopo la conquista di Palermo seguì la conquista della piazzaforte di Enna, poi Caltabellotta, Platani e Corleone, e in questo modo la Sicilia occidentale era ormai in mano ai musulmani. Gli Arabi così volsero lo sguardo all’Italia Meridionale.

autore: FRANCESCO LIPEROTI

Bibliografia

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