La conquista di Creta

Creta era divenuta mussulmana tra l’827 e l’828 grazie ad una spedizione guidata dalle famiglie andaluse scappate da Alessandria. Michele II (820-829) tentò una prima sortita contro i nemici senza ottenere i risultati sperati. La rivolta di Tommaso lo Slavo, la lenta conquista da parte degli Aglabiti della Sicilia bizantina e le grandi spedizioni arabe in Anatolia, rendevano impossibile ogni forma di contro-risposta efficace. Costantinopoli però non voleva cedere terreno all’invasione mussulmana e tentò una nuova sortita guidata dallo Stratego dei Ciberrioti, Cratero, alla guida di ben settanta dromoni da guerra. La spedizione sembrava procedere bene e lo sbarco portò delle prime vittorie importanti contro i nemici. Nella notte, però, una controffensiva araba portò all’annientamento delle truppe bizantine; Cratero cercò di sfuggire nell’isola di Kos ma fu trovato e crocifisso dai nemici.

Una seconda spedizione fu organizzata in tempi brevi, sempre dallo stesso Michele II. L’Imperatore voleva distruggere l’enclave araba che si era stabilita a Creta, perché dava rifugio ai pirati che terrorizzavano il Mediterraneo. Per far ciò, e garantirsi una vittoria duratura, istituì un nuovo corpo militare, una sorta di truppa scelta moderna, chiamata tessarakontarioi, che fu inviata immediatamente sullo scenario di guerra sotto la guida dell’ammiraglio Niceta Orifa. La spedizione ottenne importanti risultati nell’Egeo ma non riuscì a riprendere Creta in maniera definitiva.

Una terza spedizione partì da Bisanzio. Questa volta sotto il governo di Michele III (842-867), con a capo il Logoteta del Dromo Teoctisto, che ottenne nella fase iniziale dei discreti, anche se parziali, risultati. Le diatribe politiche a Costantinopoli fecero perdere appeal alla spedizione cretese che fu messa in disparte.

Dovremmo attendere fino il governo di Basilio I (867-886) per ottenere i primi concreti risultati. Una grande spedizione fu architettata e messa al comando dell’ammiraglio Niceta Orifa. Nell’874 una immensa flotta partì da Costantinopoli alla volta di Creta con il preciso compito di conquistarla definitivamente e far cessare così le incursioni piratesche provenienti proprio dall’isola. L’ammiraglio ottenne un’importante vittoria, anche se non definitiva, che permise ai Bizantini di prendere molti prigionieri. Secondo le Cronache di Zkilitze, molti di questi furono bolliti vivi, altri uccisi con le frecce davanti ad un patibolo, altri orribilmente torturati. La sconfitta subita dai Cretesi portò ad una sorta di protettorato dell’Impero sull’isola, che però rimaneva formalmente indipendente.

Ci volle invece tutta la forza e la sagacia guerriera di Niceforo Foca per la riconquista totale che prontamente avvenne sotto il suo comando durante il governo di Romano II (959-963).

L’Imperatore nominò Niceforo Foca comandante in capo (Autokrator) per la spedizione cretese, ottenendo così ampi poteri decisionali su tutte le sue truppe. Furono così richiamate le armate dell’Asia e furono imbarcati su 307 navi da guerra ben 75 mila uomini divisi tra rematori e soldati. La volontà dell’Imperatore era chiara: riconquistare Creta utilizzando ogni mezzo. Questa missione, infatti, comprendeva circa il doppio degli effettivi della spedizione del 911 e quasi il triplo di quella del 949[1]. Niceforo aveva studiato nei minimi particolari la traversata, le truppe nemiche insediate a Creta e ovviamente la possente marina cretese.

All’interno dei veloci dromoni da guerra, aveva fatto installare diversi sifoni in grado di scagliare contro i nemici il terribile fuoco che non poteva essere spento con l’acqua. Quest’arma, i cui ingredienti erano rimasti segreti per secoli, divenne famosa in seguito come fuoco greco, o fuoco liquido come ricordato nelle fonti coeve, e permetteva di ottenere ottimi risultati in ambito marinaresco. Una vera e propria arma segreta alla pari del radar della Regia Marina inglese durante la Seconda Guerra Mondiale.

La traversata fu indolore e i Bizantini arrivarono sani e salvi a Creta dove poterono sbarcare tutti i loro effettivi su una spiaggia vicino alla città di Candia, capitale dell’isola. Scesero così dalle imbarcazioni una moltitudine di soldati, cavalli, uomini di Chiesa, medici, guastatori e una lunga serie di carri per i viveri. Inoltre furono scaricate possenti rampe, che sarebbero poi servite alla conquista della città. Il campo base fu costruito e trincerato secondo i rigidi dettami della tattica bizantina.

I Cretesi si accorsero dell’arrivo dei nemici e uscirono dalla loro roccaforte con un forte esercito composto di 40mila uomini. Niceforo, però, era pronto per una rapida risposta e divise il suo esercito in tre blocchi. La prima linea era composta di tre unità. Quella centrale era formata dai catafratti che stando un pochino più avanti formavano una punta smussata. Questa forma era chiamata “triangolo” negli scritti militari vergati dallo stesso Niceforo ed era lanciata per prima in avanti, così che il resto della prima linea li aiutasse nella protezione, a formare appunto un triangolo. La prima linea doveva essere composta da dodici linee in profondità ed ognuna di essa era composto da 504 uomini, 20 nella prima fila e 64 nella seconda fila. Le prime quattro fila portavano le mazze di ferro e caricavano il nemico. Gli arcieri erano posti nella mediana. Uomini con lance, spade e mazze erano posizionati sui lati. La seconda linea, conosciuta come linea di supporto, era composta da quattro unità di cavalli con il generale nel mezzo, e a questa veniva aggiunta una terza linea di tre unità, chiamata con il termine arabo “saka”. Dietro, vi erano le unità che controllavano i viveri.

I Cretesi rimasero molto sorpresi nel vedere un esercito così imponente e così ben organizzato ma si fecero coraggio e rimasero serrati in formazione in attesa dell’attacco bizantino.

Il comandante Niceforo ordinò che fosse suonata la carica tramite le possenti trombe presenti nelle retrovie e che lo stendardo con la grande croce li precedesse. L’assalto frontale fu lanciato e i catafratti partirono alla carica in completo silenzio e ordine; il rumore dei loro cavalli fece rimbombare il terreno e fece ghiacciare il sangue ai loro nemici. Secondo i precetti tattici di Niceforo, la carica di cavalleria aveva il compito di aprire una breccia nella formazione nemica, muovendosi in un gruppo unito, come fosse una sola persona. I soldati seguirono gli ordini in maniera impeccabile e la loro spinta aprì letteralmente in due tronconi l’esercito cretese che però rispose con una lunga e continua raffica di frecce, scoccate dalla loro veloce cavalleria. I soldati bizantini si ripararono con i loro scudi coprendosi la testa e proteggendo soprattutto il collo dei loro cavalli. Poi, una volta che la spinta nemica venne meno, Niceforo ordinò ai suoi arcieri di rispondere al fuoco. Le frecce sibilarono nell’aria e fecero strage di nemici. In seguito ordinò all’intera prima fila di marciare contro il nemico. Le spade s’incrociarono con quelle degli Arabi che combatterono valorosamente, ma la forza dell’esercito bizantino era notevolmente superiore e i loro nemici furono velocemente sopraffatti. Mentre stava cedendo la prima linea cretese, fu scagliata anche la seconda linea bizantina armata di mazza e lance, che caricò contrò quello che rimaneva dell’esercito avversario. Il generale nemico ordinò la ritirata che avvenne però maldestramente per via dei continui attacchi bizantini alle retrovie. In pochi furono in grado di rivedere la loro città, trincerata dietro le sue possenti mura.

Niceforo ritornò al campo base e ordinò al suo ammiraglio di porre un blocco navale alla città di Candia. Ogni nave cretese scoperta doveva essere distrutta con il fuoco liquido senza esitazione.

Tuttavia mancava il controllo dell’isola. I soldati di Bisanzio avevano ottenuto sì, una vittoria, ma l’emiro aveva ulteriori eserciti in altre zone di Creta, oltre a quello che rimaneva a Candia. Così Niceforo affidò un’intera coorte di uomini scelti a Pastila, lo Stratego del Thema dei Tracesi. Questo generale aveva fama di essere un duro ed il suo coraggio era conosciuto in tutta l’Asia Minore. Aveva vinto innumerevoli battaglie e quello che lo rendeva ancora più affascinante per i suoi uomini era la sua antica prigionia nelle segrete arabe, dalle quali per altro era riuscito sempre a scappare. Le sue fughe però avevano lasciato segni indelebili sul suo fisico: infatti, sia sul volto che sul petto, apparivano diverse e profonde cicatrici.

Una volta ottenuto il comando, Pastila partì con la sua armata e iniziò la perlustrazione dell’isola. Gli ordini erano chiari: dovevano solamente perlustrare e segnalare se vi fossero delle caserme o delle fortificazioni, senza farsi provocare dalle mille tentazioni che offriva la ricca isola cretese. Pur sotto il duro comando di Pastila, gli uomini duramente provati dalle guerre precedenti iniziarono ad allentare i controlli credendo la zona già pacificata. Avanguardie arabe invece li seguivano di nascosto, pronte ad attaccare quando fosse stato il momento giusto. Una notte, l’incursione araba ebbe successo e colpì duramente l’intera armata bizantina. L’unico a combattere fieramente fu Pastila che continuava a cavalcare contro le schiere nemiche uccidendone in gran quantità fino a quando il suo cavallo fu colpito nel petto da una freccia nemica. L’animale stramazzò al suolo ma il generale riuscì a saltare prima che il suo prode destriero morisse, sguainando la spada e proteggendosi con il grande scudo. Combatté come un leone ma, dopo aver perso molto sangue e dopo essere stato trafitto da numerose frecce, svenne e collassò sul campo di battaglia. Il resto della truppa, una volta visto che il loro generale era caduto, si diede ad una fuga incontrollata, rendendosi preda facile dell’esercito arabo che ne fece strage. Solamente pochi riuscirono a tornare al campo base.

Appena Niceforo seppe della catastrofe, avendo paura che la sorte gli stesse girando le spalle, decise di attaccare la città. Il generale riusciva a dare il massimo di sé quando era sotto pressione e riusciva a trovare degli escamotage validi che lo rendevano un tattico brillante. Oltre ad essere forte e vigoroso, come abbiamo già descritto in precedenza, un’aurea d’invincibilità lo circondava da sempre e lo rendeva un eroe agli occhi della sua truppa. Una storia, raccontata tra i suoi soldati al fuoco dei bivacchi, lo aveva reso celebre: si diceva che, un tempo, un campione barbaro, il più valente della loro stirpe, lo avesse sfidato a duello. Ovviamente Niceforo non si tirò indietro e lo colpì subito con la sua lancia nel petto. Non soddisfatto, egli prese la lancia con tutte e due le mani, lo penetrò profondamente trapassandolo da parte a parte, e lo scaraventò per terra. Il generale bizantino vinse lo scontro e così la battaglia.

Dopo un rapido sopralluogo, il generale capì che la città era quasi del tutto inespugnabile. Da un lato aveva il mare come difesa naturale, dagli altri lati era invece costruita sulla roccia e parti delle mura coprivano quello che la roccia non aveva protetto. Addirittura i mattoni erano costituiti di una particolare miscela: peli di capra e di maiale mescolati assieme e compressi in maniera molto accurata. Le mura erano così possenti e larghe da permettere a due carri di correre appaiati e di fare un giro intero sul camminamento senza alcun problema. I torrioni erano alti e di fronte vi erano due fossati molto profondi che circondavano l’intera città.

Niceforo capì che la città era imprendibile con le solite tattiche di assedio. Riuscì, però, a trovare un sistema per colpire Candia attraverso uno stratagemma. Iniziò a costruire vicino al mare, a Sud della città e fino alla spiaggia, una palizzata in modo che ai Cretesi fosse interdetto l’accesso al mare. Allo stesso tempo era impossibile per la gente di Candia uscire senza che il generale bizantino lo venisse a sapere. Bloccò, così, l’intera città sia da mare che dalla terra.

Una volta finiti i lavori, chiamò i suoi ufficiali e, con voce forte e chiara, li incitò a non rilassarsi e a concentrarsi solamente sulla vittoria che presto sarebbe arrivata contro gli Arabi grazie all’aiuto di Dio. Tutta la truppa lo applaudì così calorosamente al punto che prese subito coraggio, levando le spade e urlando parole d’incitazione e commozione al suo idolo, al suo generale.

Così, durante la notte, Niceforo assieme ad un gruppo di soldati scelti uscì dal campo senza farsi notare e andò in avanscoperta per la campagna. Scoprì, grazie ad un gruppo di Arabi che aveva tradito il loro popolo, che un esercito nemico composto di molti uomini si era riunito su di una collina vicino al forte bizantino. Lo scopo di questo esercito era di colpire i nemici bizantini alla sprovvista, com’era già successo con i soldati di Pastila.

Niceforo agì velocemente, come d’altronde era solito fare. Prese un intero contingente di catafratti, considerati i migliori, e durante la sera assieme a delle guide cristiane della zona si fece portare vicino all’avamposto nemico. La luna splendeva nel cielo estivo e permetteva di muoversi con una discreta luce. Arrivati nelle prossimità del nemico, ordinò l’attacco guidando lui stesso la carica della cavalleria pesante; sotto l’incessante rumore dei tamburi da guerra e delle possenti trombe, divelse il campo nemico. Niceforo sorprese le truppe arabe nel sonno. I soldati nemici erano nudi e ovviamente non preparati allo scontro, tentarono invano di scappare ma pochi vi riuscirono La gran parte di loro fu accerchiata e perì sotto i colpi bizantini. Il generale, non ancora sazio della vittoria, ordinò che ogni testa mozzata fosse messa all’interno di una borsa e portata al campo base. Per ogni testa nemica riconsegnata, Niceforo pagava una moneta d’argento. I soldati fecero a gara a chi racimolava più teste e il contingente degli Armeni fu particolarmente prolifico, poiché furono loro a portare più trofei al loro generale. Le teste nemiche ebbero una loro importanza il giorno successivo, quando Niceforo le fece impalare una a una sulla palizzata che aveva fatto costruire e quelle che erano rimaste furono catapultate all’interno delle mura tramite l’uso delle petraie. Urla e pianti si levarono dalla città quando videro lo scempio che era avvenuto ai loro cari. Il terrore iniziò a pervadere le strade di Candia e gran parte della popolazione era caduta in una triste depressione tanto che Leone Diacono descrive la città come già conquistata.

Una volta terminata la preparazione psicologica alla conquista, Niceforo ordinò che le trombe suonassero ancora più forte e che i tamburi da guerra facessero tremare le mura: il suo esercito era pronto per la conquista della città. Per prime furono scagliate le lance poi fu il turno delle frecce che sembravano fiochi di neve in inverno; infine, le grandi pietre s’infransero sulle possenti mura nemiche. I Cretesi però resistevano con tenacia e rispondevano al fuoco bizantino con frecce, asce e anche con enormi pietre.

L’attacco ad un tratto si fermò, le grida di guerra e i lamenti di morte tacquero all’improvviso. Niceforo si era accorto che le mura cittadine erano troppo potenti e impossibili da prendere. Decise quindi di non sprecare più uomini e armi. Optò invece per ridurre la città alla fame: allo stesso tempo organizzò la costruzione di macchine d’assedio più potenti e in grado di squassare le mura nemiche. Fece ritornare l’esercito al campo e, visto l’avvicinarsi dell’inverno, decise di svernare in quel luogo utilizzando i mesi freddi per forgiare ulteriormente il carattere e la disciplina dei suoi uomini. Gli allenamenti, come racconta Leone Diacono, furono durissimi.

Siamo nell’anno 941 d.C. Appena la primavera iniziò a scalfire le gelide notti invernali, Niceforo uscì dal suo accampamento in perfetto ordine con tutto il suo possente esercito. Questa volta portava con sé anche delle grandissimi torri e dei trabuchi che avrebbero permesso la definitiva conquista della città. Quando tutti i suoi uomini furono schierati, il generale bizantino fece suonare i tamburi di guerra. Il rumore, un rumore che faceva gelare il sangue, era così forte che si poteva sentire nella città assediata. Poi fu il turno delle trombe, che furono utilizzate con forza e fiato. Niceforo ordinò alla sua prima linea di mettersi in posizione oblunga, ossia la fanteria pesante si dispose affinché tutte le parti dell’esercito fossero protette dalla stessa, formando così una sorta di rettangolo.

Dalle mura di Candia ci fu solamente silenzio e attesa. Ad un tratto, però, una donna apparì su di una torre per farsi notare da tutti. Si trattava di una giovane prostituta che senza alcuna vergogna si fece vedere sulla scena della battaglia e iniziò a intonare strani riti e a lanciare maledizioni e incantesimi contro le schiere dei Bizantini. Questa donna, almeno secondo Leone Diacono, aveva imparato l’arte divinatoria degli eretici, i quali a loro volta l’avevano appresa dai Manichei e dallo stesso Maometto[2]. Non si limitò soltanto a far questo ma mostrò pure il suo corpo nudo di fronte ai 70mila Bizantini che erano lì sotto. Allora una sola freccia, che si era levata dalle schiere imperiali, sibilò nell’aria. Rapida ed efficace, trapassò la meretrice togliendole la vita. Il suo piccolo corpo cadde dalla torre e si sfracellò al suolo.

La freccia scoccata diede involontariamente il via alla battaglia e i Bizantini iniziarono l’attacco in maniera gaudente. I Cretesi resistettero, combattendo in maniera molto valorosa e uccidendo diversi nemici. Vista la situazione, Niceforo fece muovere le possenti macchine d’assedio e ordinò che i grandi macigni fossero scagliati. Allo stesso tempo inviò gli arieti sotto le mura.

Le fortificazioni cretesi iniziarono a vibrare paurosamente e gli abitanti iniziarono a temere il peggio, mentre gli arieti stavano aprendo pian piano i primi pertugi nella zona sottostante. Alcuni guastatori furono inviati sotto le difese nemiche, portando con loro gli utensili per tagliare le pietre. Appena superato il fossato, iniziarono il loro lavoro tagliando le basi delle mura ed ebbero vita facile perché le fondamenta erano abbastanza sabbiose e le mura caddero velocemente. Furono i guastatori ad ottenere il primo risultato. Avevano, infatti, scavato delle buche sotto le mura e alla loro base avevano inserito materiale secco e facilmente infiammabile. Una volta che gli diedero fuoco, l’intera struttura crollò su se stessa facendo franare due torri e diverse parti della cinta muraria.

Appena si sentì il tremendo boato del crollo, molti Cretesi, presi dallo sconforto e più stupiti che impauriti, smisero di combattere. La cosa durò lo spazio di qualche minuto visto che la paura di essere fatti schiavi dai Bizantini trasformò loro in demoni, spingendoli a combattere fino allo sfinimento. Dopo troppi scontri, troppo sangue versato e troppe vite perdute, i Cretesi iniziarono a ritirarsi nella cittadella. Ma non vi riuscirono. Le truppe nemiche entrarono in città e fecero strage di Arabi. I sopravvissuti lasciarono cadere le loro armi e chiesero umilmente la grazia. Niceforo, che era entrato assieme ai suoi cavalieri in città, ordinò ai suoi uomini di smettere di uccidere la popolazione e di fermare la mattanza.

La città fu presa con la forza e seguì il saccheggio. Il generale decise che la gran parte dei prigionieri cretesi fosse mandata a Costantinopoli per il trionfo, mentre il resto fu lasciato alla truppa. Poi furono controllate tutte le case e i palazzi della città di Candia nei quali si trovò un bottino d’inestimabile valore, frutto di più di duecento anni di saccheggi e di azioni piratesche. Una volta spogliata la città, Niceforo ordinò che fossero abbattute completamente le mura e per la protezione dell’isola costruì un forte chiamato Temeno, dove stanziò contingenti di Armeni e Bizantini. Prima di ripartire, il generale lasciò pure diverse navi in grado di utilizzare il fuoco liquido a difesa da eventuali ritorni da parte dei nemici.

Niceforo lasciò l’isola pacificata e riconquista, anche se molto era il lavoro da compiere per farla tornare allo stato precedente la conquista. Infatti, furono inviati diversi sacerdoti per riconvertire i mussulmani cretesi e fu istituto un nuovo thema con il nome di Creta. Infine fu scelto uno Stratego valevole e fu mandato a Candia per governare in nome dell’Impero.

Costantinopoli attendeva Niceforo Foca per il meritato trionfo. L’Imperatore Romano II fece sì che tutto fosse pronto e una grande festa fu organizzata all’Ippodromo, dove fu esposto il meraviglioso bottino trafugato a Candia. Come raccontano le fonti coeve, la quantità delle ricchezze era così grande da sembrare un fiume in piena.

autore: NICOLA BERGAMO


[1] W. Treadgold, A History of the Byzantine State and Society, SUP, 1997.

[2] Leone Diacono, Storia, p. 77.

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Di Nicola

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