Un personaggio dal destino curioso, Andronico II. Molto sfortunato nella sua attività di uomo di stato, e forse anche non adatto ai compiti che gli venivano affidati dagli eventi -eventi che avrebbero spezzato uomini ben più dotati di lui-, ebbe la ventura di promuovere movimenti spirituali ed artistici che ancora oggi influiscono sulla vita dei Balcani.

La giovinezza

Nell’agosto del 1258, alla corte di Nicea, un esponente di una nobile famiglia magnatizia, dopo un rapido colpo di stato, veniva affiancato al piccolo Giovanni IV Lascaris quale reggente. All’inizio dell’anno successivo Michele VIII Paleologo raggiungeva il trono, quale coimperatore: la contemporanea nascita d’un erede, in marzo, tuttavia legittimava il desiderio di fondazione d’una dinastia, tanto più che i Paleologi erano legati alle grandi casate aristocratiche che avevano dominato l’impero, e la madre del neonato Andronico, Teodora, era nipote di Giovanni III Ducas Vatatze.
Fu così che, dopo il ritorno nella Città d’Oro, il 15 agosto del 1261, Michele VIII richiese una nuova incoronazione. Ed al suo fianco, insieme alla basilissa, venne incoronato quale coimperatore Andronico. Il piccolo Giovanni Lascaris fu accecato ed imprigionato, poco dopo, non senza polemiche e dissidi.
In seguito, nell’ambito dei rinnovamenti politici dell’era paleologa, Andronico partecipò attivamente alla vita dello Stato, tanto che, in occasione del matrimonio con la figlia di re Stefano V d’Ungheria, Anna, che Michele organizzò nel 1272, al giovane coimperatore venne affidato, con un prostagma , il titolo di basileus autokrator accompagnato da poteri che mai nessun coimperatore aveva posseduto. Evidentemente si pensava in questo modo di prevenire qualsiasi crisi istituzionale, ed in effetti quando Michele VIII giunse al termine della sua vita, l’11 dicembre del 1282, Andronico II non ebbe problemi a gestire la successione.

Lo stato

Il problema per Andronico, più che il conflitto latente con gli Arseniti, i seguaci ortodossi che non avevano gradito a suo tempo il poco simpatico trattamento riservato al legittimo imperatore Lascaris, era la situazione stessa dell’Impero.
Gli sforzi di suo padre avevano militarmente ed economicamente esaurito ogni risorsa disponibile, tanto più che non esisteva la possibilità di ripotenziare tali risorse. La trasformazione della pronoia in proprietà ereditarie aveva creato un vero e proprio regime feudale, e questo fatto, allargandosi le proprietà dell’aristocrazia e della Chiesa, aveva sottratto all’Impero entrate tributarie e forze militari. A questo punto all’imperatore non restava che ridurre spese ritenute infruttuose, innalzare la pressione fiscale, pagare pesanti tributi ed affidarsi a forze mercenarie. Andronico si trovò racchiuso in un circolo vizioso dal quale non riuscì più a liberarsi, decretando la morte di Bisanzio quale grande potenza. Purtroppo, tra le prime misure decretate da Andronico al fine di ridurre i costi, vi furono la riduzione all’osso degli effettivi militari, cui si pensava di sopperire all’occasione con truppe esclusivamente mercenarie, e lo smantellamento della flotta, affidandosi agli alleati genovesi, un errore che Niceforo Gregora così commentò:”Le triremi lasciate vuote nel Corno d’Oro, disseminate qua e là, andarono in rovina, si spaccarono o si incagliarono nel fondo del mare, eccetto alcune, pochissime in verità”. Gli equipaggi, disoccupati, trovarono accoglienza o tra i Latini o tra gli Emiri turchi…

La politica estera

L’urgenza, per l’imperatore, era sventare i tentativi d’aggressione da parte delle potenze occidentali, nonostante il fallimento dei desideri di Carlo d’Angiò. In questo aveva le mani libere, anche perché la scomunica da parte di papa Martino IV ed il trattato d’Orvieto con i Veneziani l’aveva liberato da ogni finzione inerente l’unione tra le Chiese.
Seguendo le politiche matrimoniali care a Bisanzio, Andronico approfittò della prematura morte della prima moglie per sposare, nel 1284, Violante, figlia del marchese Guglielmo V del Monferrato: mossa azzeccata, perché il marchese trasferì alla figlia, ribattezzata Irene, i suoi diritti sul regno di Tessalonica. Inoltre il basileus cercò, invano, di organizzare le nozze tra il figlio Michele e Caterina di Courtenay, erede della corona dell’Impero latino. Queste mosse erano più che mai necessarie, perché l’erede di Carlo d’Angiò, Filippo di Taranto, con l’aiuto di Venezia e della Chiesa, sperava di realizzare i sogni del suo avo. L’impresa partì con il piede giusto e Filippo riuscì ad assicurarsi parte dell’Epiro, ma cadde nella palude delle lotte tra l’Epiro e la Tessaglia e nella rete delle politiche matrimoniali di Andronico, che legò a sè l’Epiro stesso. L’impresa di Filippo terminò ingloriosamente e Bisanzio s’assicurò Durazzo. Per breve tempo…
Infatti Durazzo in breve venne conquistata dalla nascente potenza serba che, approfittando della debolezza dell’Impero, aggredì le frontiere macedoni. La risposta di Andronico fu una profferta di pace accompagnata dalla mano della sorella Eudocia al re serbo Milutin, poi concretizzata, dopo lunghe e complesse trattative, nel 1299 con le nozze tra il re serbo e Simonis, che di Andronico era figlia. Al di là della pace, duratura, questo matrimonio ebbe incredibili ed incalcolabili esiti, aprendo la Serbia ai potenti influssi culturali, artistici e religiosi bizantini: tra l’altro i rapporti tra i serbi ed i monasteri athoniti furono strettissimi.
Se le manovre diplomatiche poterono risolvere tali problemi, lo smantellamento di strutture militari ebbe esiti fatali in altre situazioni. La assenza di una flotta aveva stretto ancora maggiormente il rapporto tra Costantinopoli e Genova, cui Michele aveva concesso un quartiere a Galata. Nonostante un trattato stipulato nel 1284 con l’imperatore, Venezia non era disposta a tollerare ulteriormente questo vantaggio e, nel 1294, esplosero le ostilità tra le repubbliche marinare, di fronte alle quali Andronico invocò una neutralità che non potè più rispettare quando, nel 1296, la flotta veneziana attaccò il quartiere di Galata e quindi gli stessi sobborghi di Costantinopoli, dal momento che la Città aveva offerto ospitalità ai profughi genovesi. La pace tra Genova e Venezia, a seguito della celebre battaglia di Curzola, nel 1298, lasciò Andronico da solo a dover fronteggiare i Veneziani. Ripetute dimostrazioni di forza indussero l’imperatore a cedere, ed ad accettare la stipula d’un trattato, nel 1302, in cui Venezia otteneva il rinnovo di tutte le concessioni precedenti ed il risarcimento dei danni subiti. Anche Genova, ammaestrata dalle esperienze, reagì, e Galata venne cinta da mura.
In quello stesso anno l’ eteriarca Muzalon veniva battuto presso Bapheus, in Asia Minore, dall’emiro Osman. L’evento in sé non fu tanto importante per il risultato immediato, ma dimostrava plasticamente che le misere forze imperiali non erano in grado d’opporsi in alcun modo alla definitiva perdita dell’Asia Minore, ed offriva un importante riconoscimento alle ambizioni di Osman, uno dei tanti emiri che, in seguito al disfacimento del sultanato di Iconio, premevano alle frontiere romee. Le reazioni di Andronico alle incursioni dei vari emiri Turchi, seguite ad anni di relativa pace, non si fecero attendere, ma il crollo dei sistema di difesa in Asia Minore, la sparizione degli akritai di frontiera e la conseguente impotenza militare fece sì che i tentativi si rivelassero del tutto infruttuosi: lo stesso Michele IX, il figlio che Andronico aveva associato al trono nel 1295, si fece battere più di una volta, anche con un contingente di mercenari Alani cui aveva promesso la concessione delle terre liberate. In breve tempo rimasero in mano all’Impero poche città assediate.

Privo d’una forza militare sua propria, Andronico accettò l’offerta dei servigi da parte d’una compagnia di ventura catalana, che aveva servito il re d’Aragona, e così, nel settembre del 1303, giunse a Costantinopoli Roggero de Flor, in realtà Rutger von Blum, già cavaliere templare, accompagnato da circa 6.500 mercenari catalani. Andronicò pagò loro 6 mesi anticipati e concesse a Roggero la mano della nipote Maria Asen, il titolo di mega duca ed in seguito quello di cesare. I Catalani iniziarono bene il loro compito, sconfissero i Turchi e liberarono l’assediata Filadelfia, ma dimostrarono ben presto d’esser del tutto ingestibili, devastando indiscriminatamente ed attaccando tanto i Turchi quanto le città romee, causando non poche preoccupazioni a corte. In seguito all’attacco alla ancora romea Magnesia i Catalani vennero richiamati in Europa dove, dopo un chiarimento riguardo alle spettanze pregresse ed ai compiti affidati, ad Adrianopoli, nel palazzo di Michele IX, Roggero e molti capi catalani vennero uccisi a tradimento. Scoppiò la guerra aperta: la Tracia venne devastata dai Catalani e lo stesso Michele battuto duramente a Rodosto. Quindi toccò al sacro Monte Athos ed alla Macedonia: le regioni distrutte non si ripresero più per lungo tempo.
Cercò di approfittarne in Occidente Carlo di Valois che, come marito della pretendente Caterina di Courtenay, rivendicava a sè ora Costantinopoli: cercò infatti un abboccamento con i Catalani che, fortunatamente, preferirono dirigersi prima in Tessaglia e poi in Beozia ed in Attica, in seguito all’invito del duca Gualtieri di Brienne che, ovviamente, perse il suo ducato, che rimase in mano ai catalani per lungo tempo.
L’insediamento dei Catalani in Attica fu una ottima notizia per Andronico che, tuttavia, era assillato da altri problemi. Se l’alleanza tra i predoni almogavari e Carlo di Valois era fallita, c’era da tacitare l’altro possibile alleato, Venezia. Ed a questo servì una trattato, nel 1310. Fortunatamente la scomparsa di Caterina di Courtenay privò Carlo dei suoi diritti al trono. Restava la Bulgaria che, mentre l’Impero era sconvolto dai Catalani, aveva assalito le coste del Mar Nero. Andronico piegò la testa ed accettò nel 1307 una pace capestro, nella quale si concedevano ai Bulgari le città conquistate, quali Anchialo e Mesembria. Nel conflitto, tra l’altro, aveva cercato d’inserirsi la stessa basilissa, Irene, per assicurare un trono ad un suo figlio, ma senza risultati se non il suo esilio a Tessalonica, fino alla morte, nel 1317. Un suo figlio, Teodoro, comunque in Italia perpetuerà la dinastia Paleologa nel Monferrato.

Gli ultimi anni e la guerra civile

Sembrò ad Andronico di poter finalmente avere un po’ di pace. L’impero -o ciò che ne restava- era un triste campo di rovine, ed Andronico cercò di risollevarlo. Purtroppo fu necessario aumentare ancora la pressione fiscale, creando gravi dissensi. Tra le misure prese ci fu la ristrutturazione di talune aree, in particolare della Morea, che dal 1308 ebbe governatori autonomi e dotati di ampi poteri. Lo stesso basileus soggiornò a lungo a Monemvasia, destinando alla Morea ampie risorse. Nel 1316 al nipote, Andronico, figlio di Michele IX e della principessa armena che costui aveva preso in moglie, venne concesso il titolo di coimperatore. Un paio d’anni parte della Tessaglia, a causa d’una crisi dinastica locale, ritornò all’Impero, e comunque il matrimonio tra una figlia di Michele IX ed il nuovo despota Orsini portò l’Epiro nell’orbita Romea.

Fu dunque un duro colpo ciò che accadde in seguito nella famiglia imperiale, e che causò una crisi cui, questa volta, l’anziano basileus non potè far fronte.
L’immobilismo in cui pareva precipitato l’Impero non era più accettato da parte di alcuni esponenti della potente aristocrazia terriera, che facevano capo al giovane coimperatore Andronico. L’assassinio da parte di alcuni uomini legati al giovane, nel 1320, di Manuele, l’altro figlio di Michele IX, fece precipitare la situazione. Michele, un uomo di 43 anni invecchiato tristemente prima del tempo, non privo di qualità ma afflitto dai troppi insuccessi che avevano caratterizzato la sua vita, ne morì, ed Andronico II privò il nipote di ogni diritto alla successione. Appoggiato da potenti aristocratici, tra i quali spiccava Giovanni Cantacuzeno, e con il favore dei Traci, allettati da promesse populiste quali la detassazione, il giovane Andronico mosse in forze contro il nonno, che propose la spartizione dell’Impero. Andronico III accettò la soluzione, ottenendo la Tracia.
Ovviamente questa tregua durò relativamente poco, e fu anche interrotta da momenti di forte tensione. In seguito all’insurrezione della seconda città dell’Impero, Tessalonica, e soprattutto in seguito all’avanzata Turca, che ebbe il suo momento più tragico nella caduta di Brussa, il 6 aprile del 1326, Andronico III si sollevò nuovamente contro il nonno, e questa volta con l’appoggio dei Bulgari, mentre Andronico II cercò ed ottenne l’alleanza serba. La guerra che ne seguì fu devastante ma, ottenuto l’appoggio del resto dei territori imperiali e la neutralità delle potenze straniere, il 24 maggio del 1328 Andronico III riuscì ad entrare in Costantinopoli.
Andronico II, pur abdicando alle sue funzioni, ebbe la possibilità di mantenere le insegne della dignità imperiale e di risiedere a palazzo, ma nel 1330 preferì entrare in un convento dell’Athos con il nome di Antonio. Si spegnerà il 13 febbraio del 1332.

La politica culturale

Seguendo fedelmente una costante che si nota in ogni nazione in declino politico, l’epoca di Andronico II fu caratterizzata da una splendida rinascita culturale, che ebbe sviluppo in ogni settore e che fu senza dubbio promossa dal basileus stesso, uomo profondamente colto ed interessato particolarmente a scienza e letteratura. Con sforzi finanziari non indifferenti vennero ricostruiti ed abbelliti chiese e monasteri, e decorati con mosaici ed opere d’arte che rappresentano una forte innovazione rispetto ai canoni d’arte precedente, basti ricordare le opere incredibili di San Salvatore in Chora. E il rinnovamento artistico paleologo si fece sentire ben oltre i confini romei, soprattutto in Serbia. Operarono inoltre personaggi illustri, tra i quali bisogna ricordare Teodoro Metochite, prima ministro delle finanze e poi Gran logoteta, autore di opere retoriche e d’astronomia, di una importante collazione di opere filosofiche e di commentari d’Aristotele, caduto in disgrazia dopo la deposizione di Andronico II e confinato nel suo monastero di Chora, che fece decorare con le magnifiche opere che abbiamo ricordato sopra; Niceforo Gregora, autore di opere filosofiche, di discorsi, poemi, lettere e soprattutto della sua Storia Romana, e conosciuto per le sue polemiche sulla controversia esicastica sotto Giovanni VI, che ne ordinò il ritiro in monastero; Giorgio Pachimere, noto insegnante a Costantinopoli, scrittore e storico. Non va dimenticato, ancora, che Andronico II si fece promotore di quella riforma giudiziaria che suo nipote porterà a termine.

La spiritualità

Non fu certo solo per motivi politici che Andronico abbandonò l’unione, del resto mai veramente raggiunta. Infatti era un uomo profondamente religioso, soggetto probabilmente a crisi mistiche, e per tutta la vita fu un tenace assertore dell’ortodossia, molto vicino agli ambienti monastici: per gran parte del suo regno monaci sedettero sul soglio patriarcale. E con lui la Chiesa ortodossa celebrò i suoi fasti, raggiungendo dimensioni ben più ampie rispetto al passato, e ritrovando grande indipendenza e le sue radici più orientali. Tra l’altro l’imperatore stesso fu maestro di Gregorio Palamas, in seguito igumeno del monastero athonita di Esfigmenou e poi promotore del palamismo. Andronico dispiegò mezzi incredibili per il restauro e la fondazione di edifici religiosi, e soprattutto i monasteri del Monte Athos ricevettero le sue attenzioni, tramite restauri, resi necessari dall’incuria latina, dalle razzie dei pirati e dalle scorrerie dei Catalani, e tramite donazioni di denaro e terre. Il monastero di Koutloumousiou venne rifondato, quelli di Chilandariou e di Vatopaidiiou ricevettero concessioni, e Philotheou ebbe in dono l’incorrotta mano destra di San Giovanni Crisostomo! Ma fu soprattutto la crisobolla del 1312 il maggior dono fatto da Andronico II ai monasteri dell’Athos, perché con tale documento il protos del Santo Monte veniva slegato dalla dipendenza dell’imperatore, e passava sotto l’autorità del patriarca costantinopolitano. Un atto di enorme importanza, che avrà sviluppi non indifferenti nel futuro, e non solo dell’Impero

autore: SERGIO BERRUTI

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Di Nicola

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