angelo nero

Lo scrittore finlandese ha scritto numerosi romanzi storici (La Società angloamericana per la promozione e la tutela del romanzo storico, cioè la Historical Novel Society, afferma che « per essere ritenuto storico, un romanzo deve essere stato scritto almeno cinquanta anni dopo gli eventi descritti, o deve essere stato scritto da un autore che all’epoca di tali eventi non era ancora nato e quindi ha dovuto documentarsi su di essi»), fra i quali bisogna ricordare «L’Angelo nero» pubblicato nel 1952 e tradotto in italiano nel 1954.

Mika Waltari fu un autore molto prolifico, pubblicando numerose opere. È riuscito a mantenere la propria famiglia, facendo lo scrittore. Quando la famiglia abbisognava di denaro, Waltari scriveva con velocità e maestria. Si è cimentato con romanzi gialli, poemi, storie di corte, saggi, favole, libri didattici, drammi, sceneggiature per film e testi per fumetti. I temi affrontati, che sono risultati centrali nel lavoro del Waltari, sono i valori oramai decaduti in un mondo materialista e le questioni religiose. La sua tesi di laurea si occupò della stretta  relazione fra la religione e l’amore. Appena terminati gli studi universitari, decise di concedersi un lungo viaggio in treno attraverso l’Europa e conobbe città come Berlino, Vienna, Budapest, Belgrado ed Istanbul. Questo  viaggio venne descritto dettagliatamente nel libro «Il treno dell’ uomo solitario».  

Lo scrittore finlandese ebbe un grande interesse per l’epoca antica e medievale e dopo la seconda guerra mondiale, all’incirca per venti anni e attraverso i suoi romanzi storici di una certa lunghezza, permise ai finlandesi di saperne di più di storia e cultura mediterranea. L’antico Egitto lo affascinò sin da quando era stato un ragazzino, avendolo folgorato un libro dal titolo «L’eredità del Faraone». Ben prima della pubblicazione di «Sinuhe l’Egiziano» compose una novella «La Mummia», che narrava di un egittologo che partecipava alla scoperta di una mummia presente in una piramide. Successivamente scrisse l’opera teatrale «Akhenaton», la quale venne rappresentata dal Teatro Nazionale di Helsinki nel 1938. Oggi risulta quasi del tutto sconosciuta, se non a qualche fan di Waltari.

Il romanzo storico «L’angelo nero» è ambientato nella Costantinopoli del 1453, assediata e conquistata dai Turchi Ottomani. Oramai il glorioso impero bizantino si era ridotto alla sola città di Costantinopoli ed a una piccola porzione del Peloponneso. La capitale dipendeva dal mare per i suoi rifornimenti. Lo storico Braudel parlò di «una città isolata, un cuore, rimasto miracolosamente vivo, di un corpo enorme da lungo tempo cadavere». Nel XV secolo della sua prosperità economica non vi era rimasto più nulla e molti antichi edifici erano purtroppo diroccati. Inoltre la moneta dell’impero aveva pochissimo valore. Il sultano ottomano Mehmet II preparò l’assedio in maniera scrupolosa. Innalzò la fortezza di Rumeli-Hissan, la quale permise che i suoi formidabili cannoni rendessero molto difficile i rifornimenti all’antica Bisanzio e non assicurassero una tranquilla navigazione. L’imperatore bizantino si rivolse alle potenze cattoliche per difendere la città dall’invasore, ma ottenne risultati a dir poco deludenti. Il Pontefice pretese, in cambio degli aiuti, la riunificazione della Chiesa d’Oriente con quella d’Occidente (che fu dichiarata il 12 dicembre 1452, ma fu sempre rifiutata dalla popolazione bizantina). La Repubblica di Genova e quella di Venezia decisero di tenere un comportamento ambiguo, permettendo ai propri mercanti di essere neutrali (commerciando sia con i Turchi che con i Bizantini) o  di carpire accordi commerciali molto vantaggiosi con la capitale Costantinopoli. Mehmet II inviò un messaggio a Costantino XI affermando che, se si fosse arreso, avrebbe risparmiato la vita degli abitanti dell’antica Bisanzio e sarebbe diventato governatore, al contrario la guerra avrebbe portato lutti e distruzioni. L’imperatore volle redigere questo famoso messaggio come risposta al sultano: «Darti la città, non è decisione mia né di alcuno dei suoi abitanti; abbiamo infatti deciso di nostra spontanea volontà di combattere, e non risparmieremo la vita.» Ebbe inizio l’assedio nell’aprile 1453. Mehmet II volle attaccare la città sia da terra che da mare, contando su un esercito di 160.000 uomini, mentre i difensori erano meno di 7.000 uomini. In aiuto della gloriosa Costantinopoli vennero solo 600 veneziani, 700 genovesi capeggiati dal famoso soldato di ventura Giovanni Giustiniani Longo e un piccolo gruppo di spagnoli. Benché ci fosse una straordinaria resistenza, alimentata dalla diceria che presto sarebbero giunte delle navi veneziane promesse dal Papa, apparve subito evidente che i difensori non avrebbero mai potuto salvare la città. Il 29 maggio, martedì, i Turchi decisero di portare i loro attacchi alla soprannominata Porta d’Oro, collocata nella parte più debole delle mura, il Mesoteichion, che venne assaltata per ben tre volte (la terza fu quella decisiva). L’imperatore Costantino morì combattendo gli Ottomani e dando prova di grande coraggio. Il suo corpo non venne mai recuperato. La Chiesa Ortodossa, ben presto, lo ritenne santo e martire. La basilica di Santa Sofia, la più importante chiesa ortodossa, divenne purtroppo un luogo di culto musulmano e gli splendidi affreschi dorati che raffiguravano Cristo Pantocratore furono ricoperti da uno spesso strato d’intonaco. Nella cultura neogreca a tutt’oggi il giorno sfortunato per antonomasia è ritenuto il martedì, giorno della presa di Costantinopoli, e non il venerdì.

Mika Waltari in questa opera ripropose temi già presenti nel romanzo storico «Sinuhe l’Egiziano» come la solitudine dell’uomo moderno, la decadenza dei valori in un mondo sempre più materialista, il contrasto tra la vanità delle cose terrene (potere, ricchezza, successo) ed il riferimento alla dimensione spirituale. Il protagonista, Giovanni Angelos, annota in un diario quanto accadde di importante a lui e alla città, a partire dal 12 dicembre 1452 fino al 29 maggio 1453. Inoltre ricorda di aver visitato Basilea, Ferrara e Firenze. Informa il lettore sulla sua vita, sulle esperienze femminili e sulle questioni filosofiche dibattute nel XV secolo. Tutta la rievocazione della sua vita è caratterizzata da un cupo pessimismo e da una completa rassegnazione ad un destino di dolore e infelicità, che può trovare un riscatto solo credendo ad una prospettiva ultraterrena. La figura dell’ imperatore bizantino Costantino XI risulta marginale nel romanzo, mentre maggiore spazio ebbe il soldato di ventura Giovanni Giustiniani Longo (che rappresenta gli uomini desiderosi di potere, ricchezza e successo), ma per nulla interessati alla dimensione spirituale. Sono presenti riferimenti alla guerra d’inverno finlandese e alla guerra fredda, che non sfuggirono ai lettori degli anni cinquanta del XX secolo (attualizzazione dell’opera), oltre al pensiero dell’autore sulle donne e sull’importanza della religione. Lo stesso si soffermò sulla disputa teologica del «filioque», parola aggiunta al testo del Credo niceno-costantinopolitano ed adottata nei riti romano ed ambrosiano della Chiesa cattolica ma non in quella ortodossa. Dimostrò di avere una competenza sulla «vexata quaestio» davvero notevole.

Il giudizio non può che essere assolutamente positivo sul libro sul quale si è discettato fino a questo momento. Il linguaggio è semplice, scorrevole e comprensibile. Il rigore storico dell’autore non viene mai meno e non può essere messo in discussione. Un romanzo meritevole di grande attenzione e che molto probabilmente non ha riscosso il successo che meritava. Sarebbe opportuna una ristampa affinchè possa essere regalata o comprata da coloro che sono interessati alla storia medievale ed in particolare a quella bizantina.

In conclusione mi piace riproporre le ultime parole pronunciate da Giovanni Angelos davanti ai suoi carnefici ed al sultano Mehmet II, che rappresentano una sorta di congedo del protagonista dai lettori:

«Vedo la bellezza della mia città! In questo posto ritornerà un giorno il mio corpo astrale, ritornerà sulle rovine dei bastioni. E come un viandante incatenato dal tempo e dallo spazio coglierò un fiore nero da queste mura, in memoria di un essere che ho amato. Ma voi, Maometto, non ritornerete mai».

immagine tratta da

http://www.kansalliskirjasto.fi/

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